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15 luglio 2021 - 21:42

Ue contro Polonia e Ungheria: diritti violati, via alla procedura d’infrazione

di Francesca Basso

La presidente della Commissone Ue, Ursula von der Leyen, lo aveva detto davanti agli eurodeputati riuniti in plenaria il 7 luglio scorso: «L’Europa non permetterà mai che parti della nostra società siano stigmatizzate: sia a causa di chi amano, a causa della loro età, della loro etnia, delle loro opinioni politiche o delle loro convinzioni religiose». E ieri la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria e un’altra della Polonia per la violazione dei diritti fondamentali delle persone Lgbtiq.

Bruxelles ha inviato una lettera di messa in mora e ora Budapest e Varsavia hanno due mesi di tempo per rispondere ai rilievi della Commissione, trascorsi i quali l’esecutivo comunitario potrà decidere di inviare pareri motivati e successivamente deferire i casi alla Corte di giustizia dell’Ue. Continua, quindi, lo scontro tra la Commissione da una parte e Polonia e Ungheria guidate da forze di destra nazionaliste dall’altra, che stanno infrangendo in più campi lo Stato di diritto. La Commissione ha anche deferito alla Corte di giustizia dell’Ue l’Ungheria per aver illegittimamente limitato l’accesso alla procedura di asilo e l’Italia per lacune nella condivisione delle informazioni per combattere il terrorismo e la criminalità.

Budapest è finita sotto procedura di infrazione per due motivi: la legge, ormai in vigore nonostante le richieste di cancellarla da parte delle istituzioni Ue, che vieta o limita l’accesso ai contenuti rivolti a minori in cui siano promossi e descritti «la divergenza tra la propria identità personale e il sesso attribuito alla nascita, il cambiamento di sesso e l’omosessualità»; le clausole di esclusione di responsabilità imposte su un libro per l’infanzia con contenuto Lgbtiq. Per la Commissione la legge anti-Lgbtiq viola i valori contenuti nell’articolo 2 del Trattato dell’Ue tra cui il divieto di discriminazione, la direttiva sui servizi di media audiovisivi, quella sul commercio elettronico, il diritto alla protezione dei dati. L’Ungheria è andata all’attacco: Gergely Gulyas, capo di gabinetto del premier Viktor Orbán, ha detto in conferenza stampa che Bruxelles «chiaramente non ha voce in capitolo» sulla legge anti-Lgbtiq ungherese e non deve «interferire» nelle aree di competenza nazionale e che il suo ragionamento per l’azione legale è «più politico che legale», che Budapest non vede alcuna violazione della libertà di commercio e «sono argomenti assolutamente sospetti». Ha poi aggiunto che «se l’Ue vuole interferire nei settori coperti dalle Costituzioni nazionali, potrebbe mandare in frantumi l’intera Unione».

Un tema, quest’ultimo, già messo in discussione da Varsavia con la sentenza della Corte costituzionale polacca di due giorni fa che ha affermato che le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue sull’indipendenza della magistratura «non sono compatibili con la Costituzione polacca». La Commissione Ue ha ribadito ieri che «la legge Ue ha la primazia sulla legge nazionale. Tutte le decisioni della Corte di giustizia Ue, incluse le misure ad interim, sono vincolanti» e vanno applicate, in caso contrario la Commissione «userà i suoi poteri». Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha lamentato un trattamento «discriminatorio», sostenendo che la sua riforma della giustizia non si discosta da quella di Germania e Spagna. La procedura d’infrazione aperta ieri ritiene che le autorità polacche non abbiano risposto in maniera esauriente alle sue richieste di chiarimento sulla natura e sull’impatto delle «zone libere dall’ideologia Lgbt» istituite da marzo 2019 da diverse regioni e comuni polacchi.