IL COMMENTO
Conte e la corsa per la Sapienza, una caduta di stile che indebolisce la credibilità del suo ruolo
di Francesco Verderami
A parte la rovinosa caduta di stile, a parte la precipitosa e goffa retromarcia che in altri Paesi probabilmente non sarebbe bastata, l’immagine di un premier che dalla cattedra di Palazzo Chigi punta a una cattedra universitaria provoca un danno politico all’Italia. Non è soltanto un segnale negativo verso l’opinione pubblica, perché contravviene all’idea del «cambiamento», riproducendo la vecchia logica del «così fan tutti». Vale di più. La scelta di Conte di partecipare alla selezione per il ruolo di ordinario di Diritto privato alla Sapienza, nonostante sia capo del governo, si trasforma in una sorta di screening sullo stato di salute dell’esecutivo, sulle sue prospettive: ne lascia trasparire la precarietà, lo denuda fino quasi a formalizzare una grave forma di provvisorietà. Perciò poco importa se «per motivi istituzionali» il presidente del Consiglio sia stato costretto dai soci di maggioranza della coalizione a rivedere il suo obiettivo: lo squarcio nella tela è stato prodotto. Infatti ieri sera la principale preoccupazione, specie nella delegazione ministeriale leghista, non era legata a un eventuale contraccolpo sull’elettorato ma sui mercati internazionali, dove l’Italia è sotto osservazione.
D’altronde, quale impressione di stabilità e dunque di credibilità può fornire un governo dove il premier abbandona per qualche ora i dossier sulla legge di Stabilità o sulla crisi libica per dedicarsi a un esame in cui è in ballo il proprio personale futuro? Quali messaggi di durata e dunque di solidità vengono trasmessi agli interlocutori con i quali l’esecutivo si appresta a trattare sul bilancio nazionale o sul processo di pace a Tripoli? Ecco il danno prodotto da Conte, che travalica persino il delicatissimo problema sull’«opportunità» di voler gareggiare per succedere nella cattedra romana al suo antico amico e mentore, il professor Alpa. Ma Conte oggi non è un professore qualunque. E se non c’è questa sensibilità, se non si coglie questo aspetto, se la ministra grillina Lezzi arriva a derubricare il fatto, parlando di «cosa secondaria», il rischio è aver dimenticato la lezione che ha causato la crisi della Seconda Repubblica e determinato la vittoria del rassemblement giallo-verde. Sarà vero che oggi non esiste alternativa al governo Di Maio-Salvini, ma è altrettanto vero che quattro anni fa non si intravvedeva un’alternativa a Renzi. Le contestazioni degli abitanti genovesi che hanno perso la casa per il crollo del ponte sono un segnale da tenere in conto oltre i sondaggi che continuano a dare credito a M5S e Lega. Ma se c’è un esame da superare, è quello di governo.