Green pass e la proroga fino a 12 mesi, ma quanto dura davvero la protezione dei vaccini? I dati e cosa c’entra la terza dose

di Laura Cuppini

Si discute di una proroga del green pass, portandone la validità da 9 a 12 mesi. La variazione allo studio del Ministero della Salute. Abrignani: «Prima di pensare a un’eventuale terza dose bisogna arrivare all’80% della popolazione vaccinata»

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(Ansa)

I green pass dei primi vaccinati (a gennaio) sono in scadenza a ottobre, perché la durata è di 9 mesi dalla data della seconda dose. Per i guariti il green pass dura 6 mesi dal primo tampone molecolare positivo e 9 mesi dalla somministrazione della dose unica di vaccino, che può essere fatta a partire da 3 mesi dopo la guarigione.

Green pass a 12 mesi

Per risolvere il problema della scadenza del certificato l’ipotesi più quotata al momento, come spiegato da Franco Locatelli sul Corriere , è quella di prolungare il green pass a 12 mesi per tutti i vaccinati (con due dosi e i guariti con una dose). Ad oggi il 68% della popolazione over 12 è vaccinata con due iniezioni (qui il report aggiornato in tempo reale), manca dunque all’appello, o deve completare il ciclo con la seconda iniezione, il 32% (poco più di 19 milioni di persone). Per il momento non ci sono state decisioni del Governo in merito alla terza dose. «L’ipotesi di estensione a 12 mesi del green pass è più che ragionevole, anche alla luce della progressiva acquisizione d’informazioni sulla durata della risposta vaccinale - spiega Locatelli -. Si era inizialmente fissata la scadenza ai 6 mesi, e poi sostata a 9, proprio perché quanto dura l’effetto protettivo conferito dal vaccino lo stiamo progressivamente imparando. Le prime vaccinazioni nel mondo sono iniziate all’incirca 10 mesi fa. Non essendoci a oggi evidenza che vi sia una sostanziale perdita dell’effetto protettivo offerta dall’immunizzazione nei primi vaccinati, la scelta di prorogare la scadenza a 12 mesi trova una solida base».

L’ipotesi di una terza dose

«La terza dose, per cui le evidenze scientifiche dimostrano un effetto di stimolo (effetto booster) sui linfociti di “memoria”, è sicuramente necessaria al più presto per gli immunodepressi - aggiunge Locatelli -. Completata la campagna vaccinale ancora in corso, si potrà, in base alle evidenze sulla durata della protezione conferita dalla vaccinazione che si renderanno disponibili, valutare se e quando dare la terza dose anche a persone con particolari fragilità o molto esposte al rischio d’infezione per ragioni professionali».

La durata dell’immunità

Uno dei punti centrali della questione è la durata dell’immunità offerta dai vaccini. «Non sappiamo del tutto rispondere, visto che il follow-up delle persone vaccinate è ancora troppo breve - afferma Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione al Ministero della Salute, in un intervento pubblicato sempre sul Corriere -. Sembra però che, anche se gli anticorpi neutralizzanti tendono a scendere nel corso del tempo, le risposte cellulari e la memoria dell’incontro con l’antigene virale persistano più a lungo di quanto si pensasse». Rispetto alla variante Delta (indiana), «i vaccini conservano un’elevata efficacia nel proteggerci dalle forme gravi di malattia, ma non sempre sono in grado di evitare l’infezione (resta scoperto circa il 15-20% dei vaccinati, ndr) - prosegue Rezza -. Dobbiamo vaccinare il più possibile per favorire un ritorno alla normalità, proteggendo la popolazione dalle conseguenze peggiori della malattia ed evitando la congestione delle strutture sanitarie».

Copertura all’80 per cento

Prima di avviare la eventuale somministrazione delle terze dosi, restano appunto diversi milioni di persone da vaccinare con la seconda (o entrambe). «Servirà un altro mese e mezzo circa per arrivare all’80% di popolazione vaccinata, che è l’obiettivo - afferma Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di Genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi», oltre che membro del Comitato tecnico-scientifico per l’emergenza Covid -. Quindi intorno ai primi di ottobre si potrà decidere concretamente qualcosa sulle terze dosi, che saranno fatte probabilmente con i vaccini a mRna e con quelli a base di proteine ricombinanti che dovrebbero arrivare in tempi brevi. Non è detto che servano formulazioni specifiche contro le nuove varianti. Per quanto riguarda la protezione indotta dai vaccini - continua Abrignani -, non abbiamo ancora dati forti sul rischio a lungo termine di malattia grave, mentre sappiamo che la probabilità di contagio (con sintomi lievi o nulli) aumenta già dopo 3-6 mesi dalla vaccinazione. In questo momento però bisogna darsi delle priorità e la cosa fondamentale è arrivare alla copertura dell’80% con le prime due dosi».

I vari aspetti dell’immunità

Fabrizio Pregliasco, docente all’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi, sottolinea: «Ad oggi non c’è una standardizzazione di test e non c’è un livello di anticorpi considerato protettivo. Si sta studiando. E poi non c’è solo la quantità di anticorpi, ci sono gli anticorpi neutralizzanti, c’è l’attivazione dei linfociti B che è misurabile. Alcuni studi dicono che già dopo 5 mesi c’è un calo, diciamo che la durata della protezione si attesta sui 9 mesi secondo vari articoli ancora senza metanalisi. Ma il dato effettivo lo avremo a un annetto dai primi vaccinati e dai trial clinici, altrimenti è un modello matematico che non mostra l’oggettività e l’efficacia sul campo». Assolutamente convinto della validità dei vaccini Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, che vede il green pass come uno strumento anche per il rientro a scuola in tranquillità: «Non vedo altra soluzione che il green pass, sia per i docenti che per il personale scolastico. Stiamo assistendo alla dimostrazione che i vaccini funzionano e ci aiutano contro Covid, basta guardare quello che sta accadendo in Sicilia, una delle Regioni con il tasso di vaccinazioni più basso, dove c’è una recrudescenza dei casi».

A favore della terza dose

In parziale controtendenza Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Padova, che parla di «decisioni senza evidenza scientifica» (in merito al prolungamento del green pass a un anno). «Da quello che si vede in Israele - dice Crisanti -, la protezione offerta dai vaccini dura intorno agli 8-9 mesi. Basti pensare che in Israele si stanno infettando proprio i sanitari. Comunque lì stanno già facendo la terza dose e fra un po’ capiremo se è protettiva». A favore della terza dose collettiva anche Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: «Secondo me si può trattare questa proroga (del green pass, ndr) come un semplice passaggio burocratico, senza fare test per capire il livello degli anticorpi, ma solo se i 12 mesi preludono a una terza dose, che è la cosa veramente importante. A mio avviso dovrebbe essere questo l’obiettivo». Per Silvio Garattini, presidente dell’Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, la proroga del green pass deve poggiare su basi scientifiche: «È importante che abbia una base scientifica, perché sennò è inutile fingere di esser protetti se non lo si è. Anche perché non possiamo basarci soltanto sugli anticorpi, dobbiamo vedere anche gli altri aspetti dell’immunità, che sono la durata della memoria e l’attività delle cellule che agiscono contro i virus».

Lo studio inglese

Secondo uno studio condotto in Gran Bretagna la protezione data dalla doppia dose di Pfizer e di AstraZeneca inizia il suo declino entro i 6 mesi. I ricercatori hanno osservato che il vaccino Pfizer è efficace all’88% nel prevenire l’infezione un mese dopo la seconda dose, mentre dopo 5-6 mesi la protezione scende al 74%. Con AstraZeneca la protezione contro l’infezione è del 77% un mese dopo la seconda dose; dopo 4-5 mesi scende al 67%. Lo studio si è basato sui dati di 1,2 milioni di utenti dell’app «Zoe Covid», sviluppata grazie a un’iniziativa senza scopo di lucro, in collaborazione con il King’s College di Londra, e finanziata dal Dipartimento della salute e dell’assistenza sociale. Lo studio ha confrontato le infezioni auto-riferite nel gruppo dei partecipanti vaccinati e i casi in un gruppo di controllo non vaccinato. Gli autori sottolineano che, mentre la protezione sembra diminuire, il rischio effettivo individuale può variare. «Uno scenario ragionevole, nel peggiore dei casi, potrebbe vedere una protezione inferiore al 50% per gli anziani e gli operatori sanitari (i primi ad essere vaccinati in Gb, ndr) entro l’inverno», avverte Tim Spector, scienziato a capo dello studio sull’app Zoe Covid. Resta da capire se il calo della protezione comporta solo un aumento del rischio di contagio (in forma asintomatica o paucisintomatica) o anche delle formi gravi della malattia.

25 agosto 2021 (modifica il 28 agosto 2021 | 14:18)