6 agosto 2018 - 14:31

De Laurentiis, Lotito & co.: ecco perché è un vantaggio possedere più di una squadra di calcio

Alla radice della decisione di possedere più di un club c’è la possibilità di acquisire peso politico, economico e di poter valorizzare giocatori magari ancora inadatti alla serie A

di Fiorenzo Radogna

Aurelio de Laurentiis (Reuters) Aurelio de Laurentiis (Reuters)
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La «dinamica»? E’ sempre la stessa, indipendentemente dal patron di turno: all’inizio i tifosi sono contentissimi, perché vedono rinascere con basi solide la propria società del cuore appena radiata e fallita. Poi, negli anni, quando si avvicina il massimo traguardo della serie A che (regolarmente) sfugge, ecco i mugugni, le proteste e gli «inviti» ad andarsene.Il proprietario del Napoli Aurelio De Laurentiis si compra il Bariall’asta e promette la A in poche annate? L’altro patron «di lusso», il presidente della Lazio Claudio Lotito, è da ormai tre o quattro stagioni che con la sua Salernitana naviga in B; ben distante dalla massima serie. Fra le proteste del (numeroso) seguito della società campana. La stessa che era stata acquistata dall’imprenditore quando – radiata – era ripartita dalla quinta serie. Il perché (capiscono i tifosi) è semplice: sia Lotito oggi che De Laurentiis domani non potranno risultare proprietari di due squadre militanti nella stessa categoria. Stante lo stringente regolamento in vigore.

Convenienza

E quindi? Quindi queste operazioni si fanno lo stesso, perché convengono (almeno all’inizio) a tutti quanti. Ai tifosi che vedono la prospettiva di emergere dalle sabbie mobili del dilettantismo - dove il «derby» magari è contro la squadra del paesello di periferia - ; alla Federazione che fa ripartire e rilancia subito un sodalizio di seguito e blasone; e agli stessi neo-proprietari che con staff, giocatori e organizzazione «sperimentali» (e investimenti limitati) da una parte valorizzano i propri prospetti o i giocatori di «seconda schiera», e dall’altro acquisiscono piazze «di potere». Sì, perché non bisogna dimenticare che, in quanto proprietari di un sodalizio di D, C o B, si ha la possibilità di sedere (immaginiamo con quale «peso specifico») anche ai vari consigli delle rispettive leghe di categoria. Tutte partecipazioni, conoscenze e frequentazioni che hanno già giovato al presidente Lotito prima e che certamente aiuteranno pure l’ambizioso De Laurentiis poi. L’esempio lampante di questa strategia, finora vincente, arriva proprio dal Napoli che, al posto di creare una squadra «B» e iscriverla in terza serie, ha preferito andare a investire (anche meno soldi) in una quarta serie che si annuncia di grande seguito ed entusiasmo in Puglia. Meglio prendersi il Bari e farlo salire in fretta in stretta sinergia con la società-madre Napoli insomma, piuttosto che cerare un Napoli B da iscrivere subito in serie C.

Investimento

E’ un discorso soprattutto economico: posto che l’investimento è uguale (se non inferiore: una quarta serie «a vincere» può costare anche meno di un milione di euro) una cosa è far rinascere «La Bari» che giocherà al San Nicola davanti a 10mila spettatori di media; un’altra e far giocare il Napoli B a Frattamaggiore davanti a 300 anime. Senza contare gli entusiasmi, il merchandising e il ritorno di immagine che questo «salvataggio» apporta. Tutto questo nel breve periodo. Si perché nel lungo...Una volta scalate le gerarchie del calcio fino alla soglia della A, il rischio è quello di incappare nella «sindrome-Salernitana»: società risanata, pubblico e stadio da massima serie, ma ambizioni - per difetto strutturale- rimandate «sine die». Lotito non può essere sia proprietario della Lazio che della Salernitana, entrambe in A. E’ il dazio che i tifosi granata pagano per aver avuto un patron in grado di risalire in un «amen» (dal 2011 al 2015, tre promozioni: dalla D alla B). Con le proprie conoscenze e competenze (e i propri soldi). Sarà lo stesso destino del Bari di De Laurentiis? Di sicuro ci sono i proclami del cineasta «Il Bari non sarà un’appendice del Napoli»; e la sua ambizione «Torneremo in A».

Recente passato

Se poi si guarda al recente passato, si scopre che uno dei primi a inaugurare - a inizio del millennio - la strategia del «mi compro uno squadra per ogni categoria» era stato Luciano Gaucci. Il patron del Perugia in A era stato contemporaneamente proprietario, oltre che del grifo umbro, di altri club come il Catania (dal 2000 al 2004, fra C1 e B), la Viterbese (1997-2000 in C1) e la Sambenedettese (dal 2000 al 2004 con due promozione dalla D alla C1). Inutile raccontare del traffico di giocatori in entrata e uscita fra queste società in quegli anni. Suo emulo (per breve tempo) in quelle stesse stagioni era stato anche il proprietario del Torino Franco Cimminelli, contemporaneamente patron del Lecco in C1 (2000-02) e del Moncalieri in C2... La prima poi radiata dai ranghi federali per debiti (2002), come il Toro (nel 2005). Giusto perché: «pluriproprietari» non ci si improvvisa..

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