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22 settembre 2019 - 22:50

Alex Zanardi: «Il doppio Ironman sposta il mio limite dell’impossibile»

di Claudio Arrigoni

Zanardi, su di lei abbiamo finito le parole, ci aiuti.
«Una mi viene in mente. Quella che ho pensato quando ho tagliato il traguardo a Cervia e ho sentito di aver stabilito il nuovo record del mondo dell’Ironman: “Wow!”. È stato impagabile».

Giusto per far capire meglio, dove era una decina di giorni fa?
«In Olanda, al Mondiale di paraciclismo, tre gare in tre giorni, prima con la squadra insieme a Paolo Cecchetto e Luca Mazzone, poi la crono e infine quella in linea».

Non è andata malissimo: doppio oro nelle prime due gare e poi argento su strada, ma in volata.
«Non male, sì. Ho riscattato il Mondiale 2018 a Maniago. Ma non sono stato il migliore azzurro: Luca Mazzone ha vinto tre ori, un fenomeno».

Tornato dai Paesi Bassi niente riposo però.
«Non potevo, dopo qualche giorno mi aspettavano a Cervia, per la tappa italiana dell’Ironman, lo scorso anno feci lì il record del mondo».

Roba da veri uomini di ferro: 3,8 chilometri nuotando nell’Adriatico, 180 con la handbike e una maratona con la carrozzina.
«Questa volta c’era una sfida in più. Dopo l’Ironman del sabato, disputare quello sulla mezza distanza il giorno dopo. Sono 339 chilometri in meno di due giorni. Una cosa che mi intrigava. Ancora di più a Cervia, nella mia terra».

Come ci è arrivato?
«Lo scorso anno feci il record. A cena la sera c’era Alberto Sorbini, un amico. Mi dice: “Sembra quasi che domani tu debba fare un’altra gara tanto sei fresco”. Non era vero, però risposi sorridendo: “Potrebbe essere un’idea”. Insomma, qualche mese fa è tornato alla carica e mi ha convinto, anche perché avevo i suoi uomini vicino».

Solo una sfida sportiva?
«No, anche utile ricerca scientifica. L’Equipe Enervit è una fedele compagna dalla prima volta che disputai un Ironman, a Kona, nelle Hawaii, nel 2014. Abbiamo raccolto dati che saranno utili in vista della preparazione a Tokyo. Ma alla fine l’ho detto: è l’ultima volta che mi presto per fare da cavia scientifica».

Comunque è andata benissimo: ha migliorato il suo record del mondo, finendo in 8 ore e 25 minuti.
«Avevo l’obiettivo di fare molto bene l’Ironman e dopo un buon riposo finire il mezzo del giorno seguente. È stato bellissimo averlo raggiunto in entrambe le gare. È stato possibile grazie alla cura dei dettagli e all’attenzione a alimentazione e nutrizione. In questo devo dire davvero dire grazie agli amici di Enervit, con loro abbiamo studiato cosa andava meglio. Poi questo record mi ha anche fatto pensare».

A cosa?
«Nei giorni dei Giochi Paralimpici a Tokyo saranno i miei 40 anni di attività agonistica. Era la prima settimana del settembre 1980 quando feci la mia prima gara con i gokart. Pensare di essere ancora a questi livelli è meraviglioso».

Era il suo sesto Ironman, ma come le è venuto in mente di provare una gara così estrema?
«Il primo a parlarmene fu Tony Kanaan, pilota brasiliano con il quale correvo. Mi aveva affascinato. Però mi disse subito: Zio, perché mi chiama così, per te è impossibile. Non potevo dargliela vinta: guarda che se provo lo faccio in due ore meno di te. E lui: impossibile.Alla fine è arrivato 3 ore dopo di me».

Oltre al paraciclismo, l’Ironman la ha fatta entrare nella dimensione del mito per la gente.
«Ma non sono un superuomo. Tutt’altro. Vedo che ci sono persone che vanno in una direzione e voglio capire dove e perché. Questa è la curiosità».

Basta?
«Serve. Poi c’è l’ambizione, chiaro. Ma quello che serve per fare l’ultimo sprint è la passione, che rende perseveranti e questo permette anche di fare cose diverse».

Come per lei: paraciclismo, Ironman, auto.
«Prima di tutto sono un pilota. Quella è la mia dimensione. Fra due giorni sarò al Mugello, a provare con la Bmw. A inizio ottobre disputerò la penultima gara del Campionato GT proprio lì su una M6 GT3 modificata con Erik Johansson e Stefano Comandini. Si va per vincere, sento la responsabilità. Ma sarà sublime avere un motore sotto che spinge».

Anche quella di essere emblema del movimento paralimpico.
«Spero che la gente pensi: però, se Zanna che arriva ottavo assoluto su 3000 partecipanti va forte. E che questo possa rivalutare tutto il movimento, perché fa capire che tutti gli atleti paralimpici sono atleti, e grandi atleti».

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