Belgio-Italia, perché Lukaku & co. sono così forti? Squadra multietnica, le antiche differenze sono diventate l’arma in più

di Paolo Tomaselli, inviato a Monaco di Baviera

La chiave è stata il modello multietnico stile Francia 1998: oggi lo spogliatoio è multirazziale, la lingua comune l’inglese e la diversità è diventata virtù, in una sintesi perfetta fra i modello tecnico atletici franco-italiano (Vallonia) e olandese (Fiandre). Con un occhio decisivo alla formazione nelle scuole in sinergia con Federazione e club

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Vittoria o sconfitta con l’Italia stasera a Monaco, poco importa. Il «miracolo» del Belgio durerà ancora, perché ha messo radici e attraverso il calcio ha cambiato un Paese, o almeno la sua autostima e la sua percezione all’esterno: da piccolo luogo di grandi conflitti politici, sociali e linguistici, a laboratorio che esalta le differenze in nome di un progetto comune. Quello dei Diavoli Rossi.

Squadra multietnica

Vent’anni fa, quando la Francia «black-blanc-beur» vinse il suo primo Mondiale grazie a campioni di origine algerina come Zidane, armena come Djorkaeff o della Guadalupe come Thuram, il c.t. del Belgio Georges Leekens aveva il suo bel daffare: aveva convocato 14 fiamminghi e appena 5 valloni, alterando i delicati equilibri geopolitici e linguistici del suo spogliatoio. Adesso il c.t. catalano Martinez ha giocatori con origini congolesi, marocchine, martinicane, ghanesi, portoghesi. E pure Kevin De Bruyne, il sosia del Principe Harry, ha una madre inglese, nata in Burundi. Il rito delle interviste in lingua fiamminga e in francese ovviamente resiste ma nello spogliatoio la lingua franca è l’inglese e la Federazione attraverso il «Topsport Project» ha armonizzato anche le due scuole calcistiche. Con risultati notevoli: «Abbiamo cercato di costruire una squadra per la popolazione, che sia unita nei momenti difficili – ha spiegato in passato il c.t. Wilmots, ex attaccante —. E il fatto che i bambini si identifichino in questa squadra mi tocca nel profondo, specie su temi come la multiculturalità. C’è stata una vera riunificazione culturale».

La diversità arma in più

Con 11 milioni di abitanti può sembrare più facile, anche se i problemi non mancano come può testimoniare l’attaccante Batshuayi, cresciuto tra Evere e Molenbeek, laboratori del calcio di strada, ma non solo. O lo stesso Lukaku, cresciuto fra pregiudizi e povertà ad Anversa. La dimensione ridotta del Belgio è diventato la piattaforma ideale per una crescita che in 10 anni ha riportato i Diavoli Rossi ai momenti belli vissuti negli anni 80. Le sue diversità sul campo di calcio sono diventate l’arma in più.

La sintesi tra i modelli francese e olandese

«La nostra cultura è la nostra ricchezza — spiega Mauro Innaurato, ex preparatore atletico della Nazionale belga e del Milan di Montella —. In Vallonia la formazione è più franco-italiana. Nelle Fiandre, fiammingo-olandese. Abbiamo quindi preso il modello dei centri federali francesi unito al modello tattico olandese. È stata fondamentale la collaborazione tra le scuole, la federazione e i club: consentire ai ragazzi di allenarsi anche al mattino ha permesso loro, come studenti, di mantenere sempre un piede nella realtà. E come giovani atleti di effettuare carichi di lavoro più elevati. Se a tutto ciò aggiungiamo le origini multiculturali e multirazziali dei nostri ragazzi, ecco che il mix diventa molto interessante».

2 luglio 2021 (modifica il 2 luglio 2021 | 17:15)