È una storia che conosciamo bene: quando negli anni '90 i talebani erano al potere in Afghanistan, le donne erano relegate ai margini della società, private dei loro diritti, dell'istruzione e della loro stessa identità. Oggi, due decenni dopo, la situazione femminile nel Paese - va detto - è notevolmente migliorata: milioni di ragazze frequentano scuole e Università e diverse donne svolgono importanti ruoli governativi. Eppure nel Paese l'ombra delle misoginia è sempre in agguato e lo si percepisce a livello burocratico, culturale e sociale. Basti un esempio particolarmente emblematico: i nomi stessi delle donne sono tuttora un tabù, non vengono menzionati, non compaiono nei documenti e - come fa notare il New York Times - spesso non sono riportati nemmeno nelle lapidi dei cimiteri. L'identità delle donne, insomma, continua a venire cancellata, riducendole a meri oggetti di proprietà dei familiari maschi. Qualcosa, però, sta cambiando anche in questo senso e, grazie al coraggio di politiche e attiviste, una prima vittoria è arrivata qualche giorno fa quando il governo del presidente Ashraf Ghani ha deciso di inserire i nomi delle donne afgane sulle carte di identità dei loro figli. Un passo avanti che dà speranza al Paese.

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"L'emendamento cambia la definizione di identità", spiega il portavoce del governo Mohamed Hedayat, "la nuova identità comprende il nome della persona, il cognome, il nome del padre, il nome della madre e la data di nascita". Per ottenere questa vittoria è stata portata avanti la campagna #WhereIsMyName che ha avuto particolare successo sui social. "Fin dalla giovane età", dichiara al NYT una delle organizzatrici del movimento, Laleh Osmany, "le ragazze sono condizionate a credere di essere l'appendice di un uomo, conosciute solo in relazione agli uomini delle loro famiglie, senza identità propria". Secondo Osmany - che ha studiato diritto islamico per quattro anni - in realtà non c'è alcun fondamento religioso in questi limiti all'identità personale femminile. Aver finalmente raggiunto questo cambiamento nei documenti di identità, a suo dire, "riguarda il ripristino del diritto più fondamentale e naturale delle donne che viene loro negato". "Inserendo il nome della donna", aggiunge, "la legge le conferisce determinati poteri in quanto madre che potrà, senza la presenza di un uomo, ottenere documenti per i suoi figli, iscrivere i figli a scuola o viaggiare con loro".

La buona notizia arriva in un momento particolarmente delicato per le donne afgane: il 12 settembre è iniziata a Doha, in Qatar, la conferenza di pace tra i rappresentanti dei talebani e il governo dell’Afghanistan che dovrebbe mettere fine a una guerra che dura ormai da decenni. Il timore, però, è che in fase di mediazione il governo finisca per fare delle concessioni ai talebani che sono contrari alla realizzazione di una repubblica costituzionale e puntano invece a un governo di stampo religioso basato sulla legge coranica. A rischio, neanche a dirlo, ci sono in primis i diritti femminili, eppure tra i delegati del governo ci sono anche quattro deputate, segno che davvero i tempi stanno cambiando e che le donne afgane sono determinate a lottare e proteggere ad ogni costo quanto finora ottenuto.

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