Fiat Panda, quando il mondo era semplice

La prima Fiat Panda è una anziana e saggia signora che ci riporta alla realtà. Il progresso è fondamentale, ma non dobbiamo perdere di vista ciò che davvero conta

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Fiat Panda, quando il mondo era semplice

La guidava anche mia nonna. Voi mia nonna non la conoscete, ma fidatevi: se la guidava lei, significa che la prima Fiat Panda era davvero un’automobile riuscita.

Alcuni ricordi rimangono impressi nella mente per tutta la vita e, nella mia mente, c’è il ricordo di mia nonna che guida la sua Panda color sabbia; c’è la sensazione tattile del tessuto (lavabile!) di quei sedili tanto privi di capacità contenitive quanto morbidi e accoglienti (almeno per un bimbo di cinque anni); la rotondità del bordo del vascone portaoggetti che andava da una portiera al’altra; il curioso suono del motore bicilindrico e la vista della strumentazione raccolta dietro l’esile volante a due razze, orrenda ma così ragionata e concreta, come una scatola da scarpe sullo scaffale dello sgabuzzino per le lampadine di scorta.

Se la guidava mia nonna, significa che la prima Fiat Panda era davvero un’automobile concreta. D’altronde, la sua linea era quella che avrei disegnato io a quell’età: un cubo di lamiere squadrate, un paio di portiere, quattro ruote, un volante e la leva del cambio. Serviva altro, in fondo, per trasportare una nonna e un bambino?

A noi, per andare al parco, non servivano certo tutti i gingilli che troviamo oggi a bordo delle utilitarie moderne. Se mia nonna si fosse trovata al volante di una utilitaria del 2018 non avrebbe saputo dove mettere le mani. Del design, mia nonna se ne fregava; la plancia doveva essere semplice come il piano di lavoro della cucina dove preparava i suoi piatti spettacolari; ci doveva essere spazio ovunque per trasportare le borse della spesa, i vestiti da portare in tintoria, nipoti e amiche verso esotiche destinazioni come il parco giochi o il supermercato.

Che cosa indossi per andare al supermercato? “La Panda è come un paio di jeans” diceva Giorgetto Giugiaro alla Stampa nel 1980, “semplice, pratica, senza fronzoli“. Invece, oggi, i fronzoli vengono prima della praticità. Giugiaro la voleva semplice e concreta come un veicolo militare, con vetratura facile ed economica da sostituire, un solo tergicristallo e un vano motore che potesse ospitare propulsori longitudinali o trasversali, dal bicilindrico di 652 cc ad aria della Fiat 126 della Panda 30, al quattro cilindri di 903 cc ad acqua della Panda 45.

No, sportiva non lo era…

Poteva diventare un vero e proprio letto a quattro ruote, con i sedili anteriori e quello posteriore pensati per poter essere abbattuti completamente in modo tale da realizzare un piano orizzontale dal volante al portellone; due damigiane da 50 litri era la capacità di carico prefissata, perfetta per i dirigenti Fiat e il loro vino prodotto nelle campagne piemontesi.

C’era la Panda con il tetto apribile; c’era quella autocarro per SIP ed ENEL. E poi lei, la mitica 4×4. Chiedete ad un abitante di un paesino di montagna che cosa preferirebbe guidare fra una lussuosa Range Rover farcita di elettronica e una Panda 4×4. Perfino lo stesso Gianni Agnelli la guidava a St. Moritz. Certo fare un frontale con una Panda prima serie è una faccenda preoccupante, ma, al di là delle stelle NCAP, dal punto di vista della robustezza e dell’affidabilità, il semplice Pandino non ha nulla da invidiare a tutte le vistose vetture di oggi.

La mitica 4×4

Avremmo tanto bisogno di indossare di nuovo quel paio di jeans, di riflettere sulla tendenza attuale che vuole trasformare le piccole ed economiche vetture in surrogati delle premium, con dotazioni di bordo delle quali spesso non facciamo alcun uso o che addirittura non sappiamo utilizzare, materiali eccessivamente costosi, elementi di design fini a se stessi. Il progresso è fondamentale, ma non dobbiamo perdere di vista ciò che conta davvero.