Cultura

"Fortuna": l’inferno del Parco Verde di Caivano diventa poesia che stordisce i sensi

Presentato alla Festa del Cinema di Roma il primo film del regista napoletano Gelormini che racconta la storia della bimba prima violentata e poi scaraventata giù dall’ottavo piano nel 2014

Serena Petricelli 

Non era facile – anche perché poteva diventare tutto troppo scontato – fare un film sulla tragica storia di Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni che il 24 giugno del 2014 venne scaraventata giù dall’ottavo piano del palazzone popolare dove abitava a Parco Verde, a Caivano, in provincia di Napoli, dopo aver subito ripetute violenze e abusi sessuali definiti ‘cronici’ da un suo vicino di casa, Raimondo Caputo, oggi all’ergastolo. Una storia del genere poteva essere raccontata in molti modi, ma Nicolangelo Gelormini con “Fortuna” - il suo film d’esordio presentato oggi alla 15esima Festa del Cinema di Roma – è riuscito a farlo nel migliore dei modi possibili. Non ha scelto la strada del realismo, quella, cioè, che apparentemente poteva essere la più semplice, forse più terribile. “L’idea di partenza era di non raccontare questa storia”, ci spiega quando lo incontriamo poco prima della proiezione ufficiale, “ma era talmente forte in me e in Massimiliano Virgilio (autore, con lui, del soggetto e della sceneggiatura, ndr) la necessità di fare chiarezza su questo atroce fatto di cronaca che ha scosso tutti e di raccontarlo, che la non rappresentazione di quella che a tutti gli effetti è una storia pornografica ha guidato il tutto. Il cinema mi ha consentito il fuori campo – aggiunge - perché il cinema permette di rappresentare l’irrappresentabile, di non mostrare per dire, come la poesia. Abbiamo voluto nascondere la realtà così com’è senza però indagarla dal punto di vista cronachistico. Non mi interessava questo, perché non sono un giornalista. Ho intercettato e poi mostrato quello che ho capito da questa storia”.

La storia in questione è davvero molto cruda, “una di quelle che mi ha provocato dolore e vergogna”, aggiunge Valeria Golino che con Pina Turco veste i doppi ruoli incrociati di madre e di psicologa della piccola protagonista (Cristina Magnotti) di questo film prodotto da Dazzle Communication con Indigo Film e Rai Cinema con il patrocinio di Save the Children.

Un esordio eccellente, un film che fa male e stordisce i sensi che finiscono col mescolarsi e confondersi con una bellezza e una perfezione immaginata, desiderata, e una miseria reale, atroce e invivibile, con cui fare i conti, tradimenti compresi, che poi sono il concetto base da cui il regista è partito per raccontare la storia di Fortuna. “Dal mio punto di vista – continua a spiegarci lui, classe 1978, napoletano - è una storia di tradimento del mondo dei bambini, un tradimento del loro desiderio di essere amati dagli adulti. Il dramma è quello di una società intera contro cui il mondo dell’infanzia va a sbattere, quando la sua innocenza viene profanata. Una collettività buia, incapace di leggere le gradazioni dell’animo umano, arenata a un modello binario che divide il mondo in maschi e femmine, buoni e cattivi, forti e deboli, potenti e indifesi, e che non lascia scampo a tutto quel fiorire di vita che c’è nel mezzo. Sul tradimento – continua - abbiamo dunque costruito tutto, ad esempio la struttura della sceneggiatura in due atti e in ogni atto c’è la suddivisione delle scene in due parti, le inquadrature che sono spezzate in due. Il doppio è diventato, quindi, la linea guida per tradire lo spettatore in una storia di tradimento. Una storia che prende la realtà e la fa diventare un sogno. Il sogno che è portato al cinema e quest’ultimo è da intendere come riscatto della realtà: attraverso il cinema ho voluto dare un riscatto a Fortuna che per me è una condottiera. Con questo film abbiamo costruito una stella per lei, le abbiamo dato una seconda possibilità, l’abbiamo celebrata”.

Nel palazzo in cui la bambina viveva erano in molti a sapere, a cominciare dalla madre dell’assassino che coprì il figlio anche per le violenze che fece, anni prima, a un altro bambino che abitava sempre in quello stabile, un omicidio fatto passare per un incidente domestico. Tutto accadeva, come ricordato, a Caivano, ma il film – precisa Gelormini – “non condanna quel posto, perché ci sono anche famiglie felici e brave persone”. “L’idea – aggiunge - era di universalizzare al massimo questa storia. Non volevamo raccontare quella periferia, ma ‘la’ periferia e, ancora meglio, far notare che laddove non arriva l’investimento culturale di un Paese – che può essere l’Italia, come in questo caso, ma qualsiasi altro nel mondo – si generano questi mostri e un ambiente animale che nel film ho evidenziato inserendo il suono subliminale di animali selvatici come domestici”. Un ambiente in cui non c’è il logos e in cui la regolamentazione e la disciplina non governano l’istinto. Da qui la nascita di un personaggio, la madre, che si sdoppia e diventa il logos e l’istinto grazie al lavoro delle due attrici adulte, la Golino e la Turco, due personaggi che sono due cose che da sole, però, non funzionano tanto da fallire entrambe nell’accompagnare Fortuna nel suo viaggio tragico.

Una storia del genere non poteva essere messa in un angolo e Gelormini l’ha riportata alla luce in una forma poetica creando una giusta dimensione e quel giusto rispetto che avrebbe meritato quella bambina a cominciare proprio da sua madre che non ha i mezzi, culturali ed economici, per comprenderla come lei invece vorrebbe. “In genere la figura paterna da’ la disciplina e quella materna è quella della cura”, continua il regista, “ma questo non ha a che fare con il maschio e la femmina: sono due figure simboliche che possono essere incarnate volta per volta da chiunque. Il tradimento di colei che ci da’ la cura, nella gran parte dei casi è la madre stessa, è il nucleo del film, il cuore di questa storia. Tutto parte da lì: ho percepito quell’emozione là quando ho letto il fatto di cronaca e volevo restituirla allo spettatore”. Con i personaggi reali legati a questa vicenda non c’è stato da parte sua nessun approccio d’inchiesta, una scelta voluta “per non essere frustrato nell’immaginazione”.

Per il ruolo di Fortuna il regista ha provinato centinaia e centinaia di bambine, ma poi ha scelto Cristina Magnotti. “In questo film che, citando Hitchcock, ricorda più Psycho che La finestra sul cortile, sono successe diverse cose strane, a cominciare proprio dalla scelta della giovane protagonista, l’ultima che ha fatto il provino e scelta perché è la figlia di una mia cara amica, ma perché magnetica”. Aiutato moltissimo da Costanza Boccardi dell’ufficio casting e da una coach, è così riuscito a raccontare il minimo, la realtà dei fatti. “Non abbiamo voluto dargli una visione d’insieme altrimenti li avremmo spaventati”, spiega, “ma gli abbiamo fatto comprendere che stavano giocando molto seriamente”.

Il film sarà presto in sala per I Wonder, in un momento molto delicato e difficile per il cinema. “Fino a quando ci sarà la Chiesa, ci sarà il cinema”, tiene a precisare il regista prima di salutarci. “Finché la gente andrà in chiesa ed avrà bisogno di quella esperienza collettiva, di quella liturgia , non si spegneranno né il cinema né tantomeno il teatro che provengono da quella stessa esperienza liturgica. Siamo in una fase di transizione che il Covid ha accelerato tantissimo, ma ha anche creato una nuova bolla, la bolla delle piattaforme, del cinema di prodotto. L’esperienza collettiva, la condivisione sono fondamentali. Speriamo di tornare a farlo al più presto”.