Lavoro & Precari

Legge di Bilancio, dopo sette anni arriva rinnovo dei contratti statali. Ma soldi non bastano per i dipendenti degli enti locali

La manovra porta a 2,85 miliardi gli stanziamenti per scongelare le buste paga. Per l'aumento promesso, che è di 85 euro medi al mese, ne servirebbero 5. Per evitare che lo sblocco intacchi il bonus renziano di 80 euro, è stato alzato da 26mila a 26.600 euro il reddito oltre il quale si perde il beneficio

Oltre 4 miliardi complessivi sul piatto e la garanzia che nessuno perderà il “bonus Renzi” di 80 euro. La legge di Bilancio per il 2018, come da attese, apre la strada al rinnovo dei contratti degli statali, congelati da sette anni. Per il 2018 vengono stanziati 2,85 miliardi, dopo i 300 messi in cascina con la manovra per il 2016 e i 900 aggiunti lo scorso anno. Ma nel complesso gli aumenti in busta paga di 85 euro medi al mese promessi ai 3,2 milioni di dipendenti pubblici valgono oltre 5 miliardi. Ergo, c’è chi rimarrà fuori dalle coperture messe in campo: enti locali e “enti pubblici diversi dall’amministrazione statale” dovranno trovare le risorse nei propri bilanci. L’obiettivo è quello di mantenere le promesse contenute nellaccordo quadro sul contratto dei lavoratori del pubblico impiego siglato lo scorso 30 novembre dopo una lunga trattativa fra il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia e i leader di Cgil, Cisl e Uil.

LA SENTENZA E L’ACCORDO – Un percorso iniziato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale che nel luglio del 2015 ha dichiarato incostituzionale il congelamento delle buste paga iniziato nel 2010, che ha fatto risparmiare 5 miliardi alle casse dello Stato. Il verdetto però non ha avuto effetto retroattivo, evitando all’allora governo Renzi un buco da 35 miliardi nei conti pubblici. Da allora tutte le manovre successive hanno dovuto riservare delle risorse per coprire gli incrementi salariali per i dipendenti pubblici. All’accordo, però, si è giunti solo durante l’ultima settimana di campagna referendaria per la riforma costituzionale poi bocciata il 4 dicembre scorso.

GLI AUMENTI IN BUSTA PAGA – Confermato, dunque, quanto stabilito nell’accordo tra esecutivo e sindacati. Gli aumenti di stipendio per gli statali non saranno inferiori a 85 euro medi mensili (1.105 euro lordi all’anno considerando le tredici mensilità) per il triennio 2016-2018. Le sigle sindacali, in realtà, chiedevano che 85 euro fosse il valore minimo di aumento in busta paga, mentre l’esecutivo sosteneva che dovesse essere la media. Ha prevalso la posizione del governo. La manovra, inoltre, porta con sé anche l’equiparazione degli stipendi dei dirigenti scolastici a quelli degli altri dirigenti pubblici con l’istituzione di un fondo e la dotazione di 31,70 milioni di euro nel 2018 e 95,12 milioni di euro a decorrere dal 2019.

IL NODO DEL BONUS DI 80 EURO – L’attenzione degli statali, però, era concentrata anche sulla ‘sterilizzazione’ del bonus di 80 euro destinato ai lavoratori che guadagnano da un minimo di 8mila euro a un massimo 26mila euro all’anno e di cui godono 800mila statali (250mila solo nella scuola). Il rischio era che il premio iniziasse a scalare per chi (con l’aumento previsto nel nuovo contratto) avesse superato le soglie di reddito previste dalle norme: secondo l’Aran, l’agenzia che rappresenta la Pubblica amministrazione come datore di lavoro, oltre 300mila dipendenti statali guadagnano tra 23mila e 26mila euro. Nel privato, come è noto, chi supera la soglia grazie ai rinnovi perde gli 80 euro e se li ha ricevuti deve restituirli. Garantire un trattamento diverso agli statali sarebbe stato incostituzionale. La soluzione? Alzare la soglia per tutti. La manovra alza infatti da 26mila a 26.600 euro il reddito massimo oltre il quale non si ha più diritto allo sgravio Irpef. In questo modo gli aumenti non metteranno a rischio il bonus.

I COSTI DEL RINNOVO – Quanto costerà tutto ciò? Secondo le elaborazioni del Sole 24 ore sulla base dei dati del ministero dell’Economia, all’aumento di 1.105 euro lordi all’anno a lavoratore vanno aggiunti gli oneri riflessi (38,4%, fra contributi previdenziali e buonuscite) che portano a un costo complessivo per le finanze pubbliche di 1.529 euro all’anno. Tenendo conto dei dipendenti pubblici interessati dalla manovra, i costi arrivano intorno ai 5,4 miliardi all’anno. Lo stanziamento a regime di 2,9 miliardi consente solo la copertura dei nuovi contratti della pubblica amministrazione centrale, ossia ministeri ed enti pubblici nazionali. Il problema si pone invece per gli altri contratti, quelli impiegati in sanità, Regioni ed enti locali, che dovrebbero cercare da soli le risorse per aumenti e salvaguardia dei bonus. Cosa non facile, soprattutto per i molti enti che già se la passano male.