A causa dell’emergenza coronavirus pure la mente economica del clan dei Casalesi tornerà dalla sua famiglia. Il tribunale di Sassari ha concesso gli arresti domiciliari a Pasquale Zagaria, fratello di don Michele, uno dei capi del clan di Casal di Principe. Li sconterà a casa della moglie, a Pontevico, in provincia di Brescia, una delle zone più colpite dall’epidemia. È lì che Zagaria potrà andare a curarsi, proteggendosi dal contagio. Almeno per i prossimi cinque mesi, fino al 22 settembre, visto che il beneficio degli arresti casalinghi è stato concesso a tempo. “Appare decisivo, infatti, sapere gli esiti degli approfondimenti diagnostici per capire l’evoluzione della patologia e le possibili cure”, scrive il giudice Riccardo De Vito, in un provvedimento lungo otto pagine, molto dettagliato. A uscire dal carcere, infatti, non è un detenuto qualcunque, ma un boss importante, detenuto in regime di 41bis, il carcere duro. La scarcerazione sarà oggetto di approfondimento da parte del ministero della Giustizia. Da via Arenula fanno sapere al fattoquotidiano.it di aver attivato l’Ispettorato. E soprattutto di aver ordinato verifiche anche al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

I motivi della scarcerazione del boss – Anche per questo motivo è il caso di chiarire subito che la scarcerazione di Zagaria nulla ha a che fare con le leggi speciali varate dal governo per combattere il contagio nei penitenziari. Norme che – come chiarito più volte – escludono i detenuti mafiosi dal beneficio degli arresti casalinghi. Nel caso di Zagaria i domiciliari sono stati concessi per tre motivi, tutti collegati tra loro. Il primo: ha bisogno di cure che a causa dell’emergenza non gli possono essere somministrate nel carcere in cui è recluso e neanche nell’ospedale più vicino, a Sassari, trasformato dalla Regione Sardegna in un centro Covid. Il secondo: ha una patologia che lo espone maggiormente al rischio contagio del virus. Il terzo: non è stato possibile capire se può sottoporsi alle terapie richieste in altre strutture carcerarie. Il motivo? Il Dipartimento amministrazione penitenziaria non ha mai risposto al giudice di sorveglianza. In serata proprio il Dap comunica che Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari è stato costantemente informato delle attività degli uffici dell’Amministrazione Penitenziaria per trovare a Pasquale Zagaria una collocazione compatibile col suo stato di salute. Tutti i passaggi che si stavano compiendo sono stati oggetto di comunicazione al Tribunale di Sorveglianza, con almeno tre messaggi di posta elettronica, ultimo dei quali risalente allo scorso 23 aprile, sostiene il Dipartimento. Dal Dap “non è giunta risposta alcuna“, scrive invece il giudice nel provvedimento firmato proprio lo stesso giorno, il 23 aprile. Un vero e proprio cortocircuito che ha contribuito a far ottenere i domiciliari a Zagaria. Ma andiamo con ordine.

Chi è Zagaria, la mente economica dei casalesi – Pasquale Zagaria, detto Bin Laden, nato a San Cipriano d’Aversa il 5 gennaio del 1960, è in carcere dal 2007. Per gli inquirenti è la mente economica dei Casalesi, l’uomo che nei primi anni 2000 trasferì il centro finanziario del clan a Parma, dopo aver rilevato la società del suocero. È in questo modo che il feroce clan di Casal di Principe riuscì a infiltrarsi in una serie di appalti pubblici miliardari. Condannato più volte, Zagaria è in carcere dal 2007 e doveva rimanerci fino al 2027, ma lo scorso anno ha ottenuto uno sconto di 210 giorni, perché durante la detenzione in alcuni penitenziari (diversi da quello sardo) ha subito un “trattamento inumano e degradante”. Il suo fine pena è attualmente fissato nel luglio del 2025, ma da questo termine deve essere detratta un’ulteriore porzione di pena, visto nel marzo scorso la Cassazione gli ha riconosciuto il cosiddetto vincolo della continuazione, stabilendo in vent’anni il totale delle condanne da scontare.

Il boss, le cure, il cortocircuito dell’epidemia – “In relazione alla pena residua da espiare – come visto destinata a ridursi per entità- il detenuto ha avanzato istanza di differimeno per motivi di grave infermità fisica”, spiega il giudice all’inizio del suo provvedimento. L’iter va avanti da settimane: “Sono state necessarie, per acquisire tutti gli approfondirrienti istruttori necessari, quattro udienze”, continua il magistrato di Sorveglianza. Che poi mette in ordine cronologico la situazione sanitaria del boss. Nel dicembre del 2019 Zagaria è stato operato di tumore. Al momento le sue condizioni non sono critiche, anzi il giudice riporta i passaggi delle relazioni sanitarie in cui si specifica che il casalese “non necessita di frequenti contatti con le strutture sanitarie del territorio ed è in grado di compiere in maniera autonoma gli atti quotidiani della vita“. Solo che nelle scorse settimane avrebbe dovuto eseguire il cosiddetto follow-up diagnostico e terapeutico, “per valutare l’efficacia della terapia” al quale è stato sottoposto. E qui sono iniziati i problemi. Siamo al 27 marzo e il giudice cita i documenti sanitari che spiegano come la clinica dell’Azienda ospedaliera di Sassari, dove cioè Zagaria avrebbe dovuto sottoporsi alle visite, “è stata individuata come Centro Covid-19 e come tale non può garantire interventi se non quelli di emergenza/urgenza“. Era dunque necessario “individuare altre strutture ospedaliere” per curare il detenuto.

Il giudice: “Può essere curato in altri penitenziari? Il Dap non risponde” – I successivi certificati medici, richiesti dal tribunale “al fine di valutare la consistenza della patologia e la possibilità di cura, danno atto dell’impossibilità di proseguire l’iter diagnostico e terapeutico proprio a causa dell’emergenza Covid- 19″. Il 9 aprile, infatti, il tribunale di Sorveglianza chiede al Dipartimento del’Amministrazione Penitenziaria di verificare l’eventuale possibilità di trasferimento “in altro Istituto penitenziario attrezzato per quel trattamento o prossimo a struttura di cura nella quale poter svolgere i richiesti esami diagnostici e le successive cure”. Cosa risponde il Dap? Nulla. “Dal Dipartimento del’Amministrazione Penitenziaria non è giunta risposta alcuna“, scrive il giudice nel provvedimento firmato il 23 aprile. Ora il Dap parla di una comunicazione al Tribunale di Sorveglianza, con almeno tre mail, di cui l’ultima lo stesso 23 aprile. Solo nelle scorse ore sarebbe arrivata qualche informazione su possibili altri penitenziari in grado di accogliere Zagaria, e sottoporlo alle terapie di cui ha bisogno. Troppo tardi, però. “Dai successivi approfondimenti richiesti da questo Tribunale, e posti in essere con scrupolo meticoloso dal presidio sanitario della Casa Circondariale di Sassari, è emerso che in Sardegna non vi è possibilità di svolgimento della terapia in ambiente carcerario , né in regime di art. 11 (in pratica gli arresti ospedalieri ndr),dal momento che i reparti sono stati adattati a Centri Covid-19″, spiega dunque il magistrato. Ripetendo ancora una volta di aver “chiesto al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria se fosse possibile individuare altra struttura penitenziaria sul territorio nazionale ove effettuare il follow-up diagnostico e terapeutico, ma, come detto, non è pervenuta alcuna risposta, neppure interlocutoria“. Per questo motivo il tribunale di Sorveglianza si trova costretto a concludere che “allo stato il detenuto si trova affetto da una patologia grave e soggetto alla necessità di un iter diagnostico e terapeutico che viene definito indifferibile, ma che al momento non è possibile effettuare. Lasciare il detenuto in tali condizioni, pertanto, equivarrebbe esporlo al rischio di progressione di una malattia potenzialmente letale in totale spregio del diritto alla salute”.

“Anche se è al 41bis è esposto al rischio contagio” – Ma non è solo questo che convince il tribunale di Sassari a concedere a Zagaria i domiciliari. Il giudice, infatti, cita anche l’ormai nota del Dap del 21 marzo, quella che ha invitato le Direzioni dei penitenziari comunicare con solerzia all’Autorità giudiziaria il nominativo dei carcerati che si trovano in condizioni di salute tali da renderli più vulnerabili davanti al Covid-19. Zagaria ha meno di 70 anni ma le sue patologie sono incluse in quella circolare. “Nel caso di specie Pasquale Zagaria, oltre a trovarsi di fronte all’impossibilità di ricevere le ‘indifferibili‘ cure per la sua patologia si trova anche esposto al rischio di contrarre la patologia Sars-Cov-2 in forme gravi (circostanza che ha anche impedito in maniera assoluta ogni ipotesi di ricovero negli ospedali)” . E qui il giudice espone un parere sul 41 bis che è assolutamente opposto a quello formutalto dal magistrato di Milano sul caso del boss di Cosa nostra Nitto Santapaola: “Sotto questo profilo occorre rilevare che benché il detenuto sia sottoposto a regime differenziato e dunque allocato in cella singola, ben potrebbe essere esposto a contagio in tutti i casi di contatto con personale della polizia penitenziaria e degli staff civili che ogni giorno entrano ed escono dal carcere”. E quindi Pasquale “Bin Laden” Zagaria può tornare ad abbracciare la moglie. “Gli aspetti che legittimano l’adozione del provvedimento di differimento sono duplici: l’esistenza di una malattia grave e necessitante cure che non possono essere effettuate nel circuito penitenziario, con concreta esposizione a un pericolo di esito letale; la sussistenza di rischio di gravi complicanza in caso di contrazione del virus Sars-Cov-19“.

“Bin Laden” nell’epicentro del contagio – Il provvedimento affonta anche un quesito fondamentale: quello del bilanciamento tra il diritto alla salute del detenuto e l’interesse pubblico aIla sicurezza sociale. È più pericoloso tenere in carcere il detenuto Zagaria, senza la possibilità di poterlo curare in breve tempo? O fare uscire il fratello del boss dei Casalesi? Una domanda fondamentale visto che il giudice cita esplicitamente “la caratura criminale del detenuto soggetto a regime diffenziato“. E qui il magistrato riporta un parere della corte d’appello di Napoli, secondo la quale “il prolungato periodo di detenzione, posto in correlazione con la circostanza che il detenuto si costituì spontaneamente in carcere e nel corso del processo penale, rese confessione in ordine a gran parte dei reati contestati, condotta che rappresenta un inequivocabile sintomo di iniziale ravvedimento, inducono ad escludere la concreta operatività della presunzione di perdurante al momento della formulazione del giudizio”. Insomma: siccome Zagaria è in carcere da 13 anni non ha più contatti col suo clan. E meno male, visto che il 41bis è stato inventato per questo. In più si era costituito da solo, quindi è praticamente pentito delle azioni compiute. Ma allora perché non si pentito sul serio, diventando un collaboratore di giustizia? Di sicuro, però, Zagaria ha fatto una buona impressione al giudice durante il procedimento. In che modo? “Lo stesso detenuto – si legge nel provvedimento – ha mostrato interesse esclusivamente per soluzioni di cura, anche in altri istituti penitenziari, e non univocamente per soluzioni extramurarie”. In pratica il boss non ha insistito più di tanto per tornare a casa, ma gli sarebbe bastato ottenere il trasferimento in un penitenziario attrezzato per sottoporlo alle terapie necessarie. Così non è stato: per curarsi senza rischiare il contagio, Pasquale “Bin Laden” Zagaria potrà andare ai domiciliari. In una zona che è praticamente l’epicentro del coronavirus.

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