Cannabis, il referendum-truffa lascia impunite tutte le mafie

La proposta di referendum sulla cannabis è la più delirante degli ultimi trent’anni e ha raggirato oltre 600 mila cittadini. È evidente che i firmatari si sono fidati delle spiegazioni dei promotori e non sono andati a guardare il reale contenuto dei quesiti. Chi ha firmato ha creduto di aderire a una proposta di controllo […]

oppure

La proposta di referendum sulla cannabis è la più delirante degli ultimi trent’anni e ha raggirato oltre 600 mila cittadini. È evidente che i firmatari si sono fidati delle spiegazioni dei promotori e non sono andati a guardare il reale contenuto dei quesiti. Chi ha firmato ha creduto di aderire a una proposta di controllo della cannabis che consente la coltivazione di alcune piantine per uso personale e depenalizza la vendita di piccole quantità, togliendo così spazio alle mafie che dominano l’offerta illecita. Proposta apparentemente ragionevole, della quale si può anche discutere una volta accertato che rientri nell’ambito del contrasto di una sostanza dannosa per la salute di tutti.

Tuttavia, due dei tre quesiti parlano d’altro e frodano spudoratamente il lettore, perché rimandano ai commi di un articolo di una legge che nessuno si è preso la pena di consultare. L’articolo è il 73 della legge 309-1990, un manufatto già di per sé arcano che rimanda a un altro articolo, il quale a sua volta rimanda a un allegato che contiene una tabella oscura e quasi introvabile. Mi ci si è voluta mezz’ora per capire di cosa veramente si trattasse. Il primo quesito non consente semplicemente di coltivarsi un paio di piantine in casa propria, esso abolisce sic et simpliciter il divieto di coltivare qualunque pianta stupefacente in qualunque ordine di quantità in qualunque posto designato: libertà di coltivare oppio, coca e cannabis. A volontà e ovunque. Il secondo quesito non depenalizza soltanto la vendita di piccole quantità di cannabis, ma toglie ogni sanzione penale per qualunque reato collegato alla stessa. Il mercato viene legalizzato da cima a fondo. Secondo i promotori del referendum, in Italia si potrebbero produrre, raffinare, detenere, commerciare e distribuire anche tonnellate di cannabis e derivati senza incorrere in alcuna sanzione penale. Pagando solo una multa da 26 mila a 260 mila euro.

Sono vaneggi che lasciano interdetti. Ma la cosa che ritengo più oltraggiosa è presentare questo referendum come una misura antimafia. Tutte le normative di depenalizzazione e distribuzione controllata esistenti, sia in Europa che nelle Americhe, proibiscono la coltivazione, vendita e detenzione di quantità spropositate di cannabis. Lo scopo è quello di ripulire il mercato espellendo i grandi operatori mafiosi e proteggendo l’autoconsumo e i piccoli produttori non criminali che offrono prodotti più sicuri. L’impunità generalizzata per tutti conserverebbe, al contrario, lo status quo, perché sono i network mafiosi che reggono il mercato. Legalizzare la coltivazione dell’oppio e della foglia di coca, inoltre, abolisce d’un colpo le trafile della cocaina prodotta in Colombia e quelle dell’eroina in Afghanistan. Significa togliere alle mafie il disturbo di andarsi a cercare le materie prime in posti lontani e di negoziare logistica e prezzi con i narcos o le mafie mediorientali. ’Ndrangheta, camorra e Cosa Nostra se le potrebbero produrre da sole, queste materie prime, non solo al Sud ma anche nelle serre della Pianura padana, internalizzando tutti i profitti della catena. E fa solo ridere l’argomento che, dato il via libera alla coltivazione di tutti gli stupefacenti, il mantenimento del divieto di raffinazione e commercio delle droghe pesanti sia in grado di stoppare il comando criminale del loro mercato. Una sorveglianza efficace delle coltivazioni ex-illecite sul territorio nazionale sarebbe impossibile perché richiederebbe un apparato mostruoso, pari alle dimensioni dell’esercito italiano. Ma stiamo solo facendo ipotesi. La bravata referendaria implica l’infrazione delle convenzioni Onu firmate dall’Italia. Le sue probabilità di superare il vaglio della Corte costituzionale sono uguali a quelle che avrebbe il “papello” di Totò Riina, cui tra l’altro assomiglia per ispirazione e per profilo dei possibili beneficiari finali.