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Alitalia e due anni vissuti a non far nulla a carico del contribuente

Andrea Giuricin

Dal commissariamento la compagnia ha perso mercato e valore senza trovare investitori. Se questo è lo stato imprenditore…

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Roma. Sono passati quasi due anni dal commissariamento di Alitalia. Nel frattempo, mentre la compagnia continuava a bruciare soldi pubblici, abbiamo assistito a una girandola di possibili investitori. Tutti questi, voluti dai governi che si sono succeduti, sarebbero stati interessati a un vettore che detiene ormai il 14 per cento della quota mercato e che sul mercato più ricco, quello internazionale, detiene ormai l’8 per cento? I commissari hanno potuto fare ben poco nel frattempo. È vero, la perdita operativa è stata ridotta, ma anche nel 2018 nel complesso Alitalia ha bruciato oltre mezzo miliardo di euro, escludendo le partite straordinarie. Intanto, non bisogna scordarsi che nel frattempo verrà creata una BadCO che aveva circa 3 miliardi di debiti verso i creditori e in parte anche verso il contribuente italiano. Ma anche per la compagnia ripulita dai debiti, l’interesse è davvero poco. Tutte queste perdite e un margine operativo negativo a doppia cifra hanno sempre posto il governo in una posizione di debolezza, fino ad arrivare alla questua del mi nel cercare investitori che potessero rilanciare la nuova Alitalia.

 

Alitalia sta andando avanti grazie al prestito ponte di 900 milioni di euro, che non verrà mai restituito e che verrà invece trasformato in partecipazione diretta del ministero dell’Economia e delle Finanze (almeno la parte rimanente). Una posizione sempre più debole, quella di Alitalia, che sembra non essere stata compresa dai diversi ministri a capo del ministero dello Sviluppo nel corso del tempo.

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Andare a trattare con grandi player globali, che fanno utili per centinaia di milioni di euro, se non per miliardi di euro, credendo di avere il coltello dalla parte del manico è stata un’azione suicida. Dapprima Lufthansa che sarebbe anche stata interessata ad integrare Alitalia nel suo business dato che ha sempre avuto una strategia di integrazione di compagnie regionali. Era stato così per Swiss, per Austrian e anche per Brussels Airlines. Per il governo italiano, al posto di imputarsi sul numero di esuberi, sarebbe stato intelligente dire che le condizioni di tagli sarebbero potute andare bene se Alitalia fosse stata considerata come Swiss, ovvero una compagnia tradizionald a tutto tondo, piuttosto che come Brussels, che è finita nella low-cost Eurowings. E invece, l’occasione Lufthansa è sempre stata alle porte e mai esplorata fino in fondo. E poi le innumerevoli compagnie che mostravano interesse per vedere i conti di Alitalia, nell’infinito processo di vendita portato avanti dai Commissari: le low-cost Easyjet e Ryanair per esempio o i partner stranieri come Air France-Klm che scompariva e riemergeva come un fiume carsico. E poi i partner intercontinentali come Delta e le cinesi.

 

Tanti attori, a volte con matrimoni che ripetevo assurdi, come quello tra Easyjet e Delta che avrebbero dovuto essere la spalla di Ferrovie dello stato. Easyjet era interessata allo scalo di Linate e non certo a sviluppare una strategia comune con Delta. A fine dello scorso anno, quando ormai era chiaro che i partner privati non avevano tutto questo interesse per la puntualità di Alitalia, ma che si preoccupavano di più delle perdite dell’operatore, è spuntata in pompa magna l’offerta di Ferrovie dello stato. Ma anche con i soldi del contribuente italiano, via Ferrovie dello stato, non si riescono a trovare partner che vogliano a che fare con lo stato imprenditore. Ed è per questo, che l’unica certezza, anche dopo il tentativo di tirare dentro disperatamente anche Atlantia, è quella che a pagare sarà ancora una volta il contribuente italiano. Il ministro Luigi Di Maio è ottimista, ma il contribuente lo è un po’ meno. Alitalia deve essere lasciata al suo destino di mercato, perché fintanto che la politica crederà di potere pilotare la compagnia aerea, questa sarà solo un enorme sversamento di soldi pubblici.

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