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Alitalia è una condanna che sopravvive anche ai prestiti-ponte

Andrea Giuricin

La storia si ripete: per la Commissione i 900 milioni di euro trasferiti alla compagnia aerea nel 2017 sono aiuti di stato. E anche questa volta sarà impossibile recuperare il prestito 

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L’l’Italia sarebbe in procinto di essere condannata dalla Commissione europea per il prestito ponte di 900 milioni di euro dati nel 2017 ad Alitalia. Almeno questa è l’anticipazione del Financial Times di mercoledì, che evidenzia come la compagnia aerea dovrebbe restituire il prestito. In realtà quindi non si tratterebbe di restituire solo i 900 milioni di euro ai contribuenti italiani, ma anche gli interessi, che sono ormai superiori a 350 milioni di euro. E molto probabilmente, in aggiunta, l’Italia verrà sanzionata con una multa. 


Quel che è certo è che Alitalia non ha ormai più soldi e quindi non potrà restituire nulla. I commissari di Alitalia dovrebbero comunque agire il più velocemente possibile per mettere sul mercato gli asset rimanenti per cercare di recuperare qualcosa. La decisione arriva a distanza di quattro anni dal quel prestito e la lentezza nel prendere questa decisione da parte della Commissione Europea non è un bel segnale per l’Antitrust europeo.


Ma c’è un ulteriore punto importante da considerare. Avendo la Commissione europea di fatto affermato che esiste discontinuità tra la vecchia Alitalia e la nuova Ita, quest’ultima non sarà tenuta a  rimborsare nulla ai contribuenti. Oltretutto è bene ricordare che Ita parte con uno stanziamento di 3 miliardi che sono sempre soldi pubblici messi dal governo.

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Siamo di fronte all’evidenza che il prestito ponte non solo non è servito a salvare Alitalia, ma  costerà molto caro ai contribuenti italiani. Bisogna ricordare che quel finanziamento servì ad andare nella direzione del commissariamento di Alitalia, dopo che i sindacati e i lavoratori di Alitalia avevano bocciato il piano di rilancio di Etihad e dei soci azionisti italiani della vecchia compagnia.

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La politica, dunque, decise di andare avanti con un aiuto di stato, che non solo si era illegale ma non è servito a nulla. E’ solo la conferma che con Alitalia purtroppo la storia si ripete. Non sarebbe infatti la prima volta che l’Italia verrebbe condannata per un prestito illegale alla compagnia aerea. E’ già successo nel 2008, prima della ripartenza con il “piano Fenice” e anche in quel caso i soldi sono andati persi. C’è un certo accanimento nei confronti contribuenti per tenere in vita un’azienda che, evidentemente, non riesce a stare in piedi da sola. D’altronde la compagnia ha continuato a perdere centinaia di milioni di euro l’anno, anche prima del Covid-19, quando tutti gli altri vettori avevano conti in ordine. In 20 anni Alitalia non ha praticamente mai chiuso un bilancio in positivo. E, a parte il latte ormai versato, questo non lascia ben sperare per il futuro.


La ripartenza di Ita oltretutto avviene in un momento estremamente difficile per il settore aereo nel suo complesso. Il mercato intercontinentale, quello che assicura un’importante parte di ricavi ai vettori tradizionali, è ancora bloccato e non si sa bene quando potrà riprendersi. Per questo segmento sarebbe opportuno riaprire le tratte in funzione di criteri oggettivi, con una regolazione comune al fine di far riprendere la domanda anche con un maggior uso di “Covid tested flight”. Invece il mercato domestico ed europeo, dove dovrà competere Ita, è invece aggredito dalle compagnie low cost che hanno tutto l’interesse ad affermarsi e crescere.


In tutto questo si pone il grande punto interrogativo sul sindacato, che parte con uno “sciopero preventivo” il 24 settembre. Lo sciopero è nei confronti di Alitalia, ma sembra avere come obiettivo ultimo cercare di influenzare le scelte del management di Ita circa le assunzioni e il piano industriale. Tuttavia è bene ricordare che proprio a causa la discontinuità richiesta dalla Commissione al governo italiano, il management di Ita deve trovare i dipendenti sul mercato e non solo dalla vecchia Alitalia, e in questo momento, purtroppo, la crisi del mercato aereo ha fatto in modo che ci sia molto personale del settore disponibile.


Alitalia è stata dunque sempre troppo dipendente dalla politica e questo intreccio anziché aiutare a risolvere i problemi ha impedito di trovare soluzioni soluzioni sostenibili e più economiche per i contribuenti italiani.
 

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