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Perché anticipare di due anni l’età della ragione e della responsabilità civile

Adriano Sofri

La mobilitazione scatenata da Greta rappresenta l'influenza che l’impegno delle età più basse esercita sulle più alte

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Enrico Letta, che dice cose intelligenti, ha riproposto, a ridosso delle manifestazioni di ragazze e ragazzi per amore del pianeta, l’abbassamento dell’età per il diritto di voto a 16 anni. Obiettivo che mi sembra in genere del tutto condivisibile, tanto più in una società come la nostra che tende a protrarre sine die l’età minore e a infantilizzare sine die la maggior età. Però avrei un’obiezione sul momento. La proposta va nel senso di annettere all’età della ragione e della responsabilità civile due anni in più: promossi dal basso verso l’alto. Ma la cosa più bella della mobilitazione di cui Greta è stata la scintilla è, al contrario, l’attrazione che l’impegno delle età più basse esercita sulle più alte, un’inversione bellissima, che conferma come i bambini, una volta motivati, siano esemplarmente seri, e come gli adulti, messi di fronte alle debolezze dell’abitudine – pigrizia, ipocrisia, scetticismo, cinismo – si rifugino nel paternalismo e nella saccenteria, o invece riconoscano qualcosa che era stata anche loro e che si era addormentata o rassegnata. Mi piacerebbe che non si avesse fretta di sancire l’ammissione di un nuovo biennio all’ufficialità dell’età dei diritti, ma si lasciasse scivolare dall’alto dell’età costituita l’attenzione e la fiducia verso le età della scoperta, e anche dell’illusione, se volete, per prepararsi insieme a rispingere i ghiacciai verso le altitudini perdute. Le strade dei venerdì votano con le facce e con i piedi, come si diceva una volta dei profughi, prima dell’età stupida.

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