Site icon ilLibraio.it

“Giaguari invisibili” e la fine del Liceo: l’esordio del 18enne Rocco Civitarese

Rocco Civitarese giaguari invisibili feltrinelli

“Una storia di gruppo e anzi di branco, ragazzi sulle soglie dell’età adulta, arrivati in fondo alla scuola e dunque alla fine dell’adolescenza, riluttanti di fronte alla vita che sta per richiamarli all’ordine. I loro amori, le loro ambizioni, i loro incidenti. Un punto di vista fortemente maschile, con la vivezza di un paio di personaggi femminili a tirare le fila della trama e a scompaginare il branco”. Così scrive Michele Serra a proposito di Giaguari invisibili (Feltrinelli), il romanzo d’esordio di Rocco Civitarese, in un articolo pubblicato da Robinson.

Diciotto anni, originario di Pavia, nel 2016 il giovanissimo scrittore è stato semifinalista al Premio Campiello Giovani con il racconto Bianca spuma. Oggi, proprio come i suoi personaggi, Rocco Civitarese sta terminando l’ultimo anno del liceo, momento di passaggio in cui la narrazione si svolge: Pietro, Davide e Giustino si ritrovano alle prese con i più comuni aspetti della fine dell’adolescenza, dagli amori turbolenti alla scelta di cosa fare “da grandi”, dalle delusioni sentimentali alle ragazzate che si commettono in branco. Come scrive Gloria Ghioni su Critica Letteraria: “Il gruppo di ragazzi che si muove per Pavia e si dibatte per affermare la propria individualità è un insieme di paure, desideri, pulsioni, frustrazioni. Ma soprattutto di morsi alla vita, senza curarsi che questi lascino il segno o meno sulla pelle dell’altro”, incuranza caratteristica della fine del Liceo.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un capitolo del romanzo:

Casa Mazzoccone era un palazzo giallino di tre piani che affacciava sulla riva destra del Ticino. Bersaglio del tiro a freccette delle zanzare in estate, lambito dalla nebbia del fiume nei mesi freddi.

Una vocina aveva bisbigliato a Pietro di dare buca a Davide e, invece di andare con gli altri alla sua prima di campionato, barricarsi al terzo piano lontano dai tonfi del pallone sul parquet.

(Devi preparare il test di Medicina, non andare alle partite di uno scimmione.)
… Amico mio.

Però era vero. Anche a costo di trascurare scuola e pianoforte, quel fottutissimo test andava preparato. E pazienza per la partita. Gli serviva un piano di studi.

Cento minuti di simulazioni più un’ora di studio intensivo ogni settimana.

(Con questo programma ti prendi un 34. Punteggio minimo per entrare a Pavia quest’anno: 74,5.)
E se raddoppio?
(Un 49.)
Se triplico le simulazioni e mollo pianoforte?
(Un 69: mi spiace, vecchio mio, goditi il tuo anno sabbatico e torna l’anno prossimo.)

Non esisteva. Pietro Mazzoccone avrebbe sfangato il test al primo colpo. Toccata e fuga.

Perché?

Perché era abruzzese, e quando c’è bisogno non solo di intelligenza agile e di spirito versatile, ma di volontà ferma, di persistenza e di resistenza, io mi sono detto a voce alta…

Tu sei abruzzese.

Aveva raccolto tutto il suo sangue meridionale e, a metà tra l’annullamento della sua vita sociale e il verdetto di una mente lucida e glaciale che pone il proprio futuro come preoccupazione numero uno, aveva elaborato un quarto piano di studi.

Due ore di simulazioni e due ore di studio ogni giorno, più un’ora di ripetizioni con uno studente di Medicina ogni settimana, da quel ventisei settembre ai primi di settembre dell’anno successivo.

(Sono fiero di te. I manuali Alpha Test ce li hai già, vero? Dovresti farti cucire una tasca sulla pancia come i canguri, così hai sempre una simulazione a portata di mano.)
E… Anna?

Mi sto facendo castrare.
(Ti stai preparando un futuro.)

Un paio di settimane prima le aveva scritto un biglietto: “Neanche per un milione di lire smetterei di dirti: mi fai impazzire”.

(E lei come ha reagito?)

Pietro era rabbrividito.

(Te lo dico io. Ti ha squadrato dall’alto in basso e ha sibilato: ma sei scemo?)

Pietro mollò i libri. Aveva bisogno di far andare le gambe. Scese le scale. Un’aria gelida gli portò il respiro tra le clavicole e Pietro infilò le chiavi nel cancello.

Tabù, un cucciolo (65 centimetri per 42 chilogrammi) di pastore bernese, pelliccia vaporosa, lingua grossa come una sogliola e muso nero bianco e marrone, appoggiò le
zampe sulle sbarre.

Pietro aprì il cancello, lasciò uscire la belva e richiuse.

– Andiamo, bello.

Attraversarono la strada, oltrepassarono un muretto di mattoni che divideva il ciottolato dalla sponda del fiume e scesero fino alla riva.

– La vuoi la pappa, sì?

Il bernese gli trottava a fianco con la lingua penzoloni.

Superarono i piloni del Ponte Coperto. Più si allontanavano dai palazzi del borgo più le luci si affievolivano. Una nebbiolina di panna prese consistenza intorno alle loro caviglie. A ogni metro l’aria densa di profumi si bombava come l’impasto della pizza, come se le venature delle foglie di quercia, esposte al sole per una giornata, a contatto con il gelo della notte si disfacessero in un’essenza aeriforme.

Pietro si chiese se l’escursione termica avesse davvero l’effetto di far sprigionare dai vegetali i loro profumi, poi un filmino, che da settimane lo perseguitava nei suoi sogni, cominciò a scorrergli davanti agli occhi…

Quattro marmocchi rosei e paffuti si avventano come lupacchiotti su Anna Pettirosso e si agganciano agli elastici dei suoi slip. La ragazza, snella, abbronzata, i capelli castani, si tiene le tette con le mani per non farle uscire dal reggiseno mentre cerca di divincolarsi.

– Aiuto! Sciò, sciò!

I quattro cuginetti ridono, sbavano, le lanciano la sabbia. Poi si aggrappano tutti insieme alla sua coscia sinistra.

– Ohh…

Anna perde l’equilibrio e cade nel bagnasciuga in una corona di spruzzi.

Gesù. Bella, buona e brava, scommettiamo?

(Macché… Tutta casa e chiesa, certo, ma è il tragitto che la frega.)

Pietro è appollaiato su uno dei cubi di pietra del frangiflutti, una decina di metri oltre la boa. Il costume rosso scolorito, i peli biondi di sole, il pizzetto nero e una frangia da antico romano impolverata di salsedine. Il sole sta tramontando dietro i pini marittimi che contornano la baia. Fucsia e arancione si spalmano sulla sabbia, sul pelo dell’acqua e sulle signore che, avvolte nei parei, si incamminano verso casa. Fa la vedetta da mezz’ora, e Anna braccata dai mocciosi e capitolata in acqua è stata la scena che vale il film.

© Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano.

(Continua in libreria…)

Exit mobile version