“Mammadimerda” da 100mila follower, le ideatrici del blog: «Rovesciamo stereotipi sulla maternità»

Francesca Fiore e Sarah Malnerich
di Valentina Venturi
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Martedì 5 Gennaio 2021, 19:36 - Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 09:25

Mammadimerda”. Ai meno avveduti potrebbe sembrare un insulto, invece è l’idea di due mamme - colleghe prima che amiche - Francesca Fiore e Sarah Malnerich, geniali ideatrici dell’omonimo blog che dal 2016 rovescia scontati cliché sulla maternità e precisa: «Diffondiamo inadeguatezza e leniamo i vostri sensi di colpa». Da allora hanno raggiunto 100 k di follower, hanno creato la petizione da 47 mila firme “Giusto mezzo” e a novembre del 2019 è uscito il libro “Non sei sola: Fenomenologia della Mammadimerda”. Come sia stato possibile lo racconta Sarah Malnerich, facendo le veci di entrambe.

 

Come è nato il geniale nome?

«Quattro anni fa come provocazione e in un certo senso atto politico. La mammadimerda è quella che si discosta dallo stereotipo della mammabene che ha sempre tutto sotto controllo, si contestualizza immediatamente nel momento in cui il test di gravidanza le dà il responso e procede sapendo esattamente cosa sta facendo: ecco noi non lo sappiamo, la mammadimerda accetta di sentirsi inadeguata al ruolo, anzi lo rivendica e si rifiuta di abdicare a tutto ciò che era prima, come se la maternità ti passasse sopra come una livella che rende le donne tutte uguali e perfette. La mammadimerda è quella che non si vergogna di difendere i propri spazi e la propria identità, alla quale magari piace persino il proprio lavoro. Ecco, la narrazione che ci offrono della maternità è molto diversa da questa, e intrinsecamente porta un giudizio: mammadimerda».

Sentite la responsabilità dei 100 k di follower?

«Abbiamo una community molto vivace e partecipativa, autoironica, affettuosa nel suo modo scherzoso e solidale. Il successo più grande è stato ricevere tutto questo affetto portando avanti ciò in cui crediamo ed essendo ciò che siamo senza costruzioni. Non abbiamo responsabilità in questo!».

La solidarietà femminile esiste?

«Tutti i progetti più belli e più felici che abbiamo portato avanti in questi anni sono stati possibili grazie alla collaborazione con altre donne.

L’ultima grande dimostrazione l’abbiamo avuta sul finire del 2020 quando siamo state inserite in un sondaggio sul Torinese dell’anno e si è scatenata una furiosa e festosa competizione: è diventato un voto politico per le donne, ma anche per gli uomini, della nostra community. E la loro solidarietà ci ha fatto vincere. Noi che proprio proprio torinesi non siamo».

Che effetto vi ha fatto “finire” a parlare in un Ted?

«È stato un momento molto significativo per noi che siamo partite da un blog comico, di satira per ribaltare lo stereotipo della maternità, che abbiamo usato poi per sensibilizzare e per mobilitare le persone anche su altri temi che riguardano il femminile. È stato compreso il lavoro che abbiamo cercato di fare con leggerezza per 4 anni».

Quando è successo?

«Durante il lockdown ci hanno invitate a parlare al Ted di Vicenza, nell’edizione che si è purtroppo dovuta svolgere online con il nome de L’altro Binario e il tema era Futuri Possibili. L’invito è arrivato dopo che dalla nostra pagina ci siamo attivate e mobilitate per il diritto all’istruzione dei bambini, e poi a cascate per quelli di famiglie e donne che sono stati completamente dimenticati nel primo lockdown. E lì abbiamo introdotto il tema del sostegno all’occupazione femminile e del livellamento delle disparità di genere attraverso lo strumento del Recovery Fund, raccogliendo la campagna in merito dell’europarlamentare Alexandra Geese intorno alla quale stavamo lavorando con altre attiviste. Con loro abbiamo poi fondato il movimento del "Giusto Mezzo” che richiede questo impegno all’Italia».

In cosa è funzionale il 9Muse?

«È un grande evento di empowerment femminile. Ed essere lì come “musa” per le altre è funzionale a te che, come la maggior parte delle donne, convivi con questa blanda sindrome dell’impostore. E ti offre la possibilità di acquisire consapevolezza, già solo nel dover costruire uno speech sul tuo percorso che sia motivazionale per le altre; poi nel mondo dei social, delle cosiddette influencer, rappresenta una sorta di riconoscimento. Ti permette di uscire dalla tua nicchia, di parlare dei tuoi temi ed arrivare a persone che apparentemente non sono le dirette interessate. Oltre alla possibilità che hai in loco di conoscere altre donne che hanno tanto da dire, ed è sempre uno scambio ricco e proficuo».

Cosa chiedete con la petizione da 47 mila firme presentata alla Camera?

«Il “Giusto Mezzo” chiede che metà delle risorse del Recovery Fund vengano impiegate per livellare le disparità di genere, sostenere e liberare il lavoro delle donne, che sono forza lavoro che in questo Paese viene tenuta ferma causando una perdita economica per tutti senza nessun motivo. Investire in infrastrutture sociali (servizi di cura alla persona dall’infanzia alla terza età), per sollevare dal lavoro di cura che ricade interamente sulle donne, riforme strutturali e non interventi discontinui e sporadici, che ridisegnino il welfare - ad esempio attraverso maggiori tutele della maternità per le lavoratrici autonome, l’innalzamento dei giorni di congedi di paternità obbligatoria - il superamento delle discriminazioni di genere relative al salario e anche ai contratti di lavoro e alle funzioni. Una donna guadagna mediamente il 30% in meno rispetto ad un suo collega. Questa è un’opportunità unica che ci offre il Recovery Fund, il cui vero nome Next Generation Eu è un’indicazione chiara e forte».

La situazione più insolita che si è svolta nel flashmob al Pantheon?

«Il 13 ottobre siamo scese in piazza con un’azione lampo indossando simbolicamente tutte le frasi di ingiustizia subìta o ancora vissuta che le donne ci hanno inviato. Siamo state ricevute da una delegazione di parlamentari e senatori e siamo riuscite ad ottenere un incontro con il Ministro Amendola titolare del dossier sul Recovery Fund, e con il Ministro per il Sud Provenzano, dove la situazione è ancora più grave. Non abbiamo fatto grandi annunci perché eravamo in una situazione di allerta per il virus e non volevamo mettere nessuno a rischio. Eppure molte donne hanno sentito lo slancio spontaneo di raggiungerci per sostenerci, distribuendosi per la piazza. La fortuna di essere in due è stata che mentre Francesca è rimasta per 40 minuti a parlare al megafono, io sono potuta correre insieme alle altre a Montecitorio ad intercettare i parlamentari».

Consiglio alle mammedimerda per il nuovo anno?

«Sopravviviamo. Ma non un passo indietro su ciò che abbiamo conquistato».

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