«Casi più gravi dove c'è smog». Scienziato italiano di Cambridge mappa le aree che sono a rischio

Presto per arrivare a conclusioni certe, ma sono numerosi ormai gli studi che rilevano una maggiore gravità dei casi di Covid-19 nelle zone maggiormente inquinate. In...

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Presto per arrivare a conclusioni certe, ma sono numerosi ormai gli studi che rilevano una maggiore gravità dei casi di Covid-19 nelle zone maggiormente inquinate. In particolare, uno condotto all'Università di Cambridge, da un team guidato da un giovane ricercatore italiano, Marco Travaglio, ha esaminato il territorio inglese, verificando una maggiore incidenza del coronavirus in quelle aree in cui sono più alte le concentrazioni di alcuni agenti inquinanti, come il biossido di azoto e ossido di azoto. Spiega Travaglio, illustrando la ricerca che è stata rilanciata anche dal Financial Times: «Abbiamo analizzato i dati disponibili sia sui casi totali, sia sulle morti per Covid-19 e verificato una correlazione con tre agenti inquinanti atmosferici, utilizzando i dati pubblici di sette regioni e in 120 stazioni di rilevamento. La correlazione c'è: il numero maggiore di vittime è nelle Midlands e a Londra, dove ci sono alte concentrazioni di biossido di azoto. Vorrei però precisare che il nostro è uno studio preliminare, anche se le nostre conclusioni coincidono con quelle di altre ricerche. Questi inquinanti sono causati soprattutto dal traffico veicolare, dalle industrie, dai combustibili fossili».


ANALISI Secondo Miguel Martins, autore senior dello studio, la ricerca «si aggiunge alle crescenti prove del Nord Italia e degli Usa che alti livelli di inquinamento atmosferico sono collegati a casi più mortali di Covid-19». Travaglio osserva che certo, una componente che incide sull'alto numero di morti per Covid in determinate località, potrebbe essere legata alla densità della popolazione. Ma ricorda anche gli altri studi che vanno in quella direzione. L'Università di Aarhus, in Danimarca, ha realizzato una ricerca per comprendere come mai il tasso di letalità nel nord Italia sia al 12 per cento, mentre nel sud sia sotto il 5. A questo studio hanno lavorato lo scienziato ambientale Dario Caro del Dipartimento di Scienze ambientali e due ricercatori sanitari (Bruno Frediani ed Edoardo Conticini, dell'Università di Siena in Italia). Sul sito di Science Daily viene spiegato: «Questi scienziati hanno pubblicato un articolo intitolato.


L'inquinamento atmosferico può essere considerato un co-fattore nel livello estremamente elevato di mortalità SARS-CoV-2 nel Nord Italia?, in cui dimostrano una probabile correlazione tra inquinamento atmosferico e mortalità in due delle regioni più colpite nel nord Italia: Lombardia ed Emilia Romagna». Si tratta di due regioni tra le più inquinante d'Europa, che ogni anno combattono contro valori altissimi di polveri sottili. Secondo Caro non vanno comunque trascurati altri fattori, dall'età media molto alta alla risposta dei sistemi sanitari. Vero, però, che c'è una inquietante coincidenza tra le mappe che oggi in Italia illustrano una vasta e letale diffusione del virus e quelle che normalmente raccontano le cicliche emergenze legate alle polveri sottili. Sul sito della School of Pubblic Health di Harvard si parla di un terzo studio che ha esaminato 3.080 contee degli Stati Uniti. «Le persone con Covid-19 che vivono in regioni statunitensi con alti livelli di inquinamento atmosferico hanno più probabilità di morire rispetto a quelle che abitano in aree meno inquinate». Lo studio, in particolare, ha preso in considerazione le Pm 25, vale a dire le micro particelle ancora più insidiose delle Pm 10.
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Il Messaggero