Il "cuore verde d'Italia" può essere
un faro per l'agricoltura nazionale:
l'Umbria in vantaggio nel post-crisi

da "Angolo di Campo", contest fotografico di Umbria Agricoltura
di Michele Bellucci
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Lunedì 27 Aprile 2020, 07:55
PERUGIA - È tornato al centro dell’attenzione il ruolo del settore primario nell’economia italiana, soprattutto ora che si inizia a pensare al post-emergenza Coronavirus. Un’agricoltura pregna di contraddizioni, che dalle pianure del Prosecco alle serre dei Pachino dovrà reinventarsi rapidamente per non soccombere al nuovo contesto; allo stesso tempo regioni come l’Umbria, storicamente “meno produttive” in termini numerici ma anche estremamente ricche di eccellenze e presidi della biodiversità alimentare, appaiono improvvisamente come modelli cui ispirarsi per far ripartire l’intero comparto. Sono in tanti ad esserne convinti e la strada da seguire per affermare “il cuore verde d’Italia” ai vertici della nuova agricoltura nazionale sembra ben delineata: «In questo periodo di emergenza ho notato l’innescarsi di un ragionamento - osserva David Grohmann, ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Ambientali dell'Università degli Studi di Perugia nonché uno dei principali motori dell’Orto Sociale di San Pietro - ovvero che non è saggio far venire, ad esempio, una mela da chissà dove perché se arriva da vicino avrà fatto meno passaggi e sarà quindi un prodotto più sicuro. Così un territorio come il nostro, che spesso sentiamo criticato per il suo isolamento, ha un vantaggio notevole: non solo perché presenta una serie di eccellenze nella produzione agricola che molti ci invidiano, ma anche perché qui spostare merci è complicato mentre riuscire a produrre e consumare in spazi ridotti risulta essere la cosa più semplice da fare. Il mercato sta già cominciando ad esplorare questa cosa, sebbene il meccanismo non abbia ancora raggiunto la massa critica necessaria».

Caratteristiche finora penalizzanti per l’economia agricola che si stanno rivelando ora opportunità. È di questo avviso anche Gilberto Santucci, responsabile dell’Azienda dell’Istituto tecnico agrario “Ciuffelli” di Todi, la scuola di agricoltura più antica d'Italia: «Noi in Umbria abbiamo avuto la fortuna di rimanere indietro. In questo caso non ha un'accezione negativa, perché significa non aver compromesso particolarmente l'ambiente, salvo rare zone. Il nostro territorio non si presta ad allevamenti intensivi e le vie di comunicazione ci hanno tenuti ai margini, quindi l'Umbria dopo l’emergenza ripartirà da dove era mentre altre regioni saranno costrette a tornare indietro. Potremmo scattare per primi, ma tutto va trasformato in un brand Umbria». E’ questo un elemento che sembra emergere con insistenza, ovvero che quell’immagine dell’Italia dei mille borghi e dei mille campanili abbia fatto il suo tempo, ancor più in un territorio piccolo come l’Umbria che solo promuovendosi coralmente potrà davvero emergere: «Dobbiamo diventare il brand delle produzioni agricole tutte, un territorio meno compromesso di tanti altri che si trova esattamente al centro dell'Italia. Il famoso “cuore verde” - sostiene Santucci - è uno slogan vecchio di 50 anni che in realtà ancora oggi mette insieme tante nostre peculiarità. Credo che ormai i tempi siano maturi per rilanciare l’immagine dell’Umbria come polo d’eccellenza in ambito agricolo e sembra ci siano i presupposti affinché la politica abbia il coraggio di accettare la sfida».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Luciano Concezzi, responsabile dell’Area innovazione e ricerca di 3A-Parco Tecnologico Agroalimentare dell'Umbria, una vera eccellenza nota a livello nazionale e internazionale: «Ci attende un periodo di grande stimolo, per il Paese in generale e per l’agricoltura in particolare. L’Umbria parte da una posizione privilegiata perché è un popolo che l’isolamento sociale ce l’ha nel sangue. Poi siamo in pochi, quindi anche l’agricoltura in Umbria sarà più “tranquilla” rispetto ad altre aree del Paese. Se parliamo di opportunità, questo sarebbe il momento di dare ancor più forza a quelle che sono le nostre produzioni identitarie, il vero dato caratterizzante».

Ovvio che gli ostacoli all’orizzonte non sono pochi, con alcuni comparti come quello vitivinicolo che stanno soffrendo una crisi senza precedenti: «La ripresa del settore sarà legata soprattutto alla ripartenza dell’esportazione - chiarisce Massimo Sepiacci, presidente di Umbria Top Wine, la società cooperativa che raggruppa la maggioranza delle aziende vitivinicole regionali - perché il grosso della partita si gioca lì. Il vino umbro non è molto conosciuto e la nostra idea è quella di promuovere l’immagine di un territorio che anche in questa emergenza è rimasto ai margini. Le più famose aree di produzione italiane sono state colpite dal virus con maggiore violenza, mentre l’Umbria per fortuna meno. La proposta è condurre un’attività promozionale che metta in evidenza le particolarità dell’intera regione, fatta di territori diversi ognuno con le sue interessanti peculiarità». Che i territori meno violentati abbiano risposto meglio all’attacco del Coronavirus lo confermano tanto i dati quanto il buonsenso. Inoltre dopo aver vissuto una simile emergenza c’è da scommettere che aumenterà il numero di persone che pretenderanno di mangiare cibo coltivato e allevato in aree dove l’ambiente è più sano: «L’Umbria potrebbe essere una delle prime regioni a tornare in condizione di sicurezza - afferma Michele Barchiesi, presidente di DiBiUm, l’ambizioso progetto del Distretto Biologico Umbro - e sarà una meta ideale dove passare dei giorni di riposo a contatto con la natura. Per tradizione questi territori sono storicamente abituati a una densità abitativa molto bassa, con agriturismi e aziende agricole che dispongono di grandi spazi e mediamente pochi posti letto. In altre circostanze sarebbe un limite, ma ora diventerà un vantaggio. Il problema è che qui spesso c’è una visione “singola”, invece trovo che sarà impossibile uscire dalla crisi senza fare gruppo. Anche per questo la nostra rete punta a promuovere una cosiddetta “agriregione”, un unico territorio che può essere valorizzato nel suo insieme». I tempi sembrano maturi per rilanciare l’immagine dell’Umbria come polo d’eccellenza in ambito agricolo, un unico territorio da valorizzare nel suo insieme dove il settore primario rivesta fino in fondo un ruolo d’importanza strategica.
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