Louis XIV At Court
(Hulton Archive/Getty Images)

Alcuni musei francesi stanno rinunciando ai numeri romani

Per renderli più comprensibili ai turisti, il Louvre li ha sostituiti con quelli arabi per i secoli, per esempio

In alcune targhe del suo percorso espositivo il museo Carnavalet di Parigi, dedicato alla storia della città, non utilizzerà più il sistema di numerazione romano per indicare i secoli e i sovrani: il XVII secolo sarà quindi scritto 17°, mentre re Luigi XIV diventerà Luigi 14. Nelle altre, riprenderà la stessa soluzione adottata qualche tempo fa dal museo del Louvre, uno dei più importanti e famosi al mondo, che si era limitato a usare i numeri arabi per i secoli e aveva lasciato i numeri romani per re e regine.

Noémie Giard, responsabile dei servizi al pubblico del Carnavalet, ha spiegato al giornale francese Le Figaro che «non siamo contrari ai numeri romani ma possono essere un ostacolo alla comprensione», sia per alcuni visitatori francesi che per molti stranieri che non parlano lingue derivate dal latino.

Il museo, che ha appena concluso i lavori di rinnovamento iniziati nel 2016, ha anche deciso di semplificare e accorciare i testi che accompagnano le sale perché «i visitatori li leggono poco, soprattutto se sono troppo lunghi», ha detto sempre Giard. Ora adotterà testi lunghi tra i 1.000 e i 1.500 caratteri per gli adulti e non oltre i 500 caratteri per quelli specificamente rivolti ai bambini: i secoli saranno espressi con i numeri arabi, mentre i sovrani manterranno quelli romani. Ma ci sarà una terza tipologia di testi lunghi non più di 300 caratteri, con disegni tattili comprensibili a tutti e frasi in braille, in cui sia i nomi dei secoli sia quelli dei sovrani useranno le cifre arabe. L’obiettivo è modernizzare il museo, semplificarlo e renderlo comprensibile al maggior numero possibile di visitatori. Va anche ricordato che i francesi leggono i numeri che accompagnano il nome dei sovrani come cardinali e non ordinali, cioè non leggono Luigi Sedicesimo, ma Luigi Sedici, e questo rende il passaggio ai numeri arabi più naturale che in italiano.

La decisione ha fatto discutere linguisti, insegnanti, latinisti e direttori di musei. Per esempio il direttore del museo di Belle Arti di Rouen, nel nord della Francia, si è opposto all’idea perché «il museo è senza dubbio uno dei luoghi dove possiamo continuare a far vivere e a spiegare» i numeri romani. Il latinista Jacques Gaillard ha detto sempre a Le Figaro che non sono difficili da leggere, basta impararlo, ma che «da 20 anni siamo sotto l’influenza americana e gli americani non sanno leggerli». Altri studiosi, storici e insegnanti di lingue antiche hanno spiegato che questo è proprio il modo per dimenticare più rapidamente come leggere i numeri romani, che fanno parte della cultura classica e del passato francese.

I numeri arabi iniziarono a diffondersi in Europa dal X secolo d.C. e sostituirono lentamente quelli romani, comunemente usati allora. Gerberto di Aurillac, poi papa Silvestro II, fu tra i primi a farli conoscere nel 980 d.C. Nel 1202 il matematico italiano Leonardo Fibonacci, che aveva studiato in Algeria, pubblicò il trattato di algebra e matematica Liber Abaci, dove introdusse il sistema di numerazione arabo (che lui chiamava correttamente indiano: era stato infatti inventato in India e poi introdotto nella cultura occidentale dagli astronomi arabi). Il nuovo sistema prese definitivamente piede con la stampa a caratteri mobili, a partire dal Quattrocento. I numeri romani restarono a indicare i secoli, le numerazioni (dei sovrani, dei pontefici e, più di recente, dei film di una stessa saga) e i quadranti degli orologi.

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