Richiedenti asilo, il tribunale obbliga il Comune di Bologna a dare la residenza

Il Comune aveva negato l'iscrizione anagrafica in base al decreto Salvini. I giudici: "Tutela i diritti costituzionali". Merola soddisfatto: "Non ci opporremo"

Ufficio anagrafe (archivio FotoFiocchi)

CRONACA

Bologna, 2 maggio 2019 - Il tribunale di Bologna ha dato ragione a due richiedenti asilo a cui il Comune aveva negato l'iscrizione anagrafica in base al decreto Salvini. Ora il municipio dovrà provvedere all'iscrizione su ordine della magistratura. Non si opporrà il sindaco Virginio Merola, che ha espresso "soddisfazione".

Il tribunale ha accolto il ricorso sottolineando che la mancata iscrizione ai registri anagrafici impedisce l'esercizio di diritti di rilievo costituzionale ad essa connessi, tra i quali rientrano ad esempio quello all'istruzione e al lavoro.

A dare notizia della decisione, sulla sua pagina Facebook, è lo stesso primo cittadino. "Oggi - scrive Merola sulla sua pagina social - il giudice di Bologna ha dato ragione a due richiedenti asilo che si erano visti negare l'iscrizione anagrafica dai nostri uffici sulla base del 'decreto Salvini' e ha ordinato al Comune di iscriverli. Saluto questa sentenza con soddisfazione, il Comune la applicherà senza opporsi".

A giudizio di Merola, si legge nel post, "smentire la destra significa batterla usando la legge e la legalità democratica. Quando ho ridato l'acqua agli occupanti ho agito come autorità sanitaria e non come delegato del Governo, che è invece il caso dell'Anagrafe. Il ministro Salvini fa propaganda ma i fatti - conclude il sindaco di Bologna - lo smentiscono, è ingiusto negare la residenza ai richiedenti asilo".

Sono due i richiedenti asilo a cui i giudici hanno dato ragione. Uno dei due casi riguarda una donna, senza fissa dimora, assistita da due legali dell'associazione Avvocato di stradaAntonio Mumolo e Paola Pizzi. La donna ha chiesto l'iscrizione anagrafica il 4 febbraio e il 6 marzo l'ufficiale di anagrafe di Palazzo d'Accursio ha dichiarato "irricevibile" la domanda. La richiedente asilo ha depositato il proprio ricorso il 27 marzo e oggi è arrivato il pronunciamento del Tribunale, firmato dalla giudice Matilde Betti.

La ricorrente è titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è temporaneamente ospite in una struttura di accoglienza. La donna ha dichiarato di aver lasciato il proprio Paese d'origine sentendosi perseguitata a seguito della sparizione del proprio marito e figlio e di non disporre in città di una sistemazione alloggiativa stabile. La norma non contiene un divieto esplicito di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, si spiega nella sentenza, bensì evidenzia come il permesso di soggiorno per richiesta asilo non vale a consentire l'iscrizione anagrafica del richiedente in base a questo permesso. La dizione "non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica", continua il pronunciamento, pone problema interpretativo". 

Questo perché nel quadro normativo non si riscontrano situazioni di fatto o titolarità di documenti che costituiscano titolo per l'iscrizione anagrafica nei registri della popolazione residente. Questa iscrizione è invece l'esito di un procedimento amministrativo ben descritto nel regolamento anagrafico della popolazione residente (il Dpr 223 del 1989).

L'iscrizione anagrafica avviene dunque in base alle dichiarazioni degli interessati, agli accertamenti disposti dall'ufficio e alle comunicazioni dello stato civile, si sottolinea nella sentenza. Secondo il Tribunale, nel quadro normativo vigente il permesso di soggiorno (per richiesta asilo o altro) non è mai stato "titolo" per l'iscrizione anagrafica, bensì costituisce una prova del requisito del regolare soggiorno.

Fatte queste premesse, se ad una prima lettura la norma così come modificata dalla legge Salvini appare poco chiara e di difficile comprensione, per il Tribunale la sua comprensione all'interno del quadro costituzionale e del diritto europeo ne consente una interpretazione costituzionalmente orientata. Per il Tribunale sussiste pertanto il "fumus boni iuris" del diritto allegato dalla ricorrente alla richiesta iscrizione anagrafica, così come sussiste il "periculum in mora" ipotizzato dalla ricorrente poiché la mancata iscrizione ai registri anagrafici impedisce l'esercizio di diritti di rilievo costituzionale, come quello all'istruzione e al lavoro. Per questi motivi, il Tribunale ordina al sindaco l'iscrizione nel registo anagrafico, con le modalità previste per i senza fissa dimora.

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