Bisogno fisiologico in luogo pubblico: cosa si rischia?

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Fare la pipì per strada o ai margini dell’autostrada è reato? Si rischia di essere condannati con una sanzione penale oppure c’è solo una multa? Se non si può trattenere si è giustificati?

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«Non ne posso proprio più… io la faccio qui». La canzone di un bambino diventa spesso realtà di tutti i giorni. Quante volte, nel corso di una passeggiata o durante un lungo viaggio, sopraffatti da un bisogno fisiologico, ci siamo appartati per fare la pipì? Il fatto di essere in un luogo pubblico non ci ha impedito – adottate le dovute accortezze per non farci vedere – di liberare la vescica. Eppure c’è chi lo fa con tanta naturalezza da farsi scoprire. E in quel caso, al di là del senso di disgusto o di indifferenza che può provare il passante che assiste alla scena, il comportamento non può certo essere considerato lecito. Un po’ perché, spesso, si insozzano luoghi che dovrebbero invece restare immacolati, ivi compresi i parchi o le pendici degli alberi ove si usano fare picnic. Un po’ perché, generalizzando l’uso, le nostre strade potrebbero facilmente diventare luoghi di nudismo. Il punto però è capire dov’è il confine tra il lecito e l’illecito, tra il caso eccezionale e quello normale: quando cioè l’impellente bisogno fisiologico, che non possa essere altrimenti trattenuto, può giustificare il fatto di urinare in luogo pubblico. E, in tal caso, bisognerà comprendere se la condotta possa essere qualificata come un reato o un semplice illecito amministrativo.

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Di tanto si è occupata una recente sentenza della Cassazione [1]. La Corte ha risposto al seguente quesito: in caso di bisogno fisiologico in luogo pubblico: cosa si rischia? Vediamo qual è stata la risposta.

Fare la pipì per strada è reato?

Fare la pipì per strada è stato a lungo un comportamento considerato reato. In particolare, la legge e l’interpretazione giurisprudenziale faceva rientrare questo gesto tra gli “atti contrari alla pubblica decenza” (non quindi nel più grave delitto di “atti osceni in luogo pubblico”).

Per chi la faceva contro il muro di un palazzo – pubblico o privato – c’era anche il reato di danneggiamento e imbrattamento di cose altrui. Anzi, a dire il vero, quest’ultimo reato sussiste ancora oggi se il cane alza la gamba in prossimità della proprietà privata. Nel caso dell’animale non è ovviamente in discussione l’esposizione dei genitali (anche perché non si è mai visto un cane con le mutande), ma il fatto di aver sporcato un bene altrui. Peggio se si tratta di

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edifici pubblici come il Comune o una scuola.

Nel 2016 [2] però le cose sono cambiate. Gli atti osceni in luogo pubblico e quelli contrari alla pubblica decenza sono stati depenalizzati. Ciò significa che, in caso di un bisogno fisiologico dell’uomo, il gesto è punito non più come reato, ma come semplice illecito amministrativo. Si rischia quindi una banale sanzione, dello stesso tipo di una multa stradale. Nessuna ripercussione quindi sulla fedina penale, nessun processo, ma solo un verbale emesso dalla Prefettura. “Banale” per modo di dire: le sanzioni pecuniarie infatti sono tutt’altro che lievi. Chi fa un bisogno fisiologico in luogo pubblico rischia una multa tra 51 e 309 euro (la sanzione è stata rivista del 2022 dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 95/2022).

Prima dell’intervenuto della Consulta la pena poteva andare da 5mila a 10mila euro. A conti fatti era meglio il reato (almeno per il colpevole): all’epoca era più facile farla franca grazie alla prescrizione – molto probabile, per via dei lunghi tempi dei nostri processi – la quale comportava anche l’inapplicabilità di sanzioni pecuniarie.

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La Corte Costituzionale, per verificare la proporzionalità del trattamento sanzionatorio, si è soffermata sulla forma di disvalore da attribuire alle condotte punite, per concluderne che «si tratta di condotte certamente in grado di ingenerare molestia e fastidio, ma altrettanto indubbiamente di disvalore limitato, risolvendosi, in definitiva, in una espressione di trascuratezza rispetto alle regole di buona educazione proprie di una civile convivenza.

E dunque prevedere comunque sanzioni per migliaia di euro appare alla Corte del tutto irragionevole. È vero il legislatore, nella determinazione delle sanzioni, ha un’ampia discrezionalità e tuttavia, ricorda la sentenza , questa discrezionalità non può sconfinare nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio, come nei casi in cui la scelta risulta macroscopicamente incoerente rispetto ai livelli medi di sanzioni amministrative previste per illeciti amministrativi di simile o maggiore gravità.

Soccorre allora il confronto con illeciti amministrativi di assai frequente realizzazione come quelli previsti in materia di circolazione stradale, molti dei quali, invece di determinare molestia o fastidio nell’occasionale spettatore, espongono a grave pericolo l’incolumità altrui, se non la stessa vita. Basta pensare, esemplifica la pronuncia, che chi ha superato con la propria auto di oltre 60 km/h il limite massimo di velocità consentita, magari nel mezzo di un centro abitato, è soggetto oggi a una sanzione amministrativa compresa tra 845 e 3.382 euro. «Una tale disparità sanzionatoria non può non ingenerare, in chi risulti colpito da una sanzione così severa, il sentimento di aver subito una ingiustizia. Sentimento che ha le proprie radici proprio nel vulnus avvertito a quel “valore essenziale dell’ordinamento giuridico di un Paese civile” tutelato dall’articolo 3 Costituzione».

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Del resto l’eccessiva severità soprattutto del minimo (5.000 euro) è di facile comprensione, se si tiene conto che il medesimo importo è previsto per il più grave illecito di atti osceni. La sentenza conviene allora che il trattamento più congruo sia quello oggi stabilito per gli atti osceni colposi.

La retroattività della depenalizzazione

La depenalizzazione del reato di atti contrari alla pubblica decenza – così come tutte le depenalizzazioni – è retroattiva: si applica cioè anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Quindi, chi ancora deve essere processato per una pipì fatta per strada prima del 2016 deve sapere che sarà assolto. Ma gli atti saranno trasmessi alla Prefettura per l’irrogazione della sanzione pecuniaria.

L’urgenza fisiologica è una giustificazione?

Una volta appurato che fare la pipì per strada non è reato ma solo un’infrazione amministrativa, vediamo se la multa può essere evitata dichiarando al poliziotto di non essere stati in grado di trattenerla. La risposta è “no”: ciascuno di noi deve poter essere in grado di

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anticipare il bisogno fisiologico in modo da provvedere per tempo, senza dover ricorrere a soluzioni estreme come il denudarsi in luogo pubblico. Anche chi soffre di problemi alla vescica o alla prostata non può chiamare, in suo soccorso, la malattia salvo che un certificato medico attesti l’impossibilità oggettiva di prevedere il bisogno e l’incapacità di trattenerlo. Insomma, sono giustificati solo i casi più gravi e, comunque, solo laddove non dovessero esserci luoghi ove liberarsi (bar, ristoranti, ecc.).

Cosa si intende per luogo pubblico?

Quando si parla di luogo pubblico si intende qualsiasi posto accessibile a chiunque. Quindi anche una strada cieca. Sono compresi anche i luoghi privati aperti al pubblico come ad esempio il parcheggio di un supermercato, una pompa di benzina, ecc. Anche la piazzola di sosta di un’autostrada è un luogo pubblico che vieta di fermarsi per fare pipì.

Per evitare la sanzione bisogna essere in grado di nascondersi, fare cioè di tutto per non farsi vedere. Ma è chiaro che, se così dovesse essere, il problema non si porrebbe: chi infatti adotta questa precauzione non può neanche essere beccato dal poliziotto, mentre invece chi viene colto in flagrante non potrà dire di aver fatto il possibile per rendersi trasparente.

Come contestare la sanzione?

In ogni caso, chi si becca la multa per il bisogno fisiologico fatto in luogo pubblico può sempre fare opposizione davanti al giudice di pace entro 30 giorni dal ricevimento della sanzione. Ma bisogna avere, dalla propria parte, un buon certificato medico per evitare la condanna.

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