«Quando si muore, si muore soli» è l’ultimo verso in rima de «Il Testamento», una canzone di Fabrizio De Andrè che con un testo ironico scherza sulla morte, raccontando le ultime volontà di un uomo vicino al trapasso. Prende in giro gli eredi e le loro ipocrisie, riservando però un premio, «una vanga d’oro», al becchino che lo seppellirà. Dall’ironia alla storia di oggi, vera, triste e terribile, di chi perde la vita ai tempi del coronavirus. E che spesso, «muore solo» per davvero.

Un radicale cambiamento a livello di cerimonia (funerali vietati in chiesa, chiuse case funerarie e sale di commiato, ammessa la benedizione della salma al cimitero in forma privata o cremazione), dei rapporti tra familiari e che coinvolge anche le imprese di onoranze funebri. In Piemonte sono più di 300 e occupano oltre mille addetti. Sono loro, in questi giorni di emergenza e restrizioni, i più «vicini» al defunto, oltre che gli unici a occuparsene «post mortem», se positivo al Covid19. «Viviamo incertezza e paura - dice Alessandro Bosi, segretario della Federazione nazionale italiana imprese onoranze funebri -. Quando ci si approccia anche a un morto in abitazione e per cause naturali, non si può dare per scontato che non fosse contagiato. Le Regioni dicono che al decesso non esiste un pregiudizio igienico-sanitario perché cessa la respirazione, ma quando lo si va a vestire e movimentare un minimo di pressione del torace provoca scambi d’aria». «Non bisogna creare panico tra gli operatori - aggiunge -, ma sono necessarie le massime precauzioni. In condizioni normali ci si stringe la mano, ora sembriamo tutti medici, indossiamo mascherine, guanti di lattice, grembiuli, prodotti igienizzanti, che però iniziano a mancare». Fra le altre criticità, il calo di fatturato (un funerale costa in media mille euro in meno), soprattutto per le piccole imprese meno strutturate, e poi le difficoltà burocratiche, per la crescente indisponibilità dei medici di base a visitare la salma e compilare le schede Istat sulla causa di morte.

Nei casi accertati di coronavirus (43 vittime in Piemonte), la salma non viene «vestita», ma avvolta in un materassino-barriera igienizzante e subito chiusa nella bara zincata. Poi il trasferimento al cimitero, ma senza la partecipazione dei familiari, spesso perché a loro volta contagiati o in isolamento preventivo. «Assistono alla funzione da casa, li informiamo con foto e video Whatsapp di alcuni momenti della benedizione e sepoltura - dice Marco Bagliano, titolare di un’agenzia di Alessandria -. Anche per i decessi “normali” il semplice gesto delle condoglianze si è tramutato in un inchino, anche tra parenti. Il saluto del feretro solo con la voce, non si può toccare. Situazione commovente, anche per noi».

«Viene a mancare la “pietas” latina, il sentimento di compassione tra le persone - dice Piergiuseppe Costantino, contitolare di un’agenzia a Cuneo e consigliere dell’Apiof, Associazione piemontese imprese onoranze funebri -. Usi, costumi e tradizioni sono stravolti, soprattutto l’elaborazione del lutto per una famiglia, davvero difficile: lo stringersi tutti insieme, ricevere visite di amici, colleghi, aiuta a superare il dramma, ma oggi è impossibile. E anche noi operatori, non riusciamo ad essere d’aiuto dal punto di vista umano».

Così anche in Valle d’Aosta. «I parenti sul manifesto funebre non indicano neanche orari e giorno della sepoltura - dice Marco Camandona, un’impresa funebre ad Aosta -. Chiuse le camere mortuarie, i loro cari li vedono dopo la vestizione, oppure dopo la chiusura del feretro per 5 minuti, e sempre uno per volta. Alla benedizione della salma, il sacerdote impiega in media una trentina di secondi. Uno choc per tutti. I clienti si lamentano, ma comprendono la situazione». Anche per predisporre il funerale, le condizioni e i rapporti sociali sono diversi. «Prima c’era un incontro di persona in ufficio, ora facciamo quasi tutto al telefono o su Whatsapp - dice Alberto Bianco della Brignone, in piazza Municipio a Cuneo -, o anche all’aperto, ma a distanza di sicurezza. Con il massimo tatto e discrezione, ma anche con un po’ di vergogna, ci informiamo sulle cause di morte perché non possiamo escludere il rischio Covid19. Ultimamente, c’è chi ha un parente in fin di vita e telefona per chiedere consigli su come comportarsi quando accadrà».

«Brutto da dire, ma siamo solo all’inizio - dice Paolo Schirripa, della Giubileo di Torino -. Quando il Covid è ufficiale, ospedali e strutture sanitarie azzerano i contatti, ma ci saranno altri decessi, anche casi non conclamati, che con il tampone successivo al decesso risulteranno positivi e faranno scattare le procedure. Spiacevole per le famiglie, ma è giusto così. Altrimenti non ne verremo mai a capo». 

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