ROMA
Berlusconi cerca in tutti modi di esorcizzare l’immagine di un’Italia in declino e impoverita. Smentisce che il macigno sulla strada della ripresa sia lui e il suo governo. Semmai c’è la «moda passeggera di assaltare i titoli di Stato italiani». Del resto una vera crisi non c’è e comunque gli italiani «non la sentono in modo spasmodico come nelle rappresentazioni dei giornali». La verità del premier, dunque, è diversa anche da come viene descritta da imprenditori, commercianti, associazioni dei consumatori e famiglie (innanzitutto quelle monoreddito con figli e anziani a carico). Ma alla fine del G20 il presidente del Consiglio ha voluto ripetere un copione che finora gli ha portato bene.
Si è presentato ai gior

nalisti insieme a Giulio Tremonti mostrando un feeling di facciata che si vedeva a occhio nudo quanto fosse falso. Seduti uno di fianco all’altro, separati solo dalle bandiere dell’Italia e dell’Unione europea. Sorridono entrambi, poi arrivano le domande dure dei cronisti e le crepe sono molto visibili. Quanto sia diverso anche il loro modo di intendere la crisi economica è notorio a tutti. Ieri Tremonti guardava Berlusconi come un marziano quando quest’ultimo si è lanciato nell’elogio della ricchezza italica.


Per Berlusconi infatti la crisi economica in Italia non esiste e il suo governo non è commissariato dall’Europa e dal Fondo monetario. Non ci sarà «nessuna limitazione»; il monitoraggio sarà solo una semplice «certificazione esterna». Per il resto gli italiani vivono in «un Paese benestante». «I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, si fatica a prenotare un posto sugli aerei». Certo «siamo consapevoli che da quando c’è l’euro si sono verificati impoverimenti di una fascia importante della popolazione italiana. Prima chi guadagnava due milioni al mese stava bene. Oggi con mille euro è difficile mandare avanti una famiglia. Con 80 euro si torna dal supermercato con un carrello che non contiene molte cose».


Nelle parole di Berlusconi ritorna il concetto che è tutta colpa dell’euro, anzi del cambio lira-euro che «abbiamo sempre ritenuto incongruo e penalizzante per l’Italia». Proprio quel cambio stabilito dal governo di centrosinistra quando Carlo Azeglio Ciampi era ministro del Tesoro.


Insomma, lui non ha colpe e lo stesso problema di credibilità dell’Italia, sottolineato ieri anche dalla direttrice del Fondo monetario, Christine Lagarde, non riguarderebbe i protagonisti della politica italiana di oggi. Sarebbe piuttosto «un pregiudizio antico». «Noi subiamo una mancanza dell’Italia nel passato. In questi giorni, di fronte a quella vicenda sulla sostituzione di un italiano nel board della Bce, abbiamo captato delle frasi dai nostri amici francesi, «les italiens, toujours les italiens». Un riferimento nemmeno tanto velato all’economista Lorenzo Bini Smaghi che non lascia la Bce per fare posto a un rappresentante francese.


Tremonti non è molto convinto di certe affermazioni del presidente del Consiglio, soprattutto quelle sul benessere degli italiani. Dice di non avere nulla da dire sull’opportunità di un cambio a Palazzo Chigi, delle indiscrezioni sulle furiose liti con il presidente del Consiglio e le sue dimissioni da ministro. Anzi spalleggia il Cavaliere per smentire che il nostro Paese è finito nella tenaglia del doppio controllo Ue-Fmi. Spiega che l’aiuto del Fondo monetario «è stato pensato non tanto come aggiunta finanziaria ma come know how, come esperienza empirica, nuova. Vogliamo che il processo di riforma in atto sia così trasparente da essere controllato. È utile e rende più chiaro l’impegno dell’Italia». Quello che entrambi non dicono è che il doppio monitoraggio è stato chiesto da Francia e Germania non dalla stessa Italia come cerca di vendersi il presidente del Consiglio. Eppure, già dalla mattinata di ieri, gli uomini di Palazzo Chigi si erano affrettati a smentire la «sorveglianza rafforzata».

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