C’era una volta Serena Cruz. Una favola triste dove una bambina, alla fine degli anni’80, venne strappata ai genitori che l’avevano adottata nelle Filippine. Colpevoli, loro, di aver detto il falso sulla paternità della piccola. Non era vero che Francesco Giubergia fosse il padre naturale (fu contestata tra l’altro la legittimità della documentazione che ne attestava la paternità). Quindi un’adozione che si fondava su un presupposto sbagliato, anche se su un amore vero (la piccola, ricordiamolo, fu strappata a una vita di miseria e abbandono, e il fatto fu riconosciuto in sede dibattimentale). Ma i giudici decisero allora che contava di più la legge del benessere di quella piccoletta che viveva in una casa insieme al fratellino circondata da affetti e cure.

Esattamente la motivazione opposta a quella che hanno dato i giudici, oggi, nel caso di Viola, la bambina tolta a una mamma e un papà quando aveva solo 35 giorni perché troppo anziani e perché era stata parcheggiata (abbandonata secondo il pm) pochi minuti nel seggiolino dell’auto fuori dal portone di casa in attesa che il papà recuperasse il biberon. Oggi, diversamente da allora, il benessere della bambina (anzi quello che i giudici credono essere il suo benessere) prevale sul rispetto della legge e sui diritti dei cittadini. La corte di Cassazione a cui i genitori, Luigi e Gabriella Deambrosis, si rivolsero in uno straordinario quarto grado gli ha dato ragione imponendo alla corte di Appello di Torino di rivedere la loro decisione, sia perché l’età non può essere un motivo di decadenza della genitorialità (quando nacque Viola Gabriella aveva 55 anni, e Luigi 63) sia perché quell’abbandono in auto non c’è mai stato (c’è stata un’assoluzione).

Ma i giudici torinesi hanno confermato: la bambina resta nella famiglia che la ha adottata dopo la sentenza passata in giudicato della prima sentenza della Cassazione. E per un principio chiaro: il faro deve essere sempre il benessere del bambino. E siccome la piccolina ha quasi sette anni è chiaro che per lei un cambiamento sarebbe un trauma. Ovvio. Senza pensare che sarà un trauma anche quando dovrà fare i conti da adulta con questa storia, che inevitabilmente qualcuno le racconterà, come è capitato a Serena Cruz che riallacciò i fili della sua vita scoprendo in casa degli articoli di giornale che parlavano di lei. E sarebbe stato utile per questi giudici che hanno deciso il destino di Viola, ma anche dei suoi genitori naturali, riflettere sulle parole di Serena Cruz che a 18 anni scelse di tornare dalla famiglia da cui era stata strappata, i Giubergia, dopo aver avuto tre famiglie diverse, tre cognomi, due nomi di battesimo. Parole senza appello: «I giudici sono stati senza cuore: hanno applicato le leggi convinti di fare del bene. Ma nel mio caso non l’ hanno fatto». Oggi serena di anni ne ha 30, fa la parrucchiera e chissà cosa prova quando legge la storia di Viola per cui l’Italia si sta dividendo come avvenne per lei quando Natalia Ginzburg scrisse il libro “Serena Cruz o della vera giustizia”. E la domanda rimane sempre la stessa anche oggi per Viola: quale è la vera giustizia?