Notte di Ferragosto, città semi deserta. In corso Traiano va in scena una cavalleria rusticana tra due uomini. Sono di origini albanesi, incensurati. Uno dei due colpisce il rivale con una brugola, forse un cacciavite. Mira alla testa. Un colpo violento, poi il secondo. Bilancio finale: corsa in ospedale, uomo in fin di vita, aneurisma all’arteria meningea media, trauma cranico e prognosi di due mesi. Il ferito dirà agli agenti della squadra Mobile che si è trattato di un’aggressione nata da futili motivi. Che i due si conoscono da tempo e che l’amico ha perso la testa per una stupidaggine. Ma gli investigatori ci mettono poco per intuire che non può essere cosi.

Delegati dal pm Patrizia Gambardella attivano una serie di indagini con intercettazioni telefoniche. E nelle cuffie della polizia finisce una frase che è più o meno questa: «Se il problema è che non c’è più lavoro non ho problemi a togliere la ragazza dalla rotonda». Si fa strada uno scenario tipico del racket della prostituzione gestito da persone dell’Est Europa: una lite per il controllo delle piazze finita nel sangue. Con quest’accusa l’aggressore, reo confesso, Armando Meta, difeso dal legale Domenico Peila, è stato fermato dalla Mobile. Nei giorni scorsi, il gip Adriana Cosenza, ha convalidato il provvedimento. Meta resta in carcere con l’accusa di tentato omicidio. E ci sarebbe già una consulenza medico legale sulla tipologia di ferite riportate dalla vittima che confermerebbe il titolo di reato e quindi la volontà di uccidere.

Meta, rintracciato e arrestato dagli agenti in un albergo di corso Francia mentre era in compagnia di una donna di origini romene, ha ammesso di aver colpito il rivale ma ha raccontato agli investigatori un altro movente: «Tempo fa, a un banchetto tra connazionali, mi ha offeso pesantemente e non potevo accettare quella mortificazione». Il giudice non gli ha creduto per il momento: contestandogli l’aggravante «di aver agito per motivi abbietti». Spiega il gip che «l’aggressione nasce come reazione e vendetta per questioni di assegnazione di posti in cui far esercitare la prostituzione a donne di proprio riferimento e per affermare la propria superiorità criminale».

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