Il reddito di inclusione (REI): una goccia nel mare della povertà italiana

Categorie: Economia, Fact checking

Via libera al Senato per il disegno di legge delega per il contrasto alla povertà. Come funziona e perché non basta per la situazione italiana

Via libera definitivo del Senato al disegno di legge delega per il contrasto della povertà che introduce il reddito di inclusione: una norma che, di fatto, farà partire il Piano nazionale contro la povertà (che quest’anno conterà su una dote di 1,6 miliardi che diventeranno strutturali e pari a 1,8 miliardi dal 2018) e arriverà a garantire circa 400-500 euro al mese a 400mila famiglie. L’Aula di Palazzo Madama ha approvato il provvedimento – che aveva incassato il disco verde della Camera il 14 luglio scorso – con 138 sì, 71 no e 21 astenuti.



Il reddito di inclusione (REI): una goccia nel mare della povertà italiana

Si tratta della prima misura nazionale destinata ad assicurare un sostegno economico al 24,5% dei nuclei familiari che risultano al di sotto della soglia di povertà. Tra gli obiettivi, il riordino delle misure per l’assistenza agli indigenti e l’introduzione del reddito di inclusione (REI), finalizzato a sostenere le famiglie in poverta’ assoluta. Come ha spiegato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, il sostegno riguarderà quasi due milioni di persone in circa 400mila nuclei familiari con minori a carico. “Si compie oggi un passo storico – ha sottolineato Poletti – per la prima volta il nostro Paese si dota di uno strumento nazionale e strutturale di contrasto alla poverta’, il reddito di inclusione (Rei), che ci consente di introdurre progressivamente una misura universale fondata sull’esistenza di una condizione di bisogno economico e non piu’ sull’appartenenza a particolari categorie (anziani, disoccupati, disabili, genitori soli, ecc.)”.

Reddito di inserimento (REI): la povertà in Italia (La Repubblica, 8 marzo 2017)

Il reddito di inclusione prenderà il posto del Sia, il sostegno per l’inclusione attiva sotto forma di carta prepagata, operativo da settembre 2016, che finora ha raggiunto circa 65 mila famiglie per un totale di 250 mila persone. A breve sarà emanato un decreto del ministero del Lavoro che amplierà la platea di beneficiari raggiungendo oltre 400 mila nuclei familiari, per un totale di 1 milione e 770 mila persone, e eleverà da 400 a 480 euro il tetto massimo del sostegno. Il REI, che sostituirà il SIA, è uno strumento che verrà caratterizzato come livello essenziale di prestazione e che sarà dunque unico a livello nazionale e soggetto a un monitoraggio stretto da parte di una “cabina di regia” nazionale. La misura è articolata in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali. Per la componente economica, è previsto un limite di durata, con possibilità di rinnovo, subordinato alla verifica del persistere dei requisiti, ai fini del completamento o della ridefinizione del percorso previsto dal progetto personalizzato. Sarà il decreto attuativo a stabilire la soglia del sostegno e se sarà erogato sotto forma di carta prepagata o in altre modalità. A fine 2017 il Rei dovrebbe arrivare a una prima platea di 400mila famiglie e avere un valore simile al Sia: fino a un massimo di 480 euro al mese.

Perché il REI non basta per la povertà in Italia

L’accesso al REI sarà un aiuto condizionato alla prova dei mezzi (serve un Isee non superiore ai 3mila euro associato a un livello di reddito effettivo disponibile che sarà fissato nel decreto legislativo), un aiuto che scatterà solo con l’adesione del capofamiglia a un progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa predisposta dall’ente locale. La persona, dovrà impegnarsi, per esempio, a garantire un comportamento responsabile, ad accompagnare i figli a scuola, a sottoporli alle vaccinazioni e ad accettare eventuali proposte di lavoro. La delega al governo prevede inoltre la razionalizzazione di altre prestazioni assistenziali (fatta eccezione per le prestazioni rivolte alla fascia di popolazione anziana non più in età di attivazione lavorativa, per le prestazioni a sostegno della genitorialità e per quelle legate alla condizione di disabilità e di invalidità del beneficiario) come la vecchia carta sociale per minori e l’assegno di disoccupazione ASDI, e il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni.

Il reddito di inclusione (Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 2017)

Il problema di fondo già sottolineato in altre occasioni però rimane: lo stanziamento del governo va a toccare soltanto una piccola parte di chi ne avrebbe la necessità. Secondo le stime (ottimistiche) del governo il Reddito di inserimento spetterà a due milioni di italiani, ma a vivere sotto la soglia di povertà attualmente sono 4 milioni e 598mila cittadini, il 7,6% della popolazione, pari a 1,8 milioni di famiglie Prima, la povertà toccava solo alcune parti della nostra società, ora le raggiunge tutte. Ha risparmiato solo i più anziani, i nuclei con capofamiglia sopra i 65 anni. Ma ha travolto le nuove generazioni: lì dove il capofamiglia ha meno di 44 anni è salita in otto anni dal 3,2 all’8,1%; dove ha meno di 34 anni si è impennata dall’1,9 al 10,2%. In quelle case vivono oltre un milione di minorenni per cui ogni mese è a rischio l’accesso ai beni di prima necessità:



Un assegno mensile del valore massimo di 400 euro per famiglia che cerca di uscire dalla logica dell’assistenzialismo, chiedendo ai beneficiari di impegnarsi nella formazione e nella ricerca un impiego, e di far rispettare ai figli gli obblighi di frequenza scolastica. Testato nel 2013 dal governo Letta in dodici grandi città, l’anno scorso la sperimentazione è stata estesa dal governo Renzi sotto l’etichetta di sostegno per l’inclusione attiva, con risorse per 750 milioni. L’esecutivo ora vuole rendere il reddito di inclusione strutturale dal 2017, accelerando l’iter della delega in Senato o agendo con un decreto. Lo stanziamento già nero su bianco di oltre un miliardo permetterà di allargare la platea dei beneficiari.
Nel 2016 l’assegno, 80 euro al mese per ogni componente della famiglia, doveva raggiungere circa 200 mila nuclei con reddito Isee inferiore ai 3mila euro l’anno, e almeno un figlio minorenne. Fanno poco più di 800 mila individui, di cui la metà under 18. Con le risorse extra quei numeri potrebbero salire della metà. Ma non basterà ancora per sostenere tutti i minori in povertà. E tanto meno permetterà di raggiungere l’intera platea delle famiglie in difficoltà. Secondo i calcoli dell’Alleanza contro la povertà, il gruppo di 35 associazioni che per primo ha proposto il reddito universale di inclusione, presente in quasi tutta Europa tranne Italia e Grecia, anche con 1 miliardo e mezzo si coprirebbe solo il 30% dei nuclei. Per renderlo strutturale ci vorrebbero circa 7 miliardi l’anno, lo 0,4% del Pil. Più o meno la distanza che oggi corre tra la spesa pubblica destinata alla lotta contro la povertà in Italia (lo 0,1% del Pil) e la media comunitaria (0,4%).

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