Nuova Alitalia, forse è il caso di ripensarci
(Ansa)
Economia

Nuova Alitalia, forse è il caso di ripensarci

Manca l'accordo politico, un reale progetto industriale, tutto questo nel peggior momento del mondo dell'aviazione civile

Da cittadini finanziatori di Alitalia dobbiamo sperare che il decreto di costituzione della nuova compagnia non si firmi troppo presto. Perché oltre al mancato accordo tra le forze di maggioranza su chi dovrebbe fare parte del consiglio di amministrazione, è ancora fumoso il programma industriale elaborato ascoltando i consigli di Deloitte e Oliver Wyman. Secondo gli analisti internazionali del settore aeronautico la ripresa sarà lenta, dunque resta un mistero che cosa potrebbe mai fare una compagnia aerea il cui piano industriale, per essere credibile, dovrebbe essere incentrato sui voli a lungo raggio, in un momento in cui la domanda per questo tipo di collegamenti rimarrà drammaticamente limitata almeno fino alla primavera 2022.

Il rischio è di partire ponendosi nel mercato domestico a perdere qualsiasi battaglia contro vettori quali Volotea, Wizz Air, EasyJet e naturalmente Ryanair, che offrono voli a partire da 9 euro tra Bergamo e Pantelleria, e a partire da 20 euro per Catania e Napoli. Certo, il meccanismo delle lowcost funziona se a guidare la scelta del cliente è il prezzo e non la data (e neppure l'orario) del volo, ma se questo comunque drena la quasi totalità del mercato attuale sarà difficile spuntarla. E a parte Alitalia, nel futuro dell'aviazione italiana c'è anche il famigerato nuovo "Piano aeroporti" che il Ministro Paola De Micheli starebbe valutando insieme con l'Ente nazionale per l'aviazione civile.

E non fosse vietato dai regolamenti internazionali, verrebbe da pensare che a Roma stiano creando nuovi scali sui quali potrà andare soltanto la nuova compagnia, a partire dalla Campania tanto cara a Di Maio. Temiamo, invece, che l'aviazione civile italiana, ormai ridotta a sole quattro compagnie, non avrà alcuna possibilità di ripresa.

La nuova Alitalia non esiste ma è molto concreta la richiesta di cassa integrazione per 6.800 dipendenti di quella vecchia, in modo da allungarla fino alla fine di marzo 2021. La situazione è che mentre nel mondo i vettori si fondono tra loro per sopravvivere, in Italia esiste un problema di poltrone, appunto quelle del consiglio di amministrazione, prima che di effettive competenze e senso della realtà nei confronti di un settore, quello dell'aviazione commerciale, che sta affrontando la più grave crisi della sua esistenza, ufficialmente dal 1907, data del primo volo pagato della storia.

Il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5s) il 15 settembre disse: "Credo che la prossima possa essere la settimana giusta per il decreto di costituzione della Newco"; mentre il 23 settembre il ministro dei trasporti Paola De Micheli (Pd), confermò: "Su Alitalia siamo alla firma del decreto di istituzione degli organi sociali, ma non firmo da sola". Certo, infatti la società può nascere soltanto con un decreto del ministro dell'economia Roberto Gualtieri (Pd) che porti anche la firma, del Mit (De Micheli, Pd), Mise (Patuanelli, M5s) e del Lavoro (Nunzia Catalfo, M5s). Pare che dopo i confronti con alcune sigle sindacali sia emerso che nel nascente Cda sarebbe mancata la rappresentanza dei lavoratori, e questo abbia mandato all'aria il tavolo. La nuova Alitalia dovrebbe avere una dotazione finanziaria iniziale di venti milioni di euro, ma per essere a regime il capitale dovrebbe crescere fino a tre miliardi nel tempo. Numeri poco credibili in un momento storico come questo, come, suo malgrado, quello del presidente della compagnia aerea che ancora non esiste Francesco Caio, uomo che seppure abbia alle spalle esperienze in Olivetti, Poste italiane, Merloni e Avio (che fa pezzi per motori d'aereo e non vende voli), non è tra i manager specializzati in trasporto aereo. Caio è pragmatico e nel passato risultati positivi ne ha conseguiti, ma dal momento in cui sarà ufficialmente nominato dovrà inventarsi una strategia per riempire gli aeroplani stando a capo di un vettore aereo comandato da politici e sindacati che non ha alcuna possibilità di affermarsi sul libero (e feroce) mercato, salvo quella di esistere soltanto perché continuamente finanziato dai cittadini italiani. E proprio uno dei consulenti del Governo, la Oliver Wyman, sul suo sito internet e sulla testata Forbes spiega il perché: degli oltre 900 vettori che operano oggi ne rimarranno 600 entro i prossimi tre anni, e solo un quarto dei vettori oggi in azione ha liquidità sufficiente per superare i prossimi tre mesi senza assicurarsi nuove fonti di finanziamento. Se poi guardiamo a chi gli aeroplani li costruisce, come Boeing, Airbus, Embraer, Uac e Comac, stanno riducendo le produzioni dei modelli con più autonomia perché consci che i voli a lungo raggio saranno l'ultimo segmento del trasporto aereo commerciale a riprendersi a causa delle restrizioni governative in corso e dell'esitazione dei passeggeri a allontanarsi dai propri paesi di origine. Non soltanto: a causa delle pressioni finanziarie attuali, è probabile che nascano anche nuovi modelli di business, con le compagnie aeree che non potrebbero più mantenere gli aeromobili nei loro bilanci e i costruttori che potrebbero partecipare direttamente ai leasing scavalcando i broker. Insomma, la nuova Alitalia nasce in tempo di carestia, senza armi né mercato, comandata da poltrone che di esperienza nel trasporto aereo non ne hanno.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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