Cronaca

Alan Kurdi, parla l'italiana a bordo: "Capiamo il rischio Covid, ma la vita dei migranti vale di più"

Caterina Ciufegni, 35 anni di Montepulciano, è il medico della nave della ong Sea-Eye, ferma a largo di Trapani. "Con gli ospiti teniamo sempre mascherina e guanti, tra noi dell'equipaggio no perché sarebbe impossibile. Ma non abbiamo persone con sintomi".
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ROMA - Salvare vite in mare mentre a terra c'è la pandemia significa assumersi due rischi. Quello della missione in sé, e quello che la nave diventi un drammatico focolaio galleggiante. Caterina Ciufegni, che ha 35 anni, è medico ed è a bordo della Alan Kurdi (una delle due imbarcazione di una ong presenti nel mare tra la Libia e l'Italia, l'altra è l'Aita Mari di Salvamento Marìtimo Humanitario), la mette giù così: "Cos'è più importante, il pericolo coronavirus o la vita delle persone che muoiono nel Mediterraneo? Io non ho dubbi. Quando mi sono imbarcata con l'equipaggio sapevo quali rischi stessimo correndo, ma la volontà di salvare chi, pandemia o non pandemia, sale sui gommoni per fuggire da torture e dalla guerra, era prevalente".

Caterina è originaria di Montepulciano, nel Senese, si è laureata in Medicina poi si è trasferita a Berlino dove si sta specializzando in Medicina interna. È l'unica italiana sull'Alan Kurdi. "L'estate scorsa avevo fatto richiesta alla Sea Eye per partecipare alle loro missioni. Questa è partita due settimane fa da Burriana, vicino a Valencia. Prima che arrivasse la chiamata, stavo pensando di tornare in Italia per dare una mano negli ospedali lombardi alle prese col virus". Adesso la nave si trova a largo di Trapani, in attesa di capire come e dove fare la quarantena.

Com'è la situazione a bordo?
"Abbiamo 149 migranti, più della metà arrivano dal Bangladesh, poi c'è un gruppo di marocchini, qualche ragazzo algerino e alcuni che provengono da Chad, Sudan, Ghana, Siria. A parte disturbi come mal di testa, mal di mare, dolori alla schiena, assai comuni a chi vive l'esperienza della traversata, non hanno sintomi da Covid: nessuno ha febbre, tosse o difficoltà respiratorie, nonostante stiano esposti al vento sul ponte di poppa".

Come è avvenuto il soccorso?
"Siamo arrivati in zona Sar (Search and Rescue, ndr) libica domenica scorsa, la mattina dopo ci è arrivata la segnalazione di un gommone in difficoltà. Siamo arrivati contemporaneamente alla milizia libica che ci ha intimato di allontanarci, e per spaventarci ha sparato colpi di fucile in aria. Noi volevamo almeno provare a distribuire i giubbotti salvagente, perché i migranti sul gommone non li avevano. All'improvviso hanno iniziato a tuffarsi in acqua, i libici se ne sono andati e siamo riusciti a salvarli tutti, grazie al fatto che il mare era piatto. In seguito abbiamo fatto un altro salvataggio, meno drammatico".

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Siete partiti dalla Spagna che già eravamo in piena crisi Covid. Avete preso precauzioni per evitare il contagio?
"La Sea-Eye ha dato ai 17 membri dell'equipaggio delle linee guida da seguire. Avevamo un centinaio di mascherine chirurgiche, i guanti, le tute bianche di protezione. Nell'eventualità di avere casi sospetti, l'indicazione era di isolarli nella cabina più vicina al bagno. Cerchiamo di tenere sotto controllo, per quanto è possibile, i parametri vitali degli ospiti a bordo, misurando la temperatura, la saturazione dell'ossigeno e la pressione sanguigna".

Indossate sempre la mascherina?
"Quando siamo tra noi dell'equipaggio no, sarebbe impossibile. La Alan Kurdi è piccola, molti di noi condividono la stessa cabina. Quando siamo con gli ospiti, invece, indossiamo mascherine e guanti. Ieri sera la Guardia costiera italiana ci ha rifornito di dispositivi di protezione individuale, medicinali e cibo".

Siete consapevoli che la situazione vi potrebbe sfuggire di mano, nel caso in cui a bordo si diffondesse il virus?
"Sulla Alan Kurdi siamo in 166, e stiamo cercando di convivere in situazioni più che estreme. Quando siamo saliti su questa barca non l'abbiamo fatto di certo a cuor leggero. Ma, ripeto, di fronte a persone che scappano dalle torture, il Coronavirus passa in secondo piano. Credo che tutti noi abbiamo accettato il rischio. Io di sicuro più degli altri, in quanto medico. Nel team sanitario siamo in due e la mia collega è un'infermiera svedese: prima di partire, lavorava in un reparto di malattie infettive in cui curavano pazienti Covid, ha esperienze in questo campo"

I naufraghi sanno che l'Italia è in pieno lockdown?
"Sì e capiscono la situazione di difficoltà. Quando li abbiamo recuperati ci hanno subito chiesto notizie sul Covid.È gente che scappa dalle prigioni, il virus di certo non li ferma".

Il capo della Protezione Civile dice che dovrete fare la quarantena su un'altra nave o in strutture di terra ad hoc.
"Siamo estremamente grati all'Italia per questo. Stiamo solo aspettando di avere l'ok finale dalla Germania (la Alan Kurdi batte bandiera tedesca, ndr) per scendere".