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Fabrizio Gabrielli

Mario Frick Show

10 gol che ci hanno fatto gridare: "La vie c'est fantastique quando segna Mario Frick".

 

Il giorno di Ferragosto del 1993 si sono giocati due tra i derby più caldi d’Europa, quello della North London tra Tottenham e Arsenal (deciso da un gol di Ian Wright) e quello della Ruhr tra Borussia Dortmund e Schalke 04 (che andò agli azzurri, rete di Youri Mulder).

 

Seicento chilometri più a sud, a Vaduz, nel Principato del Liechtenstein, il FC Balzers, che militava nelle serie minori del campionato svizzero, ma partecipava anche alla Coppa del Principato, e contingentemente l’anno precedente l’aveva pure vinta, stava affrontando gli albanesi dell’Albpetrol Patos in uno dei turni preliminari della Coppa delle Coppe.

 

Sul punteggio di 1-1, all’inizio del secondo tempo, nel giro di sette minuti gli albanesi vengono travolti da una slavina che di nome fa Mario Frick. Ha diciannove anni e non sa ancora che il primo dei due gol sarà il più bello della sua carriera. Almeno stando ai suoi ricordi (peraltro sfocati).

 

È un peccato che non esistano video: a noi toccherà immaginarlo, crearcene una proiezione ologrammatica, come un mash-up di dieci delle sue reti migliori, segnate nei ventidue anni di carriera che sono passati da quel 1993 a questa serata all’Ernst Happel Stadion di Vienna.

 

 

I concetti di sudditanza, onestà, lealtà

Il match dello scorso ottobre in Austria, quello in cui è uscito dal campo in lacrime dopo aver cercato di tamponare per novanta minuti le incursioni di Arnautovic giocando da centrale difensivo, con il pubblico a tributargli una standing ovation, è stato l’ultimo dei 125 giocati da Mario Frick con la maglia della Nazionale del Principato. Della quale è ovviamente il top scorer con sedici reti.

 

L’aggettivo più calzante al Frick calciatore è onesto: non è mai stato considerato un giocatore di prima fascia, forse anche a causa—o in virtù—del fatto che abbia scelto di abbracciare la piccola nazione alpina.

 

Non era poi così prolifico, né propriamente spettacolare. Esotico suo malgrado. Schiavo della sua immagine. Se avesse optato per la Svizzera, dove è nato, magari avrebbe potuto giocare un Europeo, o un Mondiale, anziché doversi in qualche modo sminuire, accontentarsi di difendere la dignità sua e della piccola squadra con la corona del principe Giuseppe II d’Asburgo-Lorena sul cuore.

 

Dove passa di preciso il confine tra lealtà e sudditanza? Dissipate le polveri volatili della commozione per la partita dell’addio, comunque, il nocciolo del significato di Mario Frick, tutte le parole che meglio sembrano racchiudere e descrivere la nostra percezione di Mario Frick, finiscono per naufragare sulle rive di atolli che si chiamano onestà e dignità.

 

Reti che hanno a che fare con la dignità

 

1. D’astuzia, contro i cugini più grandi

 

7 giugno 2000; Germania – Liechtenstein 8-2.

 

Ogni gol segnato da Mario con la sua Nazionale aveva la meravigliosa caratteristica di potersi trasformare, in potenza, in una valanga di vergogna per gli avversari. Prendere gol dal Liechtenstein è un’onta che può essere sorpassata soltanto da perdere contro il Liechtenstein.

 

Contro la Germania, in quest’amichevole dell’estate del 2000, Frick si avventa su un pallone che non si sa come, visto che il gioco del Liechtenstein in quegli anni è un disastro e difficilmente si riesce a sorpassare la metà campo, sfila verso l’area teutonica. Con un tocco furbo lascia scivolare la palla sotto le gambe di Jens Lehmann, poi appoggia in rete quello che, in quel momento, è la rete del pareggio per 2-2.

 

Nell’esaltazione dei cronisti, presumibilmente tedeschi, si avverte l’eccitazione del perturbante in senso freudiano. Mario non si capisce bene se inciampa o vorrebbe inscenare una capriola, sta pensando a un’esultanza pazza almeno la metà di quanto è inverosimile ciò che sta succedendo. Il risultato è un accartocciarsi su sé stesso goffo, ma che sprizza empatia.

 

2. Il cosiddetto gol di giustezza

 

12 dicembre 2004; Ternana – Albinoleffe 1-0.

 

Quando segna questa rete Frick ha già trent’anni: è alla sua terza stagione alla Ternana, la quinta in Italia. I rossoverdi galleggiano sul mare placido della B senza particolari sconvolgimenti interiori: l’anno precedente, dopo un girone d’andata clamoroso, erano secondi; poi nelle prime sedici partite di ritorno sono riusciti a vincere soltanto una volta. Hanno preso coscienza della dimensione più adeguata alle loro possibilità, che sembra un po’ la metonimia di quanto è successo a Frick nella sua carriera.

 

In questa azione compie un movimento che non conosce distinzioni di passaporto o retroterra: il movimento universale di tutti i centravanti onesti che fanno la cosa giusta. Segue il filtrante di Migliaccio per Salgado e s’incunea in area tagliando alle spalle il difensore avversario, prendendogli due metri, andando incontro al pallone che lascia confluire in porta con l’imperiosità di una roccia che devia il corso del ruscello sulle Alpi.

 

Reti del genere sono ricorrenti nella carriera di Frick: mentre rivedevo, analizzavo e appuntavo le migliori segnate in Italia le ho categorizzate come “reti Mandala”, perché l’impressione è che Frick riesca a chiudere le azioni con la perfetta compiutezza di un micromondo. Tipo qua contro il Bari, dove dà principio all’azione e la conclude: è entrambi i vertici dell’ipotenusa sulla quale si regge il teorema pitagorico della manovra della Ternana.

 

3. Il gol no-hurry (aka Chi va piano eccetera eccetera)

 

7 settembre 2010; Scozia – Liechtenstein 2-1.

 

Liechtenstein è stato affiliato alla FIFA e alla UEFA nel 1974, l’anno di nascita di Frick. Per giocare la prima partita internazionale ufficiale, però, ha dovuto aspettare vent’anni: è stato come se stessero aspettando che a Mario venissero spalle abbastanza larghe per caricarsi sulle spalle tutto il fardello della responsabilità di doversi spostare in Europa con la prospettiva di perdere la faccia ogni volta.

 

Una delle poche Nazionali contro le quali San Marino ha strappato un successo, per dire, è Liechtenstein: è anche per questo che, come ha dichiarato Mario con una riottosità che ci viene spontaneo giudicare innecessaria, ma che invece deve assumere tinte di assoluta plausibilità nella sua testa, la sfida tra il Principato e la Serenissima Repubblica «non è mai un’amichevole».

 

 

La Scozia strapperà la vittoria in rimonta solo al 97′: sul finire del primo tempo Frick addomestica il cross con la coscia sinistra, spalle alla porta. Se fosse stato un tipo diverso di calciatore Frick avrebbe potuto calciare al volo, con lo stesso piede, sul suo palo; oppure esibirsi in un colpo di tacco volante. Invece, con dignità, lascia che la palla si smorzi sul terreno, con tre passi sul posto compie un giro su sé stesso di 180°. Il difensore non cerca di anticiparlo né contrastarlo: è come se la corona sul petto di Frick fosse una lettera scarlatta simbolo di impotenza. Il tocco morbido di destro sul palo più lontano è il refolo di tramontana che spazza il cielo dei pregiudizi.

 

Reti che hanno a che fare con la tecnica

 

4. Sua Maestà il Principe dei Pallonetti (pt. 1)

 

2 dicembre 2001; Hellas Verona – Brescia 2-0.

 

Frick è stato ingaggiato dall’Hellas Verona nel 2001, dopo un’annata monstre per chiunque, figuriamoci per un centravanti sconosciuto che viene dal Liechtenstein, con la maglia dell’Arezzo. In Toscana era arrivato sotto consiglio di Tito Corsi, un collaboratore del presidente aretino Mancini: lo aveva notato nell’amichevole contro la Germania, ne avevano sondato le volontà, Mario era in rotta con l’allenatore dello Zurigo e il movente principale per il suo trasferimento in Italia era più vicino al desiderio di fuga che a una reale ambizione di carriera.

 

Con gli amaranto segnò 16 reti in 23 partite, sfiorando la promozione in B, e durante il mercato estivo venne scambiato con Alfredo Aglietti, che sei anni prima aveva vissuto un quarto d’ora di celebrità segnando una delle due reti con le quali il Pontedera aveva sconfitto l’Italia di Sacchi in limine ai Mondiali statunitensi.

 

«Dicono che ci sia un duello, tra me e Gilardino, per conquistare un posto in squadra, ma non è assolutamente così. Siamo amici». Frick, anche se nel roster di attaccanti ci sono Michele Cossato, Adaílton, Mutu e Gilardino, scala svariate posizioni nella classifica di gradimento di Malesani. La prima doppietta di Mario in Serie A arriva contro il Brescia, due gol iconici per motivi diversi: dopo il primo festeggia esibendo una maglia sulla quale c’è scritto: “La vie c’est fantastique quando segna Mario Frick”, che è un motteggiare d’autoironia più che di autocompiacimento.

 

In occasione del secondo, invece, mostra quel brillìo, quello shining che aveva e che, avesse voluto, si sarebbe potuto mutuare in egotrip: tocco d’esterno a liberarsi del difensore, e sulla corsa, in equilibrio precario, tocco sotto a superare il portiere.

 

5. Quel che si dice compiere il proprio dovere

 

16 aprile 2005; Ternana – Crotone 3-1.

 

Dall’allungo che intraprende sul difensore appena Jiménez lascia intendere che lo sta per lanciare, si capisce che Frick non si sta preoccupando di segnare un gran gol, ma una rete normale, ordinaria per quanto pesante, con un controllo in corsa pulito ed essenziale, magari un leggero tocco sotto per scavalcare il portiere, niente di troppo impegnativo, un gol onesto e sincero come un piatto di Käsknöpfle.

 

Però il pallone, dopo il controllo di petto, gli scivola sulla sinistra, e allora gli tocca inventarsi una balistica a sensazione, qualcosa che strappi ammirazione come la freccia scagliata dalla balestra di Guglielmo Tell capace di spaccare in due la mela sulla testa del figlio, qualcosa che magari dia pure una carezza e un bacino al palo. Il difensore è disorientato: perde attrito con il terreno e con gli eventi, e sembra quasi genuflettersi di fronte a Frick, alla sua maestosità.

 

6. Sua Maestà il Principe dei Pallonetti (pt. 2)

 

17 dicembre 2005; Ternana – Cremonese 1-1.

 

Due cose di cui mi sto rendendo conto: la prima, le reti migliori di Frick sono dei pallonetti, delle parabole arcuate, niente che abbia a che vedere con le sue caratteristiche principali (il saper giocare con il corpo, lo scontro fisico, l’abilità di testa). La seconda: le ha segnate quasi tutte con la maglia della Ternana, forse il posto in Italia più simile al Liechtenstein se sostituiamo le Alpi con gli Appennini e le banche con le acciaierie. Deve essere stato divertente vederlo giocare, in quei quattro anni umbri, al fianco di Zampagna, Jiménez e Kharja. Azzardo: deve essere stato divertente soprattutto per lui, forse il punto più alto della sua carriera. Sembra davvero galvanizzato dalla vicinanza di così tanto talento, estro, concretezza operaia, che sono poi gli ingredienti principali (più un pizzico di rallentina) anche di questo gol contro la Cremonese: ingentilisce lo spiovente con il sinistro, tac-passetto e tac-passetto, e poi la palombella di destro, con una sensibilità nel piede che si subodora anche in questi gesti simili contro il Torino o il Bologna o ancora il Brescia, con l’aggiunta di un mezzo saltello di yodel.

 

7. Barrilete abbastanza cosmico

 

25 marzo 2006; Catania – Ternana 3-1.

 

Questo non è un gol, è un’ode all’aritmetica. Sessanta metri in sei tocchi, o se preferite in sei secondi, la metà dei quali un tutorial quasi scolastico sul dribbling: se l’avversario ti viene incontro e hai la palla sul destro lo scarterai toccando la sfera con l’interno del piede spingendola in direzione contraria a quella della corsa dell’avversario, poi farai la stessa cosa col sinistro per sbarazzarti del difensore che sopraggiunge dal verso opposto. La conclusione in diagonale, che comunque passa esattamente per il vertice dell’area piccola di rigore, è il gesto necessario a concludere l’esercizio, come l’allenatore quando ti dice: «Capito come si fa? Ora prova tu».

 

Reti che hanno a che fare con il freak, lo chic e il fantastique

 

8. Da posizione impossibile

 

10 febbraio 2002; Lecce – Hellas Verona 1-1.

 

Frick ha due figli: il primo lo ha chiamato Yanik, il secondo Noah Zinedine, un doppio omaggio carpiato al tennista francese e a Zidane.

 

Sarebbe stupendo se tra qualche anno Noah Zinedine Frick indossasse la maglia numero 10 della Nazionale del Liechtenstein e venisse a Lecce per segnare un gol luminescente come questo di suo papà, una rete che richiede una coordinazione e una visione della porta sopra la media, e poi lo dedicasse al padre in una conferenza stampa in cui dicesse che sta aspettando un figlio e che ha intenzione di mettergli nome Mario, «come il mio mito d’infanzia».

 

9. Colpo di testa iperfreak

 

15 ottobre 2003; Ternana – Catania 3-1.

 

C’è chi dice che i problemi non sono che una maniera pessimistica di chiamare le opportunità: il fatto è che non sempre i cross sono puliti, le ragazze che ci piacciono innamorate di noi, le certezze di cui avremmo bisogno solide come immaginiamo. L’approccio con il quale ci rapportiamo ai problemi dice molto più di noi di quanto non dicano le difficoltà che ci attanagliano, o di come gli sviluppi di quei problemi finiscano per riversare i propri effetti sulle nostre vite.

 

Se il traversone di Jiménez fosse stato un po’ meno avanzato e teso, se il cileno avesse restituito il pallone al centravanti che venti metri prima aveva iniziato l’azione, ci sarebbe stata l’ennesima situazione Mandala; invece a Frick tocca inventarsi una torsione per raccogliere la palla che rimbalza qualche centimetro prima di dove sono i suoi piedi, e sospingerla in rete con un colpo di testa che sembra un colpo di putter sul green.

 

10. L’accettiamo, è uno di noi, uno di noi

 

25 ottobre 2006; Siena – Catania 1-1.

 

Nel vaudeville calcistico moderno i veri freaks sono quegli attaccanti che non si abbandonano neppure per un istante al richiamo fascinoso della pazzia, del gesto assurdo, della giocata sfacciata. Non sarà edificante, ma è solo bevendo da questi calici che si acquieta la nostra sete morbosa di spettacolarità.

 

Il gol di tacco volante contro il Catania sembra più una casualità che una sofisticatezza ricercata: il tiro-cross di Bogdani sbatte sulla traversa e trova Frick, ancora una volta, troppo spostato in avanti col corpo per concludere in maniera canonica.

 

Nondimeno è il biglietto con il quale Frick si guadagna, in qualche modo, una specie di accettazione, una wild-card per la credibilità sui campi d’Italia, la prima molecola di mito che si cristallizza.

 

Gooble gobble, gooble gobble, uno di noi, uno di noi.

 

This is the end, my only friend, the end

Dire che con l’addio di Frick il Liechtenstein ha perso un capitano, un giocatore di livello superiore, un simbolo forse non è abbastanza: il calcio nel Principato è talmente fatto della stessa materia di cui è fatto Mario che è quasi impossibile immaginare l’uno senza l’altro, scinderne le essenze.

 

Quando a novembre 2016 l’Italia viaggerà fino a Vaduz per la quarta giornata delle gare di qualificazione al Mondiale di Russia, c’è da credere che in un modo o nell’altro le parole Liechtenstein e Frick saranno ancora indissolubilmente legate. Magari a quel punto Mario sarà diventato allenatore, o presidente della Fussballverband, o Principe in carica. Solo il tempo, se avremo la pazienza di assecondarlo, saprà dircelo.

 
 

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Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia. Ha scritto "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012) e "Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale" (66thand2nd, 2019). Scrive sull'Ultimo Uomo dal 2013.