Cosa sappiamo sulla nuovissima variante Omicron BA.2.75

Individuata in pochi casi, conterrebbe 15 mutazioni peculiari che potrebbero renderla ancora più contagiosa di Omicron 5. Ma servono altri dati
ScienceEric Topol
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Mentre la variante BA.5, o Omicron 5, sta ormai prendendo il sopravvento in molti paesi del mondo, Italia inclusa, dove sta alimentando l’ondata estiva di contagi, gli esperti hanno già individuato un sottolignaggio da tenere d’occhio. Non deriva da BA.5 ma «riparte» in qualche modo da BA.2. Non a caso è stato classificato nelle banche dati dei genomi come BA.2.75. I casi confermati, come spiega il Corriere della Sera, sono pochissimi, appena una quarantina al 4 luglio. Ciò che preoccupa è la sua diffusione già internazionale con un gruppo più numeroso di casi in India (46 secondo i dati caricati sulla piattaforma Nextstrain). Ne è stato infatti sequenziato e depositato almeno uno in Australia, Canada, Germania, Regno Unito e Nuova Zelanda. Difficile, insomma, che tutti si siano sbagliati.

Secondo Tom Peacock, virologo del Dipartimento di malattie infettive dell’Imperial College di Londra BA.2.75 condivide 45 mutazioni con la contagiosissima BA.5 mentre 15 sono nuove e originali. Si contano otto mutazioni nella proteina Spike, cinque concentrate in particolare nel dominio N-terminale, che il virus utilizza per legarsi alle cellule umane (BA.5 ne conta tre) attraverso il recettore umano Angiotensin Converting Enzyme 2 (hACE2). Altre quattro sono proprio collocate sul dominio di legame al recettore.

Due le mutazioni essenziali rispetto a BA.2: G446S e R493Q. La prima si trova in uno dei più potenti siti di fuga dagli anticorpi indotti dagli attuali vaccini che ancora neutralizzano BA.2. Dunque si teorizza una maggiore capacità di schivare la protezione indotta dagli anticorpi neutralizzanti frutto di vaccinazione o recente guarigione. Tranne che nel caso di essere stati esposti a BA.1, la Omicron per così dire principale: il vantaggio quindi concentrato verso quelle fasce di popolazione contagiate con altri ceppi o, evidentemente, mai contagiate. Occorre comunque sempre ricordare che la protezione contro la malattia grave è soprattutto controllata dalle risposte immuni cellulo-mediate, cioè dai linfociti di memoria B e T e dai linfociti citotossici, in grado di riconoscere epitopi della proteina spike diversi da quelli messi nel mirino dagli anticorpi e che fortunatamente cambiano con minore frequenza.

È evidente che i vaccini attuali, pur efficaci contro la malattia grave, rischiano di non bastare più. Occorrono nuovi prodotti, come il bivalente di Moderna in arrivo in autunno, per tenere il passo di un virus che è lontanissimo dall’originario agente patogeno di Wuhan. Se un sottolignaggio, per quanto meno patogenico (e non è scontato che questo accada), contagia con un tasso di replicazione degno del morbillo o della varicella e riesce a reinfettare con facilità chi è protetto o è guarito, è chiaro che la campagna vaccinale, anche in chiave di consapevolezza e coinvolgimento delle popolazioni, rischia di incartarsi.

Difficile per il momento dire altro sulla nuova sottovariante, una delle migliaia apparse finora. La contagiosità si vedrà eventualmente dalla progressione in termini epidemiologici mentre la letalità da quello che dovesse accadere negli ospedali. «Credo valga la pena tenere d'occhio la nuova sotto-variante in quanto potrebbe essere ancora più contagiosa della Omicron» ha scritto il virologo Matteo Bassetti, direttore del centro di Malattie Infettive dell'ospedale San Martino di Genova, su Twitter. «Occhio, senza allarme».

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