27 marzo 2018 - 12:12

In Calabria le «vacche sacre» della ‘ndrangheta catturate (dopo 40 anni)

Un migliaio di bovini liberi di girare e fare danni ovunque. Senza ostacoli perché le bestie oggi inselvatichite apparterrebbero ai vecchi boss. «Colpito un simbolo del potere mafioso sul territorio»

di Claudio Del Frate

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E dopo 40 anni la Calabria rompe (forse) il tabù delle «vacche sacre»: con la cattura di una trentina di esemplari lo Stato ha provato per l’ennesima volta a dichiarare guerra ai circa mille bovini che pascolano indisturbati tra la piana di Gioia Tauro e l’Aspromonte. Animali in teoria senza padrone ma che una vulgata a cavallo tra realtà e leggenda vuole appartenenti ai boss delle vecchie cosche locali: fama che dà ai bovini una impunità pluridecennale tanto che nessuno ha mai pensato di catturarli, di limitarne il pascolo, di arginare i danni che le mucche fanno ai campi coltivati, alle proprietà private. Intoccabili, appunto, come le vacche sacre indiane, in quanto simbolo del controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta.

Intoccabili anche al cimitero

In questi giorni è partita una «retata» dei bovini che sono stati narcotizzati, portati in un recinto e in alcuni casi (stabilite le pessime condizioni di salute) abbattuti. Si è trattata di un’operazione partita dalla prefettura di Reggio Calabria e che ha visto collaborare questura, forze dell’ordine, sindaci e ente del parco dell’Aspromonte. Gli addetti ai lavori giurano che è la prima volta che viene avviata un’offensiva tanto decisa nei confronti di queste mandrie inselvatichite; in realtà dagli anni ‘70 ad oggi diversi tentativi erano stati messi in campo: l’ultimo, nel 2015, era andato a monte per mancanza di allevatori disposti a prendersi in carico gli animali. E così le «vacche sacre» hanno continuato a scorazzare per paesi e campagne, provocando incidenti stradali, deragliamenti ferroviari (due, nell’87 e nel ‘92) o addirittura venendo immortalate in un video mentre ruminano fiori e piante dentro il cimitero di Polistena.

La cattura dei tori

La cattura di questi giorni ha riguardato pochi esemplari ma è stata selettiva: nelle stalle sono finiti 20 tori, in modo da interrompere la catena riproduttiva delle mandrie, che sono stati affidati all’ente Parco Nazionale dell’Aspromonte. «Viene meno un grande simbolo della `ndrangheta - spiega il prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari - . Noi dobbiamo sfatare il mito che le mucche siano intoccabili. Il territorio è dello Stato e va tenuto libero sempre. Questa è una grande sfida e credo che i risultati ci stiano dando ragione». « Gli interventi proseguiranno con maggiore intensità e saranno estesi a tutti i territori a rischio» ha aggiunto.

Il comitato “No bull”: «Non siamo omertosi»

Ma quale può essere l’interesse - simbolico o concreto - da parte della ‘ndrangheta a che non vengano toccate mucche lasciate andare e prive di ogni cura? Sul punto le opinioni all’interno della comunità locale non sono univoche. «Noi giudichiamo positivo l’intervento - spiega l’avvocato Domenico Antico, portavoce del comitato”No bull” che da anni denuncia il fenomeno - ma bisogna intendersi. Parliamo di bestie inselvatichite, magari in origine appartenute a boss locali ma attenzione a non riproporre il solito stereotipo della Calabria omertosa: qui le denunce ci sono state, non escludiamo che dietro queste mandrie ci siano casi di macellazione abusiva o altri reati ma la questione è prima di tutto la tutela dell’incolumità e della salute pubbliche. Più che di ‘ndrangheta parlerei di 40 anni di lassismo da parte delle istituzioni».

L’ipotesi della truffa sui fondi comunitari

Accenti diversi usa invece Giuseppe Bombino, presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte : «In 40 anni non c’era mai stato un intervento tanto deciso. Abbiamo mandato un messaggio territorio, diretto e simbolico. Quello diretto: stiamo intervenendo per ripristinare la sicurezza e la salute e anche perché sono in corso indagini per accertare truffe sui fondi comunitari. Questi bovini sono apparentemente senza padrone ma periodicamente vengono registrati da allevatori che incassano fondi pubblici e che poi li scaricano». E poi c’è l’aspetto «mitologico»: «Lasciare andare le “vacche sacre” è un modo per le cosche per ribadire il controllo del territorio, non toccare gli animali equivale a riconoscerne il potere. Con la cattura dei bovini abbiamo disarticolato un linguaggio simbolico»,

Realtà, leggenda e morti ammazzati

Realtà o leggenda, la ricostruzione dei fatti fa risalire il rispetto per le «vacche sacre» tra piana di Gioia Tauro e Locride ai primi anni ‘70, quando si scatenò una faida a colpi di lupara tra due famiglie rivali, i Raso e i Facchineri, pare proprio per questioni di pascolo. Un po’ per gli omicidi, un po’ per gli arresti, le due cosche vengono decimate e il bestiame viene abbandonato a se stesso; da quel momento diventa oggetto di rispetto e riverenza. E anche di vendetta. Nel 2005 un medico locale, Fortunato La Rosa, si ribella all’invadenza degli animali dei boss e presenta denuncia. Viene trovato ammazzato poche settimane dopo.

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