Milano, 13 febbraio 2017 - 21:21

Prysmian, 1 dipendente su due è socio
E ci guadagna anche ( fino al 100%)

La società di cavi e sistemi per energia e telecomunicazioni è una vera public company. Nell’azionariato anche la banca di Tamburi, BlackRock e Norges Bank

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MILANO Se vendesse oggi guadagnerebbe 12,83 euro per azione. Potrebbe, perché ha acquistato quasi quattro anni fa: aprile 2013. Ma perché dovrebbe? La “retention”, il “mantenimento” delle azioni, viene premiato con un ulteriore sconto, come stabilito nel nuovo piano di partecipazione. Deliberato dall’assemblea dei soci il 13 aprile dell’anno scorso. Il dipendente Prysmian — che ha aderito nel 2013 al primo piano della società di cavi e sistemi per energia e telecomunicazioni — ha comprato azioni ad un valore di carico di 12,19 euro per azione. Con uno sconto, proprio per incentivarne l’acquisto, del 25% rispetto a quanto il titolo veniva scambiato in Borsa. Ieri, alla chiusura del listino, Prysmian ha archiviato la seduta a 25, 02 euro per azione. Più del doppio.

I dipendenti azionisti di Prysmian sono oltre 10mila. Su una forza lavoro di 18mila persone. Più di uno su due. L’azienda, nata sul finire dell’800 come Pirelli Cavi e Sistemi, si è quotata nel 2007 anche grazie all’acquisizione da parte della banca d’affari Goldman Sachs della divisione Cavi e Sistemi di Pirelli. Tre anni dopo la banca d’affari vendette la sua partecipazione e ora il gruppo guidato da Valerio Battista, è forse l’unica vera public company di Piazza Affari. Il primo socio è Clubtre, la controllata della merchant bank di Giovanni Tamburi, con il 4% (ultimo dato Consob). Che ha appena venduto l’1,85% del capitale cedendo quattro milioni di azioni. Norges Bank ha il 3%. Diversi fondi, tra cui BlackRock, State Street GA Ireland, Franklin Equity, Sun Life, la banca svizzera Ubs, detengono una partecipazione poco sopra il 2%. Un paio di anni fa era spuntata, tra le rilevazioni dell’authority di Vigilanza, anche una quota del banca del Popolo cinese, ora tornata sottotraccia. Oltre l’1% del capitale, con l’obiettivo prefissato dell’1,5%, è in mano ai dipendenti. Un caso unico in Italia. Dove i piani azionari per i dipendenti sono ancora sotto-utilizzati rispetto ad altri Paesi europei. Soltanto Intesa Sanpaolo, Unicredit e Telecom Italia hanno in passato implementato strumenti di partecipazione azionaria diffusa. A cui vanno aggiunte le tranche di collocamento di azioni ai dipendenti delle società a controllo pubblico durante le fasi di privatizzazione, come Eni, Enel, Finmeccanica, Enel Green Power, Fincantieri, più recentemente Poste Italiane.

Rileva Fabio Bianconi, responsabile del mercato Italia di Sodali (società di consulenza per i servizi di corporate governance) che i vantaggi sono almeno quattro: «L’allineamento degli interessi di lungo periodo dei dipendenti con quelli degli azionisti istituzionali. La condivisione più ampia degli obiettivi aziendali. Una maggiore retention, anche in termini di sviluppo di carriera. La partecipazione più attiva alla governance della società, attraverso il voto in assemblea». Proprio un anno fa un decreto ministeriale recante la dicitura «incentivi alla partecipazione dei lavoratori al capitale di impresa» ha rifinanziato il fondo istituito da un provvedimento contenuto nella legge di Stabilità 2014. Risorse per incentivare le aziende a lanciare piani di azionariato diffuso. In assemblea dei soci, rileva uno studio di Sodali, le votazioni sulle delibere di approvazione dei piani, hanno fatto registrare maggioranze bulgare, considerando il capitale sociale votante in assemblea. Hanno espresso parere favorevole tutte, dal 98% dei soci di Finmeccanica al 78% di Mediaset.

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