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18 aprile 2017 - 23:38

May e la Brexit, Tony Blair: «Vi spiego perché sottovaluta i rischi»

di Tony Blair

In questo momento, la gente è convinta che tutte le previsioni negative riguardanti le conseguenze della Brexit si siano rivelate fasulle; che il Paese ha preso una decisione e pertanto occorra andare avanti. Il Paese non è per niente unito, anzi, un numero cospicuo di cittadini è fortemente contrario all’uscita del Regno Unito dall’Europa. Tuttavia, la sensazione prevalente è quella di dire: andiamo avanti.

Da sei a nove mesi da oggi, la Brexit avrà assunto un aspetto molto diverso. Quello che il primo ministro apprenderà, man mano che riceverà istruzioni più dettagliate sulla Brexit, è quanto noi abbiamo già scoperto, indagando sui negoziati che il Regno Unito si appresta a intavolare: saranno trattative tremendamente spinose, e non solo in termini tecnici, ma soprattutto politici.

Theresa May ha bisogno di un Parlamento disposto a sostenere qualunque accordo lei presenti, o addirittura l’assenza di un accordo. In questo momento, ci sono molti parlamentari, anche al suo fianco, in grado di valutare gli accordi nel merito. E se non saranno sicuri che il governo saprà portare a casa «esattamente gli stessi vantaggi» garantiti dal mercato unico e dall’unione doganale, o se non si dovesse raggiungere alcun accordo, allora questi stessi parlamentari, oggi suoi sostenitori, potrebbero votare contro la Brexit.

Il primo ministro si protegge da una tale possibilità, optando per una vittoria schiacciante dei conservatori con nuovi parlamentari più apertamente entusiasti della Brexit. Ma i danni provocati al Paese saranno enormi, se finiremo con una maggioranza incontrollata pronta a puntare su una «Brexit a ogni costo».
(...) I negoziati si annunciano difficili (e imporranno) scelte dolorose (...)

Non appena si sarà fatta strada questa consapevolezza, i cittadini britannici saranno disposti a cambiare idea. Non dico che lo faranno, ma che gran parte di loro saranno pronti a farlo. A maggior ragione se le elezioni imminenti in altri Paesi europei sapranno generare una forte spinta verso le riforme.
L’obiettivo di indire oggi le elezioni nel Regno Unito è proprio quello di cancellare questa possibilità. A partire da questo momento, tutte le ipotesi sono possibili, ma non sappiamo ancora quali siano effettivamente le opzioni: non siamo in grado di valutare il rapporto costo/beneficio, e non siamo in grado di formulare una scelta adeguatamente informata. Il 15 percento di svalutazione della nostra moneta — il vero indicatore di quello che pensano i mercati finanziari riguardo il futuro dell’economia britannica, ovvero un calo nel suo benessere — è stato giudicato di scarsa rilevanza.

Ogni notizia riguardante quelle imprese che hanno deciso di restare nel Regno Unito viene accolta come prova che tutto va per il meglio, come a dire, se ne andrebbero se non ci fosse la Brexit. Le manifestazioni di preoccupazione dal mondo economico passano per lo più in sordina. Sono convinto che stiamo sottovalutando pericolosamente la minaccia all’unità del Paese in Scozia e in Irlanda del Nord, eppure la gente trova rassicurante i sondaggi che confermano il sostegno all’integrità della nazione. Per adesso.

La combinazione di un governo dominante e del cartello mediatico della destra è in grado di mantenere a galla la rivendicazione che la Brexit funziona. Il momento in cui cominceranno i negoziati, lo scontro con la realtà si farà durissimo e spietato. Ma questo avverrà dopo le elezioni.
È questo il dilemma politico che oggi dobbiamo affrontare. Il Paese ha votato per la Brexit, ma con una maggioranza risicata. E sono in molti, in entrambi gli schieramenti, che vorranno conoscere le condizioni dell’accordo, prima di convincersi del tutto. A causa delle circostanze straordinarie, per la mia esperienza, in cui si trova la politica britannica oggi, il primo ministro può indire le elezioni, ottenere una vittoria travolgente, e poi sostenere di avere un mandato per una Brexit a ogni costo. Queste circostanze straordinarie richiedono una risposta straordinaria.

Ci deve essere un modo per assicurare che gli elettori possano chiedere esplicitamente ai loro rappresentanti in Parlamento di dire se voteranno contro un accordo che non garantirà al Paese gli stessi vantaggi di cui oggi gode con il mercato unico, oppure contro qualunque accordo, se questo dovesse rivelarsi dannoso, come molti temono; e che saranno pronti a ritenere il governo responsabile delle sue scelte, nell’interesse del Paese. A prescindere dal colore politico.

La situazione politica è senza precedenti e pericolosa. Rischiamo di ritrovarci con un Parlamento squilibrato nella sua composizione, con una schiacciante maggioranza conservatrice, generata in parte non dai meriti della Brexit o dei conservatori stessi, bensì dallo stato in cui versa il partito laburista. In tali circostanze, il Parlamento assumerà un mandato che ci porterà dove vorranno loro, mentre invece abbiamo disperatamente bisogno di rappresentanti capaci di conservare almeno una certa apertura mentale.
Per far ciò, è necessario che in ogni circoscrizione si sappia chiaramente qual è la posizione dei candidati, e con la mobilitazione di migliaia di elettori in ciascun distretto elettorale sia chiaro che tali posizioni saranno determinanti per il voto. (...)

Non ho mai visto una situazione politica sconcertante come questa, né altrettanto galvanizzante. Sono tuttavia sicuro che ci saranno milioni di elettori britannici a cui sta molto a cuore il risultato di queste votazioni, e che si chiedono che cosa si possa fare.
La prima cosa sarà assicurarsi di eleggere rappresentanti che, nell’affrontare la questione più scottante di questi ultimi cinquant’anni, sappiano mettere gli interessi del Paese al di sopra degli interessi del partito.

(traduzione

di Rita Baldassarre)

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