Milano, 14 gennaio 2017 - 20:46

Marracash-Gué Pequeno: il rap siamo noi. Show ispirato ai gangster movie

La coppia parte in tour con l’album «Santeria». «J-Ax e Fedez? Siamo lontani da loro, fanno pop mascherato. La tv italiana non apprezza chi fa hip hop vero»

shadow

Il rap si fa meglio in due. E così, dopo aver fatto coppia con l’album «Santeria», Marracash e Gué Pequeno portano le loro rime in tour. Il cinema sarà la chiave per interpretare i concerti che partiranno il 24 gennaio (31, 1 e 20 febbraio a Milano, 18 a Roma). Rime e musica saranno in dialogo continuo con le immagini. «Abbiamo realizzato una specie di corto suddiviso in pillole. Siamo i protagonisti di una gangsta story che riprende quella dell’album. E in alcuni passaggi ci sarà un’interazione con quello che accade sul palco», anticipa Marra. «Non solo laser e video come in un concerto normale, ma un progetto artistico più complesso e su più fronti», aggiunge Gué che della passione per il cinema («da piccolo era un sogno») ha fatto un’attività parallela come produttore che lo ha già portato a Cannes (The Student). «L’ispirazione saranno le storie raccontate da maestri come Martin Scorsese e Brian De Palma — raccontano — ma rese contemporanee dall’uso dei colori in stile videclip di The Weeknd e dall’intervento della grafica sulle immagini».

A proposito di coppie. J-Ax e Fedez hanno pronto l’album «Comunisti col Rolex» (esce il 20). «Non sono rapportabili a noi. Basta guardare alle rime e agli artisti con cui collaborano per capire che sono una forma di pop, ma non scomoderei nemmeno nomi come Baglioni e Battisti, che si maschera da rap. Fedez è una macchina da guerra del business, glielo riconosco, ma il mio fare musica ha altri obiettivi», precisa subito Marra. L’hip hop è anche questo: sfida di ego, colpi (a parole) proibiti e provocazioni. «Ax aveva già dimostrato spirito di adattamento in passato. Non è un delitto fare soldi, ma io lo dico chiaramente e non mi nascondo dietro altro. Io non voglio essere un politico, un attivista sociale o altro — rilancia Gué —. Se invece hai la piscosi che ti fa vivere per il clic, sui social finisci col dire tutto e il contrario di tutto, preghi per Aleppo, preghi per i terremotati quando in realtà preghi per i soldi». Allargano il discorso alla scena rap del momento. «Alla popolarità e al successo di progetti come il nostro o quello di Salmo non corrispondono spazi in tv. Se sono costretti a invitarti alle serate dove premiano quelli che hanno venduto di più finisci in coda anche a chi vale meno di te», analizza Gué.

«Il mondo della tv italiana è decadente e morente — aggiunge il collega —. La cosa tragica è che in 60 e passa anni nessuno sia riuscito a svecchiare il Festival di Sanremo. E mi stupisce che nessuno provi a sfruttare economicamente il rap non solo in tv ma anche con una radio dedicata o con un’etichetta discografica». I due si completano le frasi a vicenda. Si conoscono sin da ragazzini, lo stesso giro rap del Muretto, le vacanze assieme, le notti dell’hip hop milanese anni Zero che diventava grande. Nel progetto si sentono le due anime, quella più letteraria di Marra e quella più attenta alla ricerca del suono di Gué. Ci sono stati sconfinamenti dell’uno nel territorio dell’altro. «Lui mi ha stimolato a seguire ogni aspetto di un brano mentre si lavora in studio», ammette Gué. E l’altro: «Vero, io tendo a essere preciso, a rifinire le cose fin troppo. Da lui ho preso istintività». E adesso? «Riprendo il percorso solista e voglio recuperare me stesso. In “Santeria” sono in primo piano i personaggi rispetto alle vite reali». Gué: «Sto facendo cose diverse: da un lato per confermarmi leader con pezzi urban e reggaeton e dall’altro per impormi anche sulla contemporaneità e sul versante trap».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT