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I NUMERI DEL CALCIO, il 7: le ali del pallone tra genio e sregolatezza

Redazione ITASportPress

Quando ancora i numeri facevano la storia, il 7 era l’ala destra: funamboli sulla linea del fallo laterale, sfruttatori di praterie di contropiede, le ali del pallone erano artisti e folli in un calcio dove valeva la sola legge dell’uno contro...

Quando ancora i numeri facevano la storia, il 7 era l’ala destra: funamboli sulla linea del fallo laterale, sfruttatori di praterie di contropiede, le ali del pallone erano artisti e folli in un calcio dove valeva la sola legge dell’uno contro uno: del centravanti contro lo stopper, del trequartista contro il mediano, dell’ala contro il terzino.

Oggi il calcio è un altro: “Super-uomini capaci di correre fino allo sfinimento per difendere, come di convergere per  cercare la porta. Corpi rubati all’atletica e riempiti di tecnica e potenza, che sanno fare qualsiasi cosa: tirare con entrambi i piedi, saltare l’uomo, cercare l’assist, colpire di testa, battere il calcio di punizione, il rigore, l’angolo, il rinvio dal fondo. L’essere ala nasce in un calcio istintivo, sensoriale, d’astuzia. Sono brasiliani i due giocatori che per primi, nel secondo dopo-guerra, hanno reso affascinante e mistica la figura dell’ala. Personaggi ancor prima che giocatori. Simboli di libertà e freschezza, movimento, estro e atletismo. Protagonisti di un calcio remoto, lontano dal professionismo e dalla competitività di quello moderno, un gioco in cui chi aveva il dono di saper usare la palla un po’ meglio degli altri diventava un dio” (Cit. Matteo Serra).

Il primo vero interprete del ruolo fu sicuramente Julinho. Brasiliano classe ’29, considerato dopo Garrincha la migliore ala destra del Brasile, ricevette un premio dalla lega arbitrale brasiliana per non aver ricevuto neanche un cartellino giallo in tre anni. In Italia è ricordato per aver vestito la maglia della Fiorentina vincitrice dello Scudetto del ’56: approdò alla squadra viola dopo aver realizzato un gol capolavoro ai Mondiali del ’55 contro la fortissima Ungheria; tesserato come oriundo grazie alla scoperta di un nonno lucchese, si scoprì che l’antenato era un prete e la Fiorentina subì un processo penale per alterazione di stato civile. Nonostante le prestazioni di altissimo livello Julinho non prese parte al Mondiale del ’58 perché il selezionatore Feola decise di non convocare nessuno che non militasse in Brasile.

Rimaniamo in Brasile proprio per Manoel Francisco dos Santos, conosciuto come Garrincha (soprannome affibbiatogli a causa della particolare andatura dovuta all'handicap fisico che veniva evidenziato durante la corsa, simile a quella di un uccellino che saltella). Considerato il più grande dribblatore della storia del calcio, e da molti anche come il miglior interprete del suo ruolo, Garrincha fu afflitto da diversi difetti congeniti: strabismo, la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza di lunghezza tra le due gambe, il ginocchio destro affetto da varismo e quello sinistro da valgismo; per via di tali malformazioni, dovute alla poliomielite ed alla malnutrizione, i medici lo dichiararono invalido e gli sconsigliarono di praticare il calcio. “Manè è la personificazione del “futebol moleque”, del gioco della strada fondato sull’improvvisazione, il trucco, il dribbling volto a umiliare l’avversario, non a superarlo.” Oltre che dai successi sportivi, la sua vita fu scandita dalla distruttiva passione per gli alcolici e per le donne (sono quattordici i figli riconosciuti in giro per il mondo) e morì prematuramente all'età di quarantanove anni per le conseguenze di una cirrosi epatica.

Una vita legata agli eccessi anche quella del grande George Best, colonna del Manchester United; nato a Belfast nel 1946, vinse il pallone d’oro del ’68, stagione passata alla storia in quanto grazie ai suoi 28 gol e 11 assist Best portò il Manchester a conquistare la prima Coppa dei Campioni per una squadra inglese. “Ho speso gran parte dei miei soldi per donne, alcol e automobili. Il resto l'ho sperperato” disse Best. Non amava gli schemi, le briglie: teneva le stringhe degli scarpini allentati, come a dire che anche la più piccola costrizione gli stava stretta. Non è mai stato un atleta: tornava tardi la sera, tra una donna incontrata per caso in un locale e troppi bicchieri di whisky; spesso saltava gli allenamenti, ma in partita era sempre lui l’uomo capace di vincere da solo in qualsiasi momento. La vita del campione nordirlandese fu costellata da gravi problemi di salute causati dalla dipendenza da alcol che lo portò alla scomparsa nel 2005 all’età di 59 anni. Il 22 maggio 2006, in occasione dei 60 anni dalla nascita di George Best, la città di Belfast ha deciso di intitolargli il Belfast City Airport.

Torniamo in Italia per due grandi campioni che rimarranno per sempre fissi indelebili nel cuore dei tifosi del Torino: Luigi Meroni e Claudio Sala. Soprannominato “Farfalla granata” per via del suo stile di gioco e per i suoi costumi anticonformisti, Meroni crebbe a pane e pallone nel cortile sotto casa e nel campetto dell'oratorio; il ragazzo mingherlino iniziò a farsi notare nelle giovanili del Como, quando arrivò la chiamata dell'Inter la madre fu irremovibile: troppa apprensione le avrebbero causato i viaggi settimanali per Milano del figlio e così il giovane Luigino iniziò a lavorare come disegnatore di tessuti e cravatte. Appena maggiorenne venne acquistato dal Genoa e nel 1964 passò al Torino per una cifra mai pagata per un ventenne; con la maglia granata si consacrò, amatissimo dal suo pubblico che per scongiurarne la partenza verso i rivali della Juventus scese in piazza e minacciò rivolte: affermò il giornalista Ormezzano che “il polso della città batteva troppo” e così il patron della Juventus Agnelli rinunciò all'acquisto. Gigi Meroni e George Best, parallelo affascinante ma un modo diverso di esprimere genio e sregolatezza fuori dal campo: Best, quinto Beatle del Regno Unito, mezza vita annegata in fiumi di alcol, Meroni, il Beatle italiano, una breve vita normale, resa irregolare dall'aver sfidato convenzioni e critica sportiva nazionale, perbenista e conservatrice. Quando Edmondo Fabbri chiamò Meroni in nazionale, gli impose la condizione di tagliarsi i capelli. Lui, che disegnava i vestiti che indossava sui modelli di quelli dei Beatles, che passeggiava per Como portando al guinzaglio una gallina, che si travestiva da giornalista per chiedere alla gente cosa pensava di Meroni, la giovane ala destra del Torino, e rideva se la risposta era che non lo conoscevano, non avrebbe potuto rinnegare il suo ego e rifiutò la convocazione (Meroni accettò comunque una convocazione successiva e giocò 6 partite con la maglia dell’Italia). La Farfalla granata morì a ventiquattro anni nel 1967 investito da un'auto mentre attraversava Corso Re Umberto a Torino insieme al suo grande amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti: la Fiat 124 Coupé era guidata da Attilio Romero, diciannovenne neopatentato di buona famiglia, lo stesso Romero che, fra le polemiche, nel giugno 2000 divenne presidente del Torino. La domenica successiva alla sua morte si giocò il derby con la Juventus che il Torino vinse per quattro reti a zero: nel silenzio di entrambe le tifoserie un elicottero inondò il campo di fiori che furono raccolti sulla fascia destra, dove giocava Gigi Meroni. Il successore di Meroni sulla fascia fu il Poeta del gol Claudio Sala, Campione d’Italia con il Torino nel 1976 e vice-campione l'anno successivo perso contro i “cugini” della Juve per un solo punto in classifica; fu uno degli ultimi interpreti del calcio fatto di poesia e fantasia, di dribbling e di gesta atletiche mirabolanti. Passò undici stagioni nel Torino durante le quali fu l’artefice principale dei gol dei “Gemelli” Pulici e Graziani che regalarono al Toro l’unico scudetto del dopo-Superga.

Passiamo ora ai tempi più recenti, dove il calcio ha forse perso lo spirito primordiale che muoveva i primi giocatori diventando quasi interamente una questione di soldi e business. Vera e propria icona di marketing è lo “Spice boy” inglese David Beckham: classe ’75, inserito da Pelè nella Fifa 100, la lista dei più forti calciatori di sempre; è uno dei pochi calciatori inglesi ad aver giocato più di 100 partite con la maglia della propria Nazionale. Sposato da quindici anni con l’ex Spice Girls Victoria Adams, Beckham vestì 356 volte la maglia del Manchester United prima di approdare al Real Madrid.

Con un ruolo sempre più offensivo, il numero 7 sta via via prendendo le sembianze del vero e proprio attaccante. 

Andriy Shevchenko, ex attaccante ucraino classe ’76, per anni è stato uno degli attaccanti più forti del calcio internazionale. Vincitore del pallone d’oro del 2004, lo stesso anno “Sheva” è stato inserito da Pelè nella lista dei 125 migliori calciatori viventi. In Italia ha vestito la maglia del Milan 234 volte segnando 130 gol. Una curiosità: nel 1986 Shevchenko non riuscì a superare una prova di dribbling per l'ammissione a una scuola sportiva di Kiev ma nonostante ciò attirò l'attenzione di un talent-scout della Dinamo Kiev durante un torneo giovanile così da approdare ugualmente alla più importante squadra dell'Ucraina.

Raúl González Blanco, noto semplicemente come Raúl gioca attualmente nell’Al-Sadd (Qatar); a parlare di lui bastano le sue “referenze”: giocatore con più gol (71) nella storia della Champions League, secondo miglior marcatore della Nazionale spagnola (44) e giocatore con più presenze di sempre del Real Madrid (741) nonché suo miglior marcatore (323 reti).

Gli ultimi due nomi sono due giocatori di spessore internazionale, ancora in attività: parliamo dei numeri 7 Franck Ribéry e Cristiano Ronaldo. Il primo, giocatore del Bayern Monaco classe ’83, è considerato uno dei migliori giocatori del suo ruolo in Europa. Proficuo uomo assist può vantare la media di 19,6 assist a stagione. Ribery ha deciso di lasciare la Nazionale francese dopo i deludenti mondiali brasiliani: 81 presenze con i Blues per lui, nella sua bacheca figura solo il secondo posto ai Mondiali tedeschi del 2006. Tutt’altro discorso a livello di club dove Ribery ha conquistato con il Bayern Monaco, fra gli altri, 4 Campionati tedeschi, 1 Champios League, 4 Coppe di Germania e 1 Supercoppa Europea. Ribery si è convertito alla fede islamica dopo il matrimonio con Wahiba Belhami. Il secondo nome non ha bisogno di troppe presentazioni; il portoghese Cristiano Ronaldo è considerato uno dei calciatori più forti di tutti i tempi ed uno degli attaccanti più prolifici ancora in attività. Vincitore di due palloni d’oro (2008 e 2013), l’anno 2008 è stato un anno magico per Ronaldo con la conquista di Champions League, Premier League e Coppa del mondo per club, scarpa d’oro, FIFA World Player e Pallone d’oro. Dopo aver militato sei anni nel Manchester United Ronaldo è approdato nel 2009 al Real Madrid; è il giocatore madrileno ad aver segnato più gol in una sola stagione (60), uno dei più veloci al mondo (velocità massima di 33,6 km/h) ed è attualmente il calciatore più ricco del pianeta (148 milioni di euro) davanti a Messi ed Eto’o.

Che riprendano le caratteristiche delle prime ali del calcio o che incarnino il significato moderno del numero 7, ecco le future promesse destinate ad occupare un posto nella storia del pallone: il tedesco Serge Gnabry (’95, Arsenal), lo spagnolo Gerard Deulofeu (’94, Siviglia), il belga Zakaria Bakkali (’96, PSV Eindhoven), l’argentino Lucas Ocampos (’94, Monaco) e il serbo Andrija Živković (’96, Partizan Belgrado).