Il presidente di Telecom:“Tim non sarà mai francese. Pronti a trattare sulla rete”

“I cantieri Stx? L’Eliseo teme i rivali extra Ue”. “Con Mediaset buoni rapporti, ma non escludo intese con Sky o Discovery”

Per dimostrare di essere italiano «nel cuore e nella mente», Arnaud de Puyfontaine si impegna a parlare «molto bene» la nostra lingua «entro la fine dell’anno». Un pugno di ore dopo essere stato nominato anche amministratore delegato ad interim, il presidente esecutivo di Tim giura che la sua missione è riportare Telecom «fra i numeri uno a livello internazionale», poi ostenta visione strategica e pragmatismo al punto da aprirsi a valutare lo scorporo della rete, tema sinora considerato un tabù. Rifiuta le accuse di essere un invasore. «Quelli - concede - vengono per distruggere: non è il nostro caso. Noi siamo in Italia per investire».

Del suo Paese ha la cravatta e la sicurezza. «Gli italiani sono francesi di buon umore», sorride il top manager parigino, classe 1963, generale che Vincent Bolloré ha scelto per gestire la sua più difficile partita italiana. «Il nostro investimento in Telecom non è finanziario - sottolinea -, è strategico e di lungo termine. Come si vede, non ci siamo mossi per conto terzi: Vivendi intende costituire un gruppo paneuropeo con una posizione mondiale nei media, nei contenuti e nell’intrattenimento, e questo progetto passa necessariamente per gli operatori di telecomunicazioni, soprattutto in Italia dove non c’è la tv via cavo. Questa è la chiara visione strategica di Vivendi, pienamente condivisa e sostenuta da Vincent Bolloré, un imprenditore di grande successo che ha saputo costruire un gruppo solido e votato allo sviluppo e all’innovazione, e che crede nella convergenza».

A proposito di definizioni. Se oggi chiede a un italiano chi sono i francesi, è facile che pensino a Stx e rispondano “qualcuno che non rispetta le regole”. Brutta storia, no?

«Su Fincantieri non conosco i dettagli. Credo però che la questione ruoti attorno alla capacità di mantenere in Europa il bagaglio di conoscenze accumulato negli anni, anziché condividerle con paesi terzi. Questo è il solo cantiere navale francese in grado di costruire navi militari per la difesa. Capisco che sia una situazione strana, ma non posso immaginare che sia irrisolvibile».

E’ una nazionalizzazione.

«A quanto mi risulta, è un diritto di prelazione che è stato esercitato per prendere tempo con l’obiettivo di poter negoziare nuovi termini che possano risolvere quelli che sono stati ritenuti aspetti negativi dell’accordo. Bruno Le Maire, che è un grande ministro dell’economia, sarà a Roma martedì. La Francia ha un’opportunità unica con Macron, che ha capacità di cambiare le cose, ed è straordinariamente a favore dell’Italia e delle buone relazioni tra i due Stati. Ci sarà il tempo per chiarirsi e magari una soluzione che possa creare una sorta di Airbus del mare. Il rafforzamento di tutti i collegamenti tra Francia e Italia è un presupposto per creare, anche insieme alla Germania, una guida a tre e pensare al futuro d’Europa. L’agenda per le generazioni future deve essere decisa da questi tre Paesi».

Intanto vi accusano di essere invasori. Si ritrova?

«Vent’anni fa Telecom Italia aveva una straordinaria posizione di primato: era più grande e più veloce di France Telecom, British Telecom o Telefonica. Era presente in 28 Paesi, a Torino aveva il laboratorio più innovativo d’Europa, dove fu inventato l’Mp3. Da allora ha perso quell’abbrivio, ha dovuto vendere attività, contrarsi anziché crescere, finendo per divenire una possibile preda. Non siamo invasori: siamo la conseguenza di quella situazione e stiamo dando a Telecom ciò di cui ha bisogno».

Parlate di una seconda fase del rilancio di Tim. Qual è il piano?

«Ho grandi ambizioni per Tim. Riguadagnerà crescita, successo, innovazione e la capacità di essere considerata la migliore tra i concorrenti europei. Per la prima volta potrà trarre beneficio da un azionista forte, con una visione di lungo termine e che ha investito più di 4 miliardi. Altro che invasori: porteremo soluzioni vincenti, daremo a Tim un’agilità certo non tipica di un’ex monopolista. Tim non sarà mai francese: è e sarà una società italiana».

Vivendi ha riconosciuto la «direzione e il coordinamento» di TIM. Che cosa significa?

«Significa che non si limiterà a essere il primo azionista ma potrà fornire un vantaggio competitivo straordinario a Telecom. L’azionista fornirà ogni possibilità di sviluppare nuove iniziative per essere in prima fila nella convergenza tra telecomunicazioni e contenuti. Un esempio? Lunedì ho ricevuto una lettera da Canal+ che ci offre di creare una joint venture».

Di che cosa si tratta?

«Canal+ ha grandi capacità, competenze e forza contrattuale, ha diritti su 9 mila film, è il numero uno europeo delle serie tv. Si possono unire gli sforzi e stimolare, con i contenuti, la domanda per connessioni in banda ultralarga: non dimentichiamo che Tim è il primo investitore in Italia con 11 miliardi previsti nei prossimi 3 anni ».

Crede che con la joint venture si creeranno possibilità di collaborare con la Mediaset dei Berlusconi?

«La cosa non è in agenda».

Parteciperete all’asta per la Serie A in autunno?

«È prematuro dirlo, dovremo vedere i termini del nuovo bando. Una cosa è certa: non mi spingerò mai oltre investimenti che non siano sostenibili».

Per questo potreste allearvi col Biscione, non crede?

«Tim ha già buone relazioni con Mediaset, non vedo motivi di cambiarle. Ma potremmo fare qualcosa anche con Sky o con Discovery, per esempio».

Parlava di Banda ultralarga. Cosa farete nelle zone cosiddette a fallimento di mercato, al centro della polemica col governo?

«È una situazione che ho ereditato e che devo rivedere. Penso che avere due operatori che investono nelle medesime aree non sia ottimale né economicamente valido. E probabilmente così non si crea l’infrastruttura più efficiente. Sono aperto e pronto a considerare la situazione nell’interesse del Paese, dei clienti e degli azionisti dei soggetti coinvolti».

Questo significa che siete disposti a ragionare di creare un’unica società di Rete, magari con Open Fiber?

«Abbiamo un approccio pragmatico, vogliamo lavorare per il bene del Paese».

Dunque sarebbe pronto anche a scorporare la rete?

«Ho letto molto su questo. Sono disponibile, nel rispetto del Governo, a partecipare a una discussione aperta: non ho preconcetti, a patto che la strategia sia sviluppata nell’interesse di tutti gli stakeholder di Tim».

Pensate a una fusione per il futuro di Tim?

«Il nostro impegno è quello di preparare Tim a scenari in continua evoluzione. Una fusione con Orange? Voglio essere chiaro: non ci sarà. Telecom sarà un consolidatore, non una preda».

Oggi avete nominato Amos Genish nuovo direttore operativo. Che mandato ha?

«Dovrà accelerare il passo di cambiamento della società, rendendola ancora più agile e veloce, e creare una cultura della modernità».

Conosce l’Italia?

«Amos è un affermato manager nel settore delle telecomunicazioni, con una comprovata esperienza in diversi contesti internazionali. Sono certo che saprà adattarsi rapidamente al contesto italiano, come aveva fatto in Brasile».

Qual è l’identikit del futuro ad?

«E’ presto per parlarne, è in corso un processo che contiamo di concludere entro settembre».