Simona Vinci: “Sui diritti delle donne viviamo un’involuzione pericolosa”

L’autrice di Parla mia paura: «Siamo tornati alle battaglie di quando non ero nata. Le quote rosa aiutano, ma la maternità resta un discrimine pesante se lavori»

Convincere la scrittrice Simona Vinci a parlare di politica è un’impresa. Il suo ultimo romanzo, «Parla, mia paura», è una struggente discesa negli abissi della depressione, prima ancora ha indagato, con «La prima verità», la storia del manicomio di Neros con un io narrante che non lasciava scampo. Getta sguardi obliqui sul mondo, non ama pontificare, preferisce parlare con la scrittura, frequentare luoghi più intimi rispetto al clamore della scena pubblica.

Ma il crocevia importante davanti al quale si trova il Paese, le battaglie alle quali tiene – da quella sui diritti delle donne ai problemi del disagio mentale – la spingono ad uscire dal suo guscio. A vincere quell’ineluttabile pessimismo che la porta a dire che «non esiste più spazio per una politica che abbia a cuore le persone», che la «sfiducia nella gente che vota è totale».

Lei voterà, nonostante tutto?

«Sì, ahimè».

Siamo nell’anno in cui hanno preso forza #MeToo e altri movimenti che rivendicano i diritti delle donne e contro le molestie sessuali. Eppure, il tema non sfiora la campagna elettorale. Perché?

«La politica italiana è in ritardo su quasi tutto. Basti pensare, per fare un esempio eclatante, a come si è arenato lo Ius soli. E, più in generale, all’incapacità di dare risposte alla grande ondata migratoria senza ridurla a folklore o liquidarla ridicolizzandola o smontandola con le banalizzazioni».

Cosa pensa dei movimenti femministi? Ci si riconosce?

«Riconoscermi in prima persona no, nel senso che nel corso della mia vita lavorativa non mi è mai capitato di ricevere attenzioni che sottintendessero uno scambio di favori, né di dover accettare ricatti legati al mio essere donna. Sono cresciuta nell’idea che il genere non sia poi così rilevante. Ovviamente, il fatto che non sia accaduto a me, non significa che io possa minimizzare ciò che è accaduto e accade ad altre. Da ragazza degli Anni Ottanta e Novanta avevo una visione del futuro totalmente diversa: il mio immaginario, per dire, è stato segnato da gente come David Bowie e personaggi dei cartoon come Lady Oscar e Capitan Harlock, mi sono spiegata? Poi è arrivato il Grunge e gli uomini e le donne si vestivano e si truccavano allo stesso modo. Non avrei mai creduto che fossero necessarie battaglie che erano già state condotte quando io non ero ancora nata o ero una bambina. E invece si è tornati indietro, ma tanto. Il nostro Paese ha subito un’involuzione allucinante».

Com’è la situazione della donna in Italia: parlo di condizioni di lavoro, pari opportunità e diritti.

«Se si guardano i dati Istat siamo indietro. Oltre alla disparità del trattamento economico, c’è la questione spinosissima della maternità che rimane un discrimine pesante per le donne. Anche se, sul tema del lavoro, non separerei la condizione femminile da quella dei lavoratori maschi senza tutela».

Due cose positive le verranno in mente.

«Sono felice per le unioni civili e il fine vita, leggi incomplete e imperfette che però rendono il nostro Paese più civile. Poi mi pento subito pensando all’occasione sprecata dello Ius soli».

Sotto il profilo culturale cosa bisognerebbe fare?

«Tutto. A partire dalla scuola, ovviamente. E dai media. Cercare di veicolare quanto più possibile un’immagine della donna diversa dallo stereotipo, dando risalto e dignità alla molteplicità di modelli femminili e alla coesistenza, in una stessa persona, di istanze diverse».

Ci vorrebbero più donne in politica?

«Penso proprio di sì. Nei Paesi dove questo accade, per esempio in Norvegia, la realtà è molto diversa. Però va anche preso atto che, per esempio, per quanto riguarda la presenza delle donne nei cda delle aziende quotate in Borsa, l’Italia ha fatto un balzo in avanti proprio grazie alla legge sulle quote rosa, definizione che io personalmente non amo, ma che in questo caso hanno dato un grande risultato. Se invece guardiamo i numeri della rappresentanza femminile nelle università e negli enti di ricerca la situazione è pessima».

Lei ha scritto un libro importante sulla depressione, la politica fa abbastanza per affrontare questo tipo di malattie?

«Assolutamente no. Dopo la grande stagione di Basaglia e la chiusura dei manicomi, l’Italia è sprofondata nello sfacelo. È mancata la capacità di costruire, dopo aver buttato giù i muri. Oggi non c’è neanche una situazione legislativa chiara e univoca a livello nazionale. E il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: un aumento dell’incidenza di disturbi psichiatrici che, non ricevendo un’adeguata risposta dai servizi sociali e sanitari, ricadono sulle singole famiglie. Disperazione e disagio producono altra disperazione e altro disagio».

Più in generale, secondo lei, qual è lo stato di salute dell’Italia?

«Il nostro è un Paese potenzialmente eccezionale, che potrebbe puntare tutto sulla sua storia, sulle sue bellezze, sulla creatività e sulle competenze, ma che è affossato da una politica arrogante e confusa, e da un livello culturale medio in fase di regressione».

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