L’economia che corre in bicicletta. Trecentomila schiavi dell’algoritmo

Cresce il lavoro sulle piattaforme: oltre alle app del cibo, boom per farmaci e baby sitter

Tutta colpa del solito mal di testa. Se fuori piove e la scorta di analgesici si è già esaurita l’aiuto giusto lo offre Giovanni, uno a cui il temporale di certo non fa paura: arriva in bici e in tre quarti d’ora il dolore è già passato. L’ordine si fa sull’app e la pastiglia che ti cambia la giornata è nelle mani del rider in soli cinque minuti. Il sistema, più o meno, è lo stesso della pizza e dei cibi consegnati a casa ancora caldi: la Foodora dei medicinali è l’ultima nata e in poco tempo comincia a diffondersi. Per ora il servizio è attivo solo in 4 città ma le farmacie che aderiscono sono già diventate tante. Giovanni è uno dei rider della nuova piattaforma, uno di quei 300 mila che ogni giorno fanno crescere a colpi di pedali il business della gig economy. «Rispetto ai fattorini di Foodora noi abbiamo un compenso fisso. Basso sì, ma almeno concordato prima. La fortuna è quella di avere qualche tutela in più rispetto ai rider senza diritti».

Le esperienze

Il tempo di chiacchierare è finito: la farmacia ha già ricevuto un nuovo ordine e c’è da fare in fretta. Giovanni sale nuovamente in bici e corre dall’altra parte della città. «Io lavoro anche per Foodora e oggi finirò a notte fonda. Ma non potrò correre: a ogni curva, quando la strada è bagnata, si corre il rischio di scivolare sull’asfalto e di farsi male. Se faccio un incidente nessuno mi paga». Alessandra invece non corre quel rischio: perché l’app che gestisce un piccolo esercito di colf ha previsto l’assicurazione. Lei ha 30 anni, è originaria della provincia di Brescia e da 6 mesi ha iniziato il lavoro agli ordini dell’algoritmo delle pulizie domestiche: «Guadagno 10 euro all’ora, ma l’app garantisce una quota minima di contributi. In questi mesi ho conosciuto diversi clienti e molti si sono già affezionati: presto lascerò la piattaforma e continuerò a curare personalmente i rapporti con loro: tutto in nero, saltando l’algoritmo». Quelli che invece restano incastrati nell’ingranaggio sono costretti a rispettare le solite regole: compenso basso, disponibilità continua e pochi diritti. Almeno finché non sarà ribaltata la sentenza della prima causa di intentata dai fattorini di Foodora.

L’esercito dei rider

Non è più un fenomeno nuovo, ma negli studi sull’economia italiana questo non è ancora inquadrato all’interno di statistiche e tabelle precise. Nell’ultimo studio dell’Istat è incluso nella categoria del «lavoro accessorio». Ma tra fattorini, rider e tutti quelli che fanno i conti con gli algoritmi, si mischiano anche i lavoratori occasionali, magari quelli che rispondono alle chiamate delle agenzie interinali e anche chi per scelta ha un impiego solo saltuario. Secondo l’Istat, questa categoria di lavoratori, nel 2016 valeva circa un miliardo di euro ed era composta da un milione e ottocentomila unità. E i rider? Secondo un primo studio, che mette insieme gli addetti schierati ogni giorno dalle varie app, sono poco meno di 300 mila. Quasi tutti alle stesse condizioni: senza compenso fisso, reclutati all’improvviso, senza copertura in caso di incidenti e senza il diritto di ammalarsi. Con la missione di fare il più in fretta possibile: perché chi è lento viene scartato. «Sta diventando una giungla - dice Giulia Gilda della Filt Cgil -. Con l’ultimo rinnovo del contratto del settore logistica, merci e spedizioni, abbiamo inserito la figura del rider. C’è scritto che quel lavoro si fa da dipendente, con inquadramento e regole. Alla prossima causa sarà più facile ottenere il riconoscimento».

Il mercato

Tra fattorini che consegnano specialità appena sfornate e pacchi di ogni dimensione, le piattaforme ampliano le offerte di lavoro. Le app si specializzano e sul modello del cibo, sul quale la concorrenza è già spietata, si sono sviluppate anche altre start-up. Da quella che fornisce baby sitter anche per poche ore, fino a quella che garantisce la custodia degli animali domestici. Un’altra già produce un bel giro d’affari e consente di avere la spesa a domicilio. Senza la necessità di chiamare il negoziante e ordinare al telefono: i prodotti si scelgono on line e tutto arriva a casa sulle spalle del rider di turno. Ma non sempre in breve tempo. Verificato giusto ieri pomeriggio a Torino: ordine andato a buon fine ma il pane, l’acqua, la frutta e la verdura sarebbero stati consegnati solo stamattina. Troppo tardi per organizzare la cena: meglio scegliere il vecchio mini market del quartiere.