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Tra il 1964 e il 1990, in Italia sono state attive quattro centrali nucleari, oggi tutte in fase di smantellamento, dopo il referendum del 1987: Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Ad oggi, l’Italia è l’unico Paese membro del G7 a non produrre energia nucleare. Ma con la crisi energetica in corso e la necessità di liberarsi dalla dipendenza dalla Russia, si torna a parlare di nucleare. L’Unione Europea ha inserito il gas e il nucleare nella lista degli investimenti “utili alla transizione” presenti nella tassonomia comunitaria. Ma il tema ha creato una divisione tra favorevoli e contrari.
Le centrali nucleari producono energia elettrica sfruttando il calore generato dalle reazioni nucleari. Il processo si verifica nel nocciolo del reattore, dove avviene la fissione del combustibile nucleare in barre: gli atomi di uranio o plutonio, colpiti da un neutrone, si dividono. Intorno al nocciolo del reattore ci sono tubi dove scorre acqua che, riscaldata dal calore prodotto durante la fissione, viene trasformata in vapore ad alta temperatura. Il vapore è poi usato per far ruotare le turbine del generatore di corrente della centrale.
Poiché i neutroni, l’uranio e i prodotti di fissione sono radioattivi e quindi potenzialmente dannosi per gli esseri viventi, il reattore è racchiuso in contenitori di acciaio e piombo per schermare le radiazioni e poi protetto in robuste strutture di cemento armato.
I vantaggi che possono arrivare dallo sfruttamento del nucleare sono principalmente tre:
Ma ci sono anche alcuni svantaggi, che non sono da sottovalutare. Nonostante i sistemi di sicurezza delle centrali siano sempre più affidabili, bisogna tenere comunque in considerazione l’elevato livello di radioattività del processo produttivo. Inoltre, restano le scorie, che rimangono radioattive per milioni di anni e devono essere stipate in siti geologicamente stabili e protetti.
I sostenitori del ritorno al nucleare parlano spesso di energia “pulita” e “sicura”, facendo riferimento ai cosiddetti “impianti di ultima generazione”.
L’espressione “nucleare di quarta generazione” è nata nel 2001 al Generation IV International Forum, un programma di ricerca a cui partecipano 13 Paesi e la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) con l’obiettivo di progettare sistemi innovativi per la generazione di energia nucleare.
Oggi la maggior parte dei reattori operativi a livello mondiale, però, appartiene ancora alla “seconda generazione”. Le tecnologie più avanzate esistenti sono invece quelle di “terza generazione”, più sicure di quelle precedenti ma non ancora i livelli della quarta.
La Cina è il Paese più avanzato su questo fronte. A dicembre 2021, Pechino ha sperimentato il primo collegamento di un reattore di quarta generazione alla rete elettrica. Ma si tratta solo di un modello in vista della costruzione del vero e proprio reattore. Lo stesso ha fatto Russia.
Chi difende il ritorno al nucleare sostiene che questa forma di energia sia “pulita”. Il Parlamento Europeo ha effettivamente inserito il nucleare nella sua tassonomia di fonti energetiche sostenibili e l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), nel suo ultimo rapporto di giugno 2022, ha incluso il nucleare tra le fonti di energia “pulite”, sostenendo che, dagli anni Settanta, “ha fortemente contribuito alla riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica”.
Dall’altra parte, però, c’è chi sostiene che, al di là delle emissioni, la questione dei rifiuti radioattivi sia da tenere in considerazione. Nel dibattito sulla sostenibilità ambientale del nucleare di quarta generazione ci si chiede se queste nuove tecnologie saranno in grado di produrre meno scorie radioattive.
Inoltre, i problemi di un potenziale ritorno all’uso dell’energia nucleare in Italia riguardano anche i costi degli impianti e le tempistiche di costruzione. Sulle tempistiche, gli esperti si aspettano che il nucleare di quarta generazione sia pronto per l’uso civile su larga scala non prima del 2030. Al momento, insomma, un ipotetico ritorno al nucleare non sarebbe sufficiente per risolvere in tempi brevi i problemi del rincaro dei prezzi delle bollette o della dipendenza energetica dalla Russia.
Per quanto riguarda i costi elevati, un altro ostacolo spesso citato dagli oppositori del nucleare, la verità sta nel mezzo: la costruzione di una nuova centrale richiede investimenti iniziali molto significativi, ma i costi di gestione e di rifornimento sono ridotti se confrontati, per esempio, con quelli di una centrale a gas.Il picco nella produzione italiano è stato raggiunto nel 1986, quando il nostro Paese arrivò a generare quasi 9 terawattora di energia nucleare. Nel 1987, poi, in seguito anche al disastro di Chernobyl, il partito dei Radicali organizzò tre referendum abrogativi sul tema. I quesiti, approvati a larghissima maggioranza, portarono nel giro di pochi anni allo stop di tutti gli impianti, che da quel momento non furono mai più riattivati.
Nel 2011, poi, in seguito all’iniziativa del quarto governo Berlusconi di avviare una nuova “Strategia energetica nazionale”, si tenne un altro referendum che decretò il parere favorevole degli italiani all’eliminazione del nucleare.
Oggi l’Italia non produce energia nucleare, ma importa circa il 5% di energia nucleare dalla Francia.
Tra i membri del G20, le nazioni che non producono energia nucleare sono al momento cinque. Oltre all’Italia, si aggiungono Australia, Arabia Saudita, Indonesia e Turchia.
A livello globale sono attivi 438 reattori nucleari in tutti i continenti. Il Paese in cui è concentrato il maggior numero di impianti sono gli Stati Uniti, con 92 reattori, seguiti dalla Francia (56), la Cina (55) e la Russia (37). Tra i 27 Paesi dell’Unione europea, quelli senza centrali nucleari sono 14.
Nel 2021, la Francia ha prodotto il 69% dell’energia elettrica dal nucleare. A seguire gli Stati Uniti con quasi il 20%, il Canada con poco più del 14%, il Regno Unito con il 15% e la Germania con circa il 12%.
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