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Caravaggio: la Presa di Cristo della Collezione Ruffo

La Presa di Cristo di Caravaggio proveniente dalla collezione dei principi Ruffo di Calabria ed oggi in collezione privata romana non è una nuova scoperta, bensì una riscoperta.

Com’è noto, dai primi anni ’90, la National Gallery of Ireland a Dublino custodisce una Presa di Cristo di Caravaggio unanimamente ritenuta autografa. Questo capolavoro del Merisi è forse la sua tela più copiata tanto che ne esistono una quindicina di repliche. Alcune sono famose: ad esempio quella del Museo di Odessa ritenuta in una certa fase forse autografa. Oppure la copia di Palazzo Pitti di cui potete leggere cliccando Cattura di Cristo: la copia di Palazzo Pitti.

Oggi, nell’Ottobre del 2023, a Palazzo Chigi ad Ariccia, viene presentata, restaurata, una tela tale da poter ambire anch’essa all’autografia. Procediamo però con ordine.

Caravaggio: la Presa di Cristo Ruffo da Longhi a Marini

Di fronte ad una possibile opera autografa di Caravaggio non si può procedere con superficialità. Partiamo dunque da due studiosi di riferimento: Roberto Longhi e Maurizio Marini. Purtroppo nessuno dei due è più con noi ne ha vissuto tanto da poter vedere la tela restaurata. Quindi ambedue hanno avuto modo di confrontarsi con un dipinto caratterizzato da uno stato di conservazione approssimativo.

Roberto Longhi (1890-1970), il riscopritore di Caravaggio, individuò nel 1943 a Firenze, nella collezione dell’avvocato Ladis Sannini, la tela di cui stiamo parlando. Secondo Longhi si trattava di una copia da Caravaggio, “fedele, anche nelle misure (m. 2,45 x 1,65), all’originale smarrito”. In questa veste (cioè di copia) Longhi la espose nella mostra del 1951 Palazzo Reale a Milano nella Mostra Caravaggio e i caravaggeschi.

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Caravaggio – Presa di Cristo Sannini-Ruffo

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Un’opera contestuale

Mezzo secolo dopo, la tela viene vista da Maurizio Marini (1942-2011) il quale, nel suo  Caravaggio Pictor Praestantissimus, scrive: “Presso la collezione L. Sannini di Firenze si trova la versione (olio su tela, cm 142×218,5) da cui Longhi deduce (1943) la facies del quadro Mattei. Il dipinto appare di qualità (specie dopo il recente – 2004 – restauro), nondimeno la sua importanza sussiste in quanto conserva, pressoché integro, il testo d’origine (vi appaiono le zone destra e sinistra, mancanti nelle altre, dove si possono leggere il panneggio arrovellato della manca sinistra del cosiddetto San Giovanni, e il mantello dell’ultima figura a destra)…. In ultima analisi, considerando che l’originale Mattei potrebbe essere stato decurtato sui due lati brevi pressoché immediatamente, la versione Sannini, eseguita contestualmente al prototipo, è la sola che ne conservi la primitiva impostazione compositiva”.

Dunque, Longhi che vede l’opera prima del restauro in condizioni precarie la giudica copia ma meritevole di essere esposta ufficialmente. Maurizio Marini la vede dopo il primo restauro e la giudica di qualità ma non si spinge oltre. Fa però un’osservazione importante circa la sua iconografia e la considera contestuale al prototipo (Dublino).

Consiglio vivamente di approfondire il restauro dell’opera leggendo quanto scrive colei che lo ha effettuato: Carla Mariani – Sul restauro della Cattura di Cristo.

Cattura di Cristo di Caravaggio: le due iconografie

Si, perché è importante tenere ben presente che la Cattura di Cristo di Dublino e questa di collezione Sannini-Ruffo non sono “uguali”. Non sono una la copia l’una dell’altra ma sono due opere autonome.

La presa di Cristo di Cristo nell’orto di Dublino è infatti cm 133,5×169,5 ma non perché sia in scala più piccola. E’ la scena ad essere diversa. Infatti, la scena di Dublino manca del braccio sinistro di San Giovanni e di una porzione dell’ultimo personaggio a destra che poi è il ritratto di Caravaggio.

Già che ci siamo, osservate le pieghe del panneggio arrovellato della manica sinistra di San Giovanni. Nelle due versioni sono diverse. Leggermente, ma diverse. E’ un particolare che un copista di livello non avrebbe sbagliato. Invero di questi particolari ve ne sono più d’uno. Ad esempio la cicatrice sulla mano sinistra di Giuda. Così evidente nella versione Sannini-Ruffo assai meno in quella di Dublino. Torneremo comunque tra un attimo su queste differenze.

Il punto è un altro. Si tratta di un’osservazione che vorrei dire quasi ingenua ma non priva di logica. Ovvero che l’iconografia Sannini-Ruffo deve precedere quella di Dublino in quanto la logica vuole che se si vuole dipingere una scena più ridotta lo si faccia nella seconda versione piuttosto che nella prima. Difficile pensare che un committente possa chiedere di aggiungere quanto, viceversa, è più probabile una richiesta di segno opposto.

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Caravaggio – Cattura di Cristo nell’orto, Dublino

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Due tele intatte

Inoltre, vanno tenuti presente due aspetti. Il primo è che nessuna delle due tele è stata ridimensionata tagliandola nel corso dei secoli. Secondo i curatori del museo di Dublino, la tela in loro possesso non avrebbe segni di ridimensionamenti: quindi la scena è stata dipinta così come la vediamo.

In secondo luogo, la scena rappresentata nella tela Sannini è coerente con quanto descritto a suo tempo dal biografo di Caravaggio Giovan Pietro Bellori (1672). Questi scrisse: “Tiene Giuda la mano alla spalla del Maestro, dopo il bacio; intanto un soldato tutto armato stende il braccio, e la mano di ferro al petto del Signore, il quale si arresta paziente ed umile con le mani incrocicchiate avanti, fuggendo dietro San Giovanni con le braccia aperte. Imitò l’armatura rugginosa di quel soldato, coperto il capo e i1 volto dall’elmo, uscendo alquanto fuori il profilo; e dietro s’inalza una lanterna, seguitando due altre teste d’armati”.

Dunque San Giovanni ha le braccia aperte, non “il braccio destro alzato” o qualcosa di simile.

Caravaggio Presa di Cristo Ruffo: pentimenti e incisioni

La tela Sannini-Ruffo, esaminata ai raggi X, denota diversi pentimenti, cioè ridipinture dello stesso particolare per modificarne la posizione o la forma. Il pentimento è tipico dell’originale: difficilmente è possibile trovarlo in una copia.

Le incisioni erano un modo di procedere proprio di Caravaggio. Egli tracciava con il manico del pennello dei segni sulla preparazione ancora fresca della tela in modo da avere dei punti di riferimento nel momento di dipingere. Ad esempio contorni di braccia o di teste. Anche in questo caso, la tela in questione mostra diverse incisioni.

radiografia presa di cristo caravaggio
Radiografia Presa di Cristo Sannini-Ruffo

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E’ il dettaglio che fa la differenza

Come abbiamo detto le due tele sono diverse per la scena rappresentata ma anche per numerosi dettagli. Un’accurata ma nel contempo sintetica disamina la fornisce, nel catalogo della mostra di Ariccia, il suo curatore, l’architetto Francesco Petrucci:

“Numerose sono le divergenze tra le due versioni nei rapporti luministici, nei dettagli esecutivi, nel disegno e nel ritmo delle pennellate: dal volto di Giuda, più stempiato e calvo nella replica per accentuarne la volgarità, che qui presenta un profilo del naso regolare e meno gibboso, all’elmo dell’armato con la barba a destra che è troppo compresso, lì più tondeggiante; dal volto del Cristo, qui stretto e allungato, lì più largo e armonico, ai riccioli della sua capigliatura che hanno andamento autonomo; la cresta dorata dell’elmo dell’armigero in primo piano presenta ornamentazioni sintetiche, appena accennate, là descritte in maniera accurata. Ogni particolare insomma è variato, anche in chiave chiaroscurale.

Quasi generalizzate sono comunque le differenze nell’esecuzione dei singoli dettagli, dimostrando la sostanziale indipendenza delle due opere: tra le più eclatanti la maggiore estensione in altezza del lume nella tela irlandese, l’allargamento dei glutei dell’armigero in primo piano, l’andamento variato delle pieghe nella veste di Cristo e dell’evangelista e altro ancora”. 

Aggiungerei le famose mani incrocicchiate avanti, un particolare iconico di questo dipinto. Occorre dire, purtroppo, come la qualità delle mani di Dublino sia ben superiore: difficile dire se ciò sia conseguenza dei danni subiti dalla tela dei secoli ma solitamente le mani di Caravaggio sono di un altro tenore.

L’origine Mattei

Diciamolo: il caso ha voluto che proprio in riferimento al dipinto di cui stiamo parlando l’archivio Mattei sia alquanto problematico. Che i marchesi Mattei possedessero una Presa di Cristo nell’orto di Caravaggio è fuori discussione. Anche perché nella contabilità di Ciriaco Mattei (1545-1614) vi è una scrittura contabile cristallina:

Adj 2 di Genn[ai]o 1603 e più devono havere sc[udi] cento vinticinque d[i] mo[ne]ta di iulij X p[er] [prez]zo p[er] tantij pagati à Michel Angelo di Caravaggio p[er] un quadro con la sua cornice depinta d’un Cristo preso all’orto dico sc[udi] 125”.

Ma esattamente di quale tela stiamo parlando? Della Sannini-Ruffo o di quella di Dublino?

Qui il mistero si infittisce. Infatti, siamo davanti ad un’opera simbolo di Caravaggio e questo la sapevano anche i Mattei. Aggiungiamo che in quel periodo la copia di un capolavoro era un fatto comune anche, ad esempio, come regalo del proprietario ad un amico di riguardo. Ma era anche possibile la realizzazione di due tele di pari soggetto da parte del medesimo artista per lo stesso committente.

Quando Asdrubale Mattei (1556-1638), fratello di Ciriaco, muore la nostra vicenda si complica. Infatti la quadreria Mattei è oggetto di lasciti all’interno della famiglia e così il testamento di Asdrubale include ben quattro tele dal medesimo soggetto: “Un altro della Presa di Nostro Signore Cornice nera indorata”; “Un quadro della Presa di Nostro Signore cornice tutta indorata”; “Un altro quadro della Presa di Nostro Signore cornice indorata”; “Un altro della Presa di Nostro Signore cornice nera profilata d’oro”.

Dunque è evidente come nella collezione Mattei avrebbero potuto esserci contemporaneamente la versione Sannini-Ruffo e quella di Dublino. E anche qualche copia…

La cornice depinta

Inseguire negli archivi di casa Mattei le tele in questione durante lo scorrere dei secoli ci porterebbe troppo lontano. Abbiamo però appurato che le tele non mancavano…

Un discorso a parte merita invece la cornice che, come abbiamo letto nella contabilità di Ciriaco, era depinta. La tela Sannini-Ruffo ha una cornice d’epoca di particolare pregio.

Sempre negli archivi di casa Mattei troviamo nel 1616 la tela del Caravaggio nell’inventario dei beni di Giovan Battista Mattei (Roma 1569-1624), figlio di Ciriaco, descritto così: “Un quadro della presa di Giesù Cristo del Caravaggio con la cornice nera rabescata d’oro col suo taffetà rosso, e cordoni di seta rossa, e fiocchi pendenti”.

In realtà la descrizione di cornice nera rabescata d’oro si attaglia perfettamente alla cornice della versione Sannini-Ruffo. Questa cornice è simile a quella della Medusa degli Uffizi e alla cornice dello specchio che troviamo nel dipinto di Caravaggio Marta converte Maria Maddalena. Si potrebbe andare ancora avanti perché nelle collezioni dei committenti di Michelangelo Merisi le cornici rabescate d’oro non mancano. Dunque un indizio importante.

Presa di Cristo nell’orto Sannini-Ruffo: i passaggi di proprietà

La ricostruzione dei passaggi di proprietà più antichi della tela non è vicenda semplice. L’archivio Mattei non ci aiuta a ricostruire precisamente l’uscita del dipinto dal possesso della famiglia romana. Un’ipotesi che renderebbe spiegabile l’arrivo dell’opera presso i Ruffo è che la tela sia in qualche modo giunta a Napoli dove essi risiedevano.

Il caso vuole che Ferdinando Vandeneynden marchese di Castelnuovo, olandese di discendenza ma residente a Napoli dove era uno degli uomini più ricchi della città, avesse ben tre Caravaggio in collezione. Quella che fa al caso nostro è citata nel testamento del 1674: “A Giovanna un quadro di palmi 8 x 10 con cornice indorata la presa di Nostro Signore nell’orto mezza figura mano di Michel’Angelo Caravaggio 400 ducati”.

Giovanna Vandeneynden (1672-1716) nel 1688 sposò Giuliano Colonna principe di Sonnino (1671-1732) con il quale risiedeva nel palazzo Zevallos Stigliano in via Toledo. Residenza acquistata dal padre e nel quale era custodito il Caravaggio.

Il ramo dei Colonna in questione, si estingue con la morte di Andrea Colonna di Stigliano (1748-1820). La sua vedova, Cecilia Ruffo (1759-1833), vendette nel 1831-32 anche Palazzo Zevallos.

In realtà da questo momento i passaggi di proprietà dell’opera sono solo ipotetici. La tela rimane però evidentemente in casa Ruffo o per acquisto o per eredita in quanto ne è ultima proprietaria Maria Anna Ruffo di Calabria della quale l’avvocato Sannino era stato procuratore.

Nel 2003 è Anna Maria Ruffo a cedere la tela all’antiquario romano Mario Bigetti suo attuale proprietario.

La Presa di Gesù nell’orto di Caravaggio: la prima versione

Nei prossimi tempi certamente si allargherà il dibattito intorno all’opera adesso che essa è finalmente visibile completamente restaurata. In attesa di raccogliere i diversi pareri credo che la conclusione più opportuna sia quella di considerare le motivazioni addotte da Francesco Petrucci per ritenere che la versione della Presa di Cristo Sannini-Ruffo di Caravaggio sia quella originalmente commissionata da Ciriaco Mattei nel 1603. Ovvero:

  • L’alta qualità e soprattutto le peculiari caratteristiche stilistiche, compresa la sua “ruvidità” e il pittoricismo sciolto, di tocco, pienamente rispondenti ai modi del pittore lombardo;
  • la completezza della composizione, più estesa a destra e soprattutto a sinistra rispetto a tutte le altre versioni, con un impianto narrativo e strutturale aderente al concetto teologico e alla circostanziata descrizione di Bellori, come riteneva Longhi;
  • la piena compatibilità degli ampliamenti allo stile del Merisi;
  • l’inesistenza di un prototipo da cui dovrebbe derivare;
  • la presenza di un abbozzo sottostante difforme rispetto alla stesura finale, di numerosi pentimenti e radicali variazioni in corso d’opera, documentate dalle indagini diagnostiche, che ne giustificano le peculiarità d’invenzione primaria e non di derivazione;
  • la sussistenza della “cornice nera rabescata d’oro”, quella originaria, corrispondente alle descrizioni degli inventari di Giovan Battista e Asdrubale Mattei, simile ad altre cornici dipinte in quadri dell’artista del periodo romano;
  • la traccia del profilo della cornice stessa sopra la preparazione del quadro, come emerso in occasione della pulitura nel 2003, giustificando la sua progettazione da parte del pittore in sintonia con il pagamento del 1603;
  • la citazione nel 1638 del dipinto di Caravaggio da parte del Celio nella collezione del marchese Mattei, che all’epoca era Asdrubale, e presumibilmente anche da Bellori (1672), che ne aveva preso visione probabilmente negli anni ’30 ritenendolo conseguentemente, seppur erroneamente, il committente;
  • la presenza di alcune esasperazioni fisiognomiche, poi modificate in senso di decoro formale nella replica più raffinata di Dublino;
  • l’ambientazione tipicamente caravaggesca in un interno scuro, poi rettificata nella replica per coerenza iconografica con l’aggiunta di arbusti d’ulivo e lance o bastoni degli aggressori, rendendola più aderente ai vangeli;
  • la constatazione che il prototipo del Caravaggio, dopo il passaggio ad Asdrubale nel 1624-25 circa, venne a formare una serie cristologica con quadri commissionati dal marchese stesso proprio in quel momento a Giovanni Serodine, Valentin de Boulogne e Pietro da Cortona, aventi identiche dimensioni e le stesse cornici del quadro in esame (e non della versione di Dublino, sin dall’origine molto più piccola.

Approfondimenti

Nel frattempo, vi consiglierei di vedere questa videointervista con Carla Mariani restauratrice della tela Sannini-Ruffo. Cliccate QUI.

Per una biografia di Caravaggio cliccate Caravaggio: vita e opere. Per l’elenco delle opere di Michelangelo Merisi e link ai relativi articoli di ArtePiù cliccate Caravaggio tutte le opere.

 

Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ stato membro dell'esecutivo di ANISAP Lazio e consigliere d’amministrazione di reti e raggruppamenti d’imprese. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.

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