Il limite tollerabile per la deforestazione è pari al 10% della copertura originaria

La foresta amazzonica sempre più vicina al punto di non ritorno. Rischio globale

Il riscaldamento globale potrebbe accelerare di circa 15 o 20 anni

[16 Febbraio 2024]

Lo studio “Critical transitions in the Amazon forest system”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori guidato da Bernardo Flores dell’ Universidade Federal de Santa Catarina (UFSC)  rappresenta un approccio olistico e senza precedenti alla questione di quanto sia resiliente la foresta amazzonica ed effettua una revisione completa dei dati disponibili, disegnando scenari basati sulla mappatura di 5 elementi di stress che colpiscono la regione: il riscaldamento globale, le precipitazioni annuali, l’intensità della stagionalità delle piogge, la durata della stagione secca e la deforestazione accumulata. Inoltre, indica possibili percorsi per un cambiamento di scenario che potrebbe evitare un collasso che sembra essere sempre più vicino: «La stima è che, nei prossimi 25 anni, dal 10% al 47% dell’Amazzonia potrebbe raggiungere un punto di non ritorno, con transizioni inaspettate nel territorio», avverte l’UFSC.

L’analisi dettagliata, che è stata oggetto di un rapporto pubblicato nel 2021 e riporta dati aggiornati provenienti da nuove fonti, presenta la prova che «La foresta amazzonica si sta avvicinando a un punto critico, quello che gli scienziati chiamano il “punto di non ritorno”. Utilizzando immagini satellitari, dati di osservazione climatica, modelli climatici e prove provenienti dalla paleoecologia, è stato possibile comprendere i principali fattori di stress presenti nella foresta e come l’interazione tra loro possa accelerare ulteriormente la distruzione di un ecosistema».

Flores sottolinea che «Tutti gli effetti dello stress sono legati all’acqua. Per ciascuna di queste 5 variabili esistono soglie critiche. E l’interazione tra questi fattori di stress può avere un effetto sinergico. Abbiamo utilizzato tutte le conoscenze disponibili per comprendere le soglie oltre le quali la foresta cesserebbe di esistere».

Per esempio, il team di scienziati ha accertato che «La temperatura non può superare gli 1,5 gradi, con precipitazioni annuali fino a 1.800 millimetri. Il deficit idrico cumulativo non può superare i -350 millimetri, né la stagione secca può durare più di 5 mesi. Infine, la deforestazione avrebbe un limite sicuro pari al 10% della copertura originaria del bioma forestale, il che richiede anche il ripristino di almeno il 5% del biomaz.

Flores spiega che «La pioggia è essenziale per la vita della Foresta. Ogni giorno gli alberi della foresta pompano enormi quantità di acqua – fino a 500 litri per un singolo albero – dal terreno nell’atmosfera, aumentando la concentrazione di umidità atmosferica. Oltre ad eliminare l’acqua, gli alberi rilasciano anche composti organici volatili che contribuiscono alla formazione delle nuvole. Gli alberi sono fabbriche naturali di pioggia».

Inoltre, nella regione amazzonica i venti soffiano prevalentemente da est a ovest, trasportando nuvole e umidità, che fanno aumentare le precipitazioni lungo il loro percorso. Questo feedback positivo si traduce nella capacità delle foreste di far aumentare le precipitazioni, il che contribuisce alla loro resilienza. Questo è considerato «Il motivo principale per cui l’Amazzonia è rimasta dominata dalla foresta per 65 milioni di anni (per tutto il Cenozoico), nonostante le grandi fluttuazioni climatiche».

Ma ora questo scenario comincia a cambiare, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici e dell’utilizzo del territorio. L’aumento delle temperature, la siccità estrema, la deforestazione e gli incendi colpiscono le parti interne del sistema e lo studio evidenzia che «I meccanismi di feedback che hanno aumentato la resilienza delle foreste perdono forza e sono sostituiti da altri feedback che aumentano il rischio di una transizione critica».

Flores fa notare che  «Il meccanismo più importante che ha mantenuto in vita la foresta per tutto questo tempo è stato il riciclaggio della pioggia. Quindi la foresta per esistere ha bisogno di questa pioggia che cade e che ricicla. La foresta non ha mai sperimentato quel che sperimenta ora in termini climatici, quando si combinano gli effetti della siccità e delle alte temperature».

Anche se è stato previsto da altri studi, l’idea di un collasso della foresta amazzonica è inquietante per diversi motivi, ma uno in particolare ha attirato l’attenzione del mondo scientifico: il rischio di destabilizzazione del sistema climatico globale e il nuovo studio lo conferma: «Poiché l’Amazzonia immagazzina enormi quantità di carbonio, la perdita di foreste e le emissioni di carbonio potrebbero accelerare il riscaldamento globale di circa 15 o 20 anni».

Recenti osservazioni del flusso di carbonio delle foreste hanno rivelato che l’Amazzonia sud-orientale è passata dall’essere un deposito di carbonio a una fonte di carbonio, probabilmente a causa dei disturbi nell’uso del territorio e i ricercatori aggiungono che «Inoltre, la perdita delle foreste in Amazzonia riduce la circolazione dell’umidità atmosferica non solo nella regione, ma può influenzare le condizioni delle precipitazioni in altre parti del mondo, come l’Asia o l’Antartide».

Lo studio affronta anche un altro aspetto della conservazione: il ruolo della biodiversità, delle popolazioni indigene e delle comunità locali nel plasmare la resilienza della foresta amazzonica e una delle autrici dello studio, Carolina Levis dell’UFSC, ricorda che «Questi elementi del sistema hanno contribuito ad aumentare l’adattabilità degli ecosistemi, fornendo diverse strategie per affrontare le fluttuazioni climatiche. Oggi, i cambiamenti nell’uso del territorio nella regione stanno distruggendo la biodiversità e l’antica conoscenza ecologica dei popoli amazzonici che hanno sostenuto foreste sane e ricche di risorse per millenni, ha affermato

l’autrice senior dello studio, la fisica e botanica Marina Hirota dell’UFSC e dell’Universidade Estadual de Campinas aggiunge che «L’Amazzonia è un sistema complesso, il che rende estremamente difficile prevedere come i diversi tipi di foresta risponderanno ai cambiamenti globali. Se vogliamo evitare una transizione sistemica, dobbiamo adottare il principio di precauzione, con un approccio che mantenga le foreste resilienti per i decenni a venire».

Inoltre il team internazionale di ricercatori indica che per mantenere la resilienza della foresta amazzonica, è necessario combinare gli sforzi locali e globali e che «A livello locale, i paesi amazzonici devono cooperare per porre fine alla deforestazione e al degrado e per espandere il ripristino, il che rafforzerà il feedback foresta-pioggia. Queste azioni possono trarre vantaggio da una forte governance all’interno dei territori indigeni e delle aree protette. Tutti i Paesi devono cooperare per prevenire le emissioni di gas serra, mitigando così gli impatti dei cambiamenti climatici. Entrambi i fronti sono cruciali per mantenere in vita il sistema forestale amazzonico per le generazioni future».

Secondo Flores, «Trattandosi di un sistema complesso, L’approccio olistico alla ricerca è rilevante e senza precedenti, attento anche ai fattori umani. Per pensare a mantenere la foresta più resiliente, dobbiamo monitorare tutti questi fattori di stress e le loro interazioni. Usiamo il principio di precauzione: poiché non sappiamo cosa potrebbe succedere e quali saranno le conseguenze sono disastrose, l’idea della soglia è quella di tenerci lontani dal pericolo».

Tra i risultati dello studio ci sono la delimitazione degli scenari e dei paesaggi che potrebbero verificarsi dopo il collasso dell’Amazzonia. Le aree degradate della foresta hanno già il loro paesaggio alterato a causa delle interazioni tra fattori di stress e gli scienziati sottolineano che «Queste traiettorie alternative possono essere irreversibili o transitorie a seconda della forza delle nuove interazioni». Ad esempio, nella “foresta degradata” i feedback spesso comportano la competizione tra alberi e altre piante opportunistiche, nonché le interazioni tra deforestazione, incendi e limitazione delle sementi. Le foreste secondarie avrebbero maggiori probabilità di essere deforestate rispetto alle foreste mature.

In un altro scenario di degrado, i feedback coinvolgono le interazioni tra la bassa copertura arborea e incendi, l’erosione del suolo e la limitazione dei semi. Il paesaggio sarebbe quindi quello delle erbe invasive e delle piante opportunistiche. Lontano dalle aree agricole e dai pascoli, il paesaggio della savana può anche essere il risultato di interazioni tra elementi di stress nella foresta, che possono verificarsi, ad esempio, dopo ripetuti incendi.

Flores riassume: «Quel che potrebbe accadere è che l’Amazzonia non smetterà necessariamente di essere una foresta, ma avrà aree molto diverse, con meno diversità, dominate da una o poche specie che si autoperpetuano, come le foreste dominate dalle liane o dal bambù. Abbiamo discusso di come la complessità dell’Amazzonia aggiunga incertezza sulle dinamiche future, ma riveli anche opportunità di azione. Mantenere la foresta amazzonica resiliente nell’Antropocene dipenderà da una combinazione di sforzi locali per porre fine alla deforestazione e al degrado e per espandere il ripristino, con sforzi globali per fermare le emissioni di gas serra».

Un’altra autrice dello studio, Adriane Esquivel-Muelbert del Birmingham Institute of Forest Research, conclude: «Abbiamo prove che dimostrano che l’aumento delle temperature, la siccità estrema e gli incendi possono influenzare il funzionamento della foresta e cambiare le specie di alberi che possono integrarsi nel sistema forestale. Con l’accelerazione del cambiamento globale c’è una crescente probabilità di vedere cicli di feedback positivi in ​​cui, invece di essere in grado di ripararsi, la perdita di foreste si auto-rinforza».