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Stretta pensioni: in FVG e Veneto 2.200 dovranno restare al lavoro

La stima sulle uscite anticipate nel 2024. E a causa delle penalizzazioni si prevede scarsa adesione

Maura Delle Case
Aggiornato alle 2 minuti di lettura

Circa 2.200 persone che avevano sognato di andare in pensione il prossimo anno saranno costrette a rinviare il momento in cui potranno lasciare il lavoro. È questo l'effetto in Veneto e in Friuli Venezia Giulia della stretta sulle pensioni decisa dal governo con la manovra di bilancio per il 2024, che andrà in Parlamento domani.

La stima è stata elaborata dalla Cgil Veneto a partire dall'unico dato che il governo ha finora messo a disposizione, relativo al numero complessivo dei possibili beneficiari della misura a livello nazionale, pari a 17.300 persone, meno della metà rispetto alle 40 mila che potevano andare in pensione anticipata quest'anno. Se a questo numero generale si applicano le ultime ripartizioni regionali (relative alla vecchia quota 102 di Mario Draghi, l'ultima per la quale l'Inps ha pubblicato i dati di adesione) si arriva alla conclusione che questa volta ad accedere alla pensione anticipata ultima versione – con 62 anni e 5 mesi di anzianità e 41 anni di contributi – saranno soltanto 1.350 persone in Veneto e 350 in Friuli Venezia Giulia. Gli esclusi, rispetto alla prima riforma Meloni, quella dello scorso autunno (la "quota 103" prima versione), saranno invece circa 1.750 in Veneto e 450 in Fvg, per un totale di 2.200.

La stretta che già sulla carta emerge dai numeri potrebbe essere ancora più marcata nella realtà. A parità di età anagrafica e anni di contributi versati, rispetto alla quota 103 in vigore quest'anno, la riforma immaginata dal governo per l'anno prossimo si porta dietro forti penalizzazioni che scoraggeranno più di qualcuno dall'anticipare l'uscita dal mondo del lavoro. In particolare, i beneficiari della quota non potranno sempre andare in pensione ma dovranno attendere una determinata finestra temporale, che di fatto per molti sposterà l'età dell'effettivo addio al lavoro verso i 63 anni di età. Per l'erogazione del primo assegno pensionistico, peraltro, i lavoratori privati dovranno attendere sette mesi, i pubblici nove. Infine l'assegno mensile verrà calcolato per intero con il sistema contributivo e non potrà in alcun caso superare quattro volte il trattamento minimo, vale a dire a 2.392 euro di tetto massimo, nel 2024, aggiornati all'inflazione.

Rispetto agli eventi diritto, quanti accederanno effettivamente alla finestra potrebbero dunque essere molti meno, come mostrano già i precedenti: quota 102, che in fondo prevedeva maglie più larghe in termini di anni lavorati (le soglie erano 64 anni di età e 38 di contributi versati), nel 2022 ha visto aderire in Veneto appena 459 persone, 117 in Friuli Venezia Giulia, stando ai dati Inps. L'effetto della "nuova" quota, in assenza di correttivi, si annuncia quindi fortemente depotenziato. Anche in ragione della diminuzione della platea legata al meccanismo degli scaglioni.

Netta la bocciatura dei vertici di Cgil nelle due regioni. «Parliamo del nulla - dice Villiam Pezzetta, segretario generale di Cgil Fvg - appena 346 aventi diritto ad aderire a quota 103 in regione. Ripeto, il nulla. E parliamo di un governo che aveva promesso di cancellare la legge Fornero e che invece in questa manovra di bilancio non solo non lo fa, ma peggiora quota 103, perché il ricalcolo contributivo abbassa l'assegno e aumenta le finestre, toccando di fatto una platea di persone a dir poco esigua». A Pezzetta fa eco Tiziana Basso, segretaria generale di Cgil Veneto che a proposito della quota 103 riformulata dal governo ribadisce: «Purtroppo darà risposta a pochissime persone, quando avrebbe invece dovuto offrire una possibilità a chi ha già fatto un percorso importante nel mondo del lavoro e oggi ha necessità di uscire. La manovra peggiora anche opzione donna, già penalizzata l'anno scorso, e pure l'Ape sociale, in perfetta contraddizione rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale».

La numero uno di Cgil Veneto si scaglia quindi sulla penalizzazione degli assegni pensionistici di ampi settori del pubblico impiego che modifica, a chi ha iniziato a lavorare prima del 1996, le aliquote di rendimento sulla parte retributiva dell'assegno. Risultato: pensioni più magre, nel 2024, per 31.500 dipendenti. Il taglio è severo, esempi alla mano. Un lavoratore con uno stipendio annuale di 30 mila euro lordi e un'anzianità retributiva di un anno può arrivare a perdere 6.586 euro l'anno, uno con 50 mila fino a 10.978. «Così si rischia di svuotare gli ospedali, avremo molti medici che decideranno di uscire per non vedersi penalizzati».

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