Rock and Roll, musica dei drogati?

See, I think drugs have done some good things for us, I really do.
And if you don’t believe drugs have done good things for us, do me a favor:
go home tonight and take all your albums,
all your tapes, and all your cds and burn em.
‘Cause you know what?
The musicians who’ve made all that great music
that’s enhanced your lives throughout the years…
Rrrrrrrrrrrrreal fucking high on drugs.

Bill Hicks

catchafire
Ok, con Bob si vince facile.

Le sostanze stupefacenti sono state parte integrante della cultura rock and roll per moltissimo tempo (come raccontano anche Elio e le Storie Tese), anche se la vera svolta, si dice, è stata quando Bob Dylan introdusse i Beatles all’erba e loro, sotto questa benevola influenza, sfornarono il loro primo vero capolavoro pop, Rubber Soul. Non che prima non se ne facesse uso: ma con il plauso dei Beatles la droga era diventata una celebrità a sua volta. Naturalmente, poi, con l’avanzare degli anni ’60 si sono guadagnate la fama altre droghe più pericolose, compagne delle brevi vite di molti giovani pionieri del rock and roll che hanno contribuito a stroncare proprio a cavallo tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ‘70: Brian Jones dei Rolling Stones era perso in un vortice di droghe varie quando è affogato nella sua piscina, nel 1969, così come Jimi Hendrix e Janis Joplin nel 1970 (barbiturici Jimi, eroina Janis).

La droga (molto spesso cocaina) era il carburante fondamentale per moltissimi artisti negli anni ’70: Eric Clapton, la cui cover di “Cocaine” di J.J. Cale, dice lui, è in realtà una canzone contro la droga, ne era un accanito consumatore, così come i Led Zeppelin e gli Stones, giusto per fare nomi altisonanti. Anche l’insospettabile Neil Young la apprezzava, ed è molto divertente l’aneddoto su The Last Waltz di Martin Scorsese, il suo documentario sull’ultimo concerto di The Band: Young aveva appena finito di farsi un ultimo tiro prima della sua esibizione (doveva suonare la sua “Helpless”), ma arrivato sul palco Scorsese e i cameramen si accorgono di una bolla di moccio e cocaina che gli pende dal naso!
Notevole eccezione Frank Zappa, che licenziava abitualmente i musicisti della sua band sorpresi a drogarsi durante l’orario di lavoro.
Ultimamente, però, i musicisti professionisti si sono dati un po’ tutti una regolata, chi per un motivo chi per l’altro: alcuni si sono semplicemente resi conto che l’età è quella che è, e vogliono riuscire a non morire prima del tempo, come Clapton e gli Stones. Mick Jagger, a dir la verità, è pulito dagli anni ’80, come racconta Richards nella sua autobiografia Life, e Clapton dagli anni ’90. Slowhand, inoltre, ha fondato il Crossroads Center ad Antigua, un centro di disintossicazione finanziato da un festival musicale. Altri, invece, tipo i Red Hot Chili Peppers, hanno visto amici morire o rischiare la vita per colpa della dipendenza, e hanno deciso di non voler fare la stessa fine (Flea continua a farsi una quantità formidabile di canne, comunque).

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Appunto.

Recentemente si è aggiunto anche un nuovo, interessante fattore: l’industria musicale si rivoluziona sempre più, di giorno in giorno, e anche gli artisti più importanti non hanno più gli introiti maggiori dalla vendita degli album, ma dai tour. I biglietti dei concerti e la vendita di merchandise garantiscono guadagni stratosferici agli artisti più grossi (tipo Taylor Swift, che quest’anno è stata la celebrità che ha guadagnato di più al mondo), e abbastanza denaro per fare una vita agiata a quelli grossi ma ancora tutto sommato “emergenti”, tipo i Mumford & Sons. A questo punto voi direte: “ma cosa c’entra in tutto ciò la droga?” C’entra perché, a meno che non siate Pete Doherty o Morrissey, che non hanno alcun rispetto per i loro fan, che dopotutto sono quelli che li mantengono, generalmente siete molto interessati a far sì di andare in scena al vostro concerto. Come raccontato in un bell’articolo del Guardian di qualche tempo fa, moltissimi artisti (o, nel caso dei più sciamannati, i loro manager) stipulano assicurazioni per far sì che, se un concerto salta per qualunque motivo (incluso essere fatti come meringhe, per usare un termine scientifico), non avranno perdite significative. Gli artisti più grossi, infatti, investono milioni di dollari per produrre i loro concerti, con arte visiva incredibile e palchi stratosferici, dando peraltro lavoro a centinaia di persone: se il concerto salta, oltre a dover rimborsare i biglietti e non vendere magliette (un “semplice” mancato guadagno), i soldi usati per la produzione vanno semplicemente persi.

L’elemento più interessante di questa faccenda, per arrivare proprio alla connessione con la droga, è che paradossalmente più un artista invecchia e più diventa affidabile: Tom Jones e Van Morrison, che hanno una certa età, pagheranno una franchigia molto più bassa, perché a parte la vecchiaia che incombe e rischia di farli ritirare permanentemente, difficilmente i loro concerti salteranno. Taylor Swift, seguita facilmente da un management brillante, ci tiene molto ai suoi quattrini e alle sue sfavillanti produzioni: se anche dovesse decidere di dedicarsi alle polverine bianche, farà comunque in modo di essere in forma per il giorno successivo.
Poco tempo prima di morire, Whitney Houston perdeva un sacco di soldi cancellando i concerti, perché teneva nascoste le sue dipendenze varie, delle quali tutti erano a conoscenza, senza saperne però i dettagli: diventando difficilmente assicurabile, non le restava che rimetterci.
L’incubo più grande del suo manager e della sua assicurazione, però, benché non facesse uso di droghe durante il tour, era Neil Peart dei Rush: dagli anni ’90 scoprì una passione per le motociclette e con questo mezzo di locomozione si spostava da un concerto all’altro, soprattutto nei tour nordamericani. Solo nel 2010, però, ha rischiato grosso: durante il Time Machine Tour, per celebrare i 30 anni del classico Moving Pictures, ha avuto un incidente sulla strada tra un concerto e l’altro. Ha concordato con il suo amico motociclista, che lo accompagnava, di non rivelare nulla a nessuno, e solo a marzo 2016, con un post sul suo blog, ha raccontato la storia (dato che – a quanto pare, sigh, sob – i Rush si sono più o meno ritirati dall’attività dal vivo).

kanye
Sì, Kanye, il prossimo paragrafo parla di te.

Le sostanze stupefacenti, prima e dopo le assicurazioni salva-portafogli, sono state importanti protagoniste della storia del rock, con i loro lati negativi e positivi, e forse il fatto che adesso se ne parli molto di meno (anche se probabilmente la loro presenza è aumentata e non calata) ci dice qualcosa sull’industria musicale odierna: usando un’espressione terribilmente datata, la droga ha smesso di essere uno sballo figo per le rockstar. Lo sballo figo sono i soldi, l’ostentazione della fama, l’essere offensivi senza alcuna ragione (essere offensivi per qualche ragione invece dovrebbe essere incoraggiato per gli artisti – scusate la precisazione). Di fronte a questi, cosa possono fare quattro piantine o un po’ di polverina bianca?

Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus

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