OPERA OMNIA DI
SANT’AGOSTINO
ICONOGRAFIA AGOSTINIANA
XLI / 2
IL QUATTROCENTO
PRIMO TOMO – SAGGI E SCHEDE
DI
ALESSANDRO COSMA - GIANNI PITTIGLIO
CITTÀ NUOVA EDITRICE
1
Filippo Brunelleschi
Altare di san Giacomo
Dossale, fianco destro: Sant’Agostino
1399-1401
Pistoia, Cattedrale di San Zeno, cappella
del Crocifisso
Argento dorato e sbalzato, h. cm 46
(intero), 29 (scomparto)
A Pistoia, principale avamposto della venerazione iacobea tra Compostela e Roma, il
culto di san Giacomo Maggiore è attestato
già intorno al 1139. Secondo il frammentario Liber de legenda sancti Iacobi, posseduto
nella città toscana almeno dal 1261, la reliquia dell’apostolo fu donata a Pistoia e al
suo vescovo Atto (1133-1153) da parte dell’arcivescovo compostelano Diego Gelmirez
(1100-1140). La narratio, inserita nel Liber
pistoiese e redatta dal chierico Cantarino
nel XII secolo, riferisce come data di consacrazione dell’altare il 25 luglio 1145, da
retrodatare di un anno se si considera il
calendario pisano (Gai 1984, pp. 33-44).
Posta nell’omonima cappella della cattedrale
pistoiese fino al 1786, anno della distruzione
del sacello, la grandiosa macchina dedicata
a san Jacopo fu iniziata nel 1287 e terminata, almeno nelle parti figurate, quasi due
secoli dopo, nel 1456. Nonostante i numerosi rimaneggiamenti, in particolar modo
allo scadere del XVIII secolo, si contano
oggi, non comprendendo i molti smalti
decorativi e figurati, 33 riquadri e 6 figure
isolate nei paliotti, mentre nel dossale,
inclusi i fianchi, sono presenti 85 figure (Gai
1984, p. 16).
La storia secolare dell’altare vide all’opera i
principali orafi e scultori presenti in Toscana
tra il Duecento e il Quattrocento, tra cui
Andrea di Iacopo d’Ognabene, al quale si
deve la porzione più cospicua dell’impresa
(parte del dossale, 1287; paliotto anteriore
con Storie della vita di Cristo e di san Giacomo, 1316), Giglio Pisano (San Giacomo in
trono nel dossale, 1349-1353), Francesco
Niccolai e Leonardo di ser Giovanni (paliotti
laterali, 1361-1371), Piero d’Arrigo Tedesco
(ampliamento del dossale, 1280-1290), Nofri di Buto e Atto di Piero Braccini (coronamento del dossale con Salvator mundi e cori
angelici, 1394-1398).
La statuetta, posta nell’edicola più in alto
del fianco destro del dossale, già identificata
con Sant’Agostino da Ragghianti, è stata
analizzata da Gai (1976; 1984) che ne ha
confermato il riconoscimento iconografico
sulla scorta di una puntuale analisi dei contratti rogati tra le botteghe e l’Opera pistoiese tra il 31 dicembre 1399 e il 7 febbraio
1400. Prescindendo dalla vicenda documentaria, la figura di Agostino è all’interno della
serie dei Dottori della Chiesa (fig. 1a). Sebbene non presenti attributi specifici, come
la tiara per Gregorio Magno, il cappello car-
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Iconografia agostiniana. Il Quattrocento - I
dinalizio per Girolamo e la mitra e il pastorale perduti per Ambrogio, il santo di Tagaste, con il libro aperto nella mano sinistra, è
rivolto verso l’alto, in direzione della figura
identificata con San Giovanni Evangelista
(Gai 1984, p. 155). È proprio quest’associazione, già notata (Scalini, p. 72), a fornire
una conferma all’identificazione dei due
santi, sulla base del commento del vescovo
d’Ippona al vangelo giovanneo (v. Iconografia…, I, p. 73). La figura di Agostino doveva
inizialmente presentare, sbalzata sulla lastra d’argento di fondo, la colomba dello
Spirito Santo perduta a seguito dei molteplici rimaneggiamenti. Puntuali raffronti
per la scultura argentea pistoiese si desumono dalla celebre formella brunelleschiana
del concorso del 1401 e in particolare dalla
figura in piedi di Abramo, con cui Agostino
mostra forti affinità nella modellazione della
folta barba, nell’impaginazione in movimento del corpo e nell’andamento affilato
ma denso dei panneggi. L’invenzione del
vescovo d’Ippona, colto in dialogo con il
soprastante Giovanni, risulta inoltre in sintonia con gli astanti del bronzo del Bargello
legati tra loro in una sottile trama di gesti ed
emozioni.
Per quanto riguarda l’inquadramento stilistico dell’opera occorre riferirsi alla lacunosa vicenda quattrocentesca dell’altare che
ha inizio con un documento redatto il 31
dicembre 1399 dal quale si desume che la
decorazione dei lati del dossale prevedeva
sulla parte sinistra – quella più importante,
visibile dall’interno del duomo – partendo
dal basso, due profeti, due dottori della
Chiesa, Gregorio e Agostino, e gli evangelisti
Luca e Matteo; mentre sull’altro fianco –
verso la sagrestia vecchia – erano previsti
due profeti, i dottori Girolamo e Ambrogio,
gli evangelisti Marco e Giovanni. Quest’ultimo fronte venne commissionato, per conto
della compagnia di Niccolao di ser Gugliemo
e Atto di Piero Braccini, a Domenico da
Imola, mentre il lato opposto fu affidato alla
società di Lunardo di Mazzeo Ducci e Piero
di Giovannino per cui operava “Pippo da
Firenze”, riconosciuto come Brunelleschi
già da Ciampi (pp. 80, 82) e da Beani (p. 69
nota 1) e identificato definitivamente con
l’artefice fiorentino solo grazie ad un documento rinvenuto da Finiello Zervas (pp.
630, 633), per quanto sia il biografo Antonio
Manetti (p. 53) che Giorgio Vasari (III, p.
140) ne ricordassero l’intervento nel complesso pistoiese.
Il successivo contratto del 7 febbraio 1400
stabilì una variazione del programma iconografico e lo scambio tra le compagnie
delle figure di Ambrogio e Gregorio, mentre
rimasero di pertinenza delle rispettive botteghe, secondo il primo contratto, gli Evangelisti, Girolamo e Agostino. Ciò suggerisce
che a tale data almeno queste statuette
erano forse già in fase di lavorazione o eseguite e anzi si può supporre che i due dottori della Chiesa rappresentassero prove di
abilità da parte delle due botteghe, confermando così anche la paternità brunelleschiana del Sant’Agostino, suggerita per la
prima volta da Sanpaolesi, confermata da
Gai (1984) e generalmente accettata dalla
storiografia. Lo stato dei lavori è registrato
in un inventario del 1401 che menziona sul
lato verso il duomo due busti di Profeti sormontati dai santi Gregorio e Girolamo “di
tutto rilevo” e, sopra questi, gli evangelisti
Giovanni e Matteo “di mezzo rilevo e mezza
figura” (uno di questi perduto); nel lato
Schede
opposto, il destro, invece il solo Sant’Agostino (Gai 1984, p. 154).
Purtroppo a questo punto le certezze documentarie svaniscono e notiamo come l’Opera pistoiese si sia preoccupata di completare in via prioritaria almeno il lato
visibile dalla navata della cattedrale ricorrendo a una necessaria sinergia delle due
maestranze che comportò molto probabilmente il trasferimento dei due profeti
Geremia e Isaia, riferiti a Brunelleschi da
Chiappelli (1899), nel fronte affidato a Domenico da Imola.
I successivi punti fermi sono costituiti dall’inventario del 1442, che ricorda la stessa
situazione già descritta, e da una nota in
calce a questo, precedente al 1456, dove si
ricorda insieme al Sant’Agostino, San Giovanni Evangelista “di mezo rilievo”, San
Giusto (1447-1449) e San Leonardo (1450)
realizzati, gli ultimi due, da Piero d’Antonio
da Pisa (Gai 1984, p. 161). Nel 1456 l’orafo
pisano fu retribuito anche per un San Marco
(oggi nella fascia di coronamento del lato
sinistro) e due Profeti che la Gai identifica
con Davide e Daniele, presenti oggi nel
fianco destro. Ma l’autore delle mediocri e
attardate figure di San Giusto e San Leonardo non può essere il medesimo che impresse un tono magistralmente classicista al
volto del giovane profeta Daniele (fig. 1b) e
un saldo senso plastico al barbuto Davide,
come fece notare già Beck (1980). Proprio
queste due figure, invece che i Profeti tradizionalmente riferiti al Brunelleschi – a suo
parere inizialmente utilizzati come Evangelisti –, sono da riconoscere con i Profeti
citati nell’inventario del 1401.
Senza indagare la legittimità di questa congettura, smentita dalla Gai (1984, p. 371), è
necessario riflettere nuovamente sulla
figura del profeta Daniele che, inspiegabilmente finito nel dimenticatoio della scultura del primo Quattrocento, si caratterizza
per l’eleganza, per la chioma cesellata capello per capello conclusa con due boccoli
ai lati del collo e per il panneggio annodato
al centro della figura. Tutte queste caratteristiche, confrontandosi con le peculiarità
delle prime opere di Donatello, fanno confluire la figura all’apertura del catalogo del
maestro fiorentino, documentato proprio a
Pistoia tra il settembre 1399 e il gennaio
1401 (Gai 1974; Gatti 1996). La rivalutazione dell’ipotesi di Beck (1980) che ha trovato favorevole Gatti (1996, pp. 100, 105
nota 56) contribuisce così a far luce sugli
stretti rapporti, in fase giovanile, tra Brunelleschi e Donatello. Nonostante già Benvenuto Cellini ricordi come Donatello «stette
all’orefice che gli era giovane grande» (Cel-
109
1a. San Gregorio,
san Girolamo e
sant’Ambrogio
1b. Donatello (?),
Profeta Daniele
lini 1568, ed. 1980, p. 599) e nel corpus dello
scultore risulti, tra gli altri lavori realizzati
con la fusione dei metalli, un’opera di pura
oreficeria come il Reliquario di San Rossore (Pisa, Museo Nazionale di San Matteo;
1422-1427) – con cui Daniele si imparenta
nella soluzione del nodo al centro del busto
– non si è mai riflettuto a sufficienza su cosa
l’artista possa aver eseguito in gioventù con
l’argento e l’oro. Il paragone con le prime
opere fiorentine come l’Eva della Creazione
(Firenze, Museo dell’Opera; 1405-1407 ca.),
il David marmoreo del Bargello (14081409), il Profetino sinistro della Porta della
Mandorla (1409 circa), forniscono inequivocabili confronti riguardo la chiara paternità donatelliana del Daniele pistoiese.
Ad un’attenta osservazione si nota che Daniele e Davide non formano un gruppo omo-
110
2. vol. I, f. 1r
Iconografia agostiniana. Il Quattrocento - I
geneo con gli altri due Profeti brunelleschiani: a differenza di questi divergono nel
motivo decorativo interno alle cornicette
polilobate che li accolgono e ostentano un
cartiglio che ne esplicita l’identità. Si potrebbe trattare di due figure realizzate all’interno della bottega di Filippo, con la collaborazione di Donato almeno per il Daniele,
la cui genesi pare essere sfuggita alla documentazione. Il pagamento a Piero d’Antonio
di due Profeti, utilizzato dalla Gai per confutare il coinvolgimento di Donatello, va interpretato nella dimensione di un cantiere
aperto alle variazioni e difficilmente ricostruibile solo sulla base documentaria.
Questa proposta riqualifica l’impresa iacobea, già celebrata per l’opulenza e l’importanza cultuale, nel panorama della scultura
toscana all’inizio del XV secolo ponendo
Pistoia come centro nevralgico per la nascita del linguaggio rinascimentale.
FINIELLO ZERVAS 1979; BECK 1980, p. 123; GAI 1984
(con bibliografia precedente), pp. 46, 152, 160-161,
162, 167, 200 nota 10; SCALINI, in BERTI – PAOLUCCI
1990, pp. 72-73, n. 6; BELLOSI 1998, p. 68 nota 28;
BELLOSI 2011, p. 25.
2
Michelino da Besozzo
Sant’Agostino in cattedra insegna a laici
e chierici; Sant’Agostino nello studio
trafitto al cuore dall’amore divino
1400-1402 ca.
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, ms. Vat. Lat. 451, I, f. 1r, II,
f. 239r
Miniatura
Notizie sul codice: pergamena; ff. 434 (due
tomi) su due colonne; mm 365 x 265; minuscola gotica; latino; Agostino, Enarrationes
in Psalmos
Lorenzo Principi
Bibliografia: MANETTI (1480) 1977, p. 53; WEB
Vasari (1568); CIAMPI 1810; BEANI 1885; CHIAPPELLI
(1905) 1926; MARCHINI 1950, p. 16, n. 44; SANPAOLESI
1953; RAGGHIANTI 1954, p. 436; GAI 1976, p. 26; PAOLUCCI, in MICHELETTI – PAOLUCCI 1977, pp. 15-22, n. 1;
Il prezioso codice del commento di sant’Agostino ai salmi presenta due fogli elegantemente miniati da Michelino da Besozzo (1r,
239r). Ad arricchire l’apparato illustrativo
del manoscritto è anche una nutrita serie di