L’intervista su cook

La famiglia Iaccarino: «Ci amano di più all’estero, difendiamo i piatti del Sud»

di Angela Frenda

Alfonso ed Ernesto Iaccarino, padre e figlio del bistellato «Don Alfonso» a Sant’Agata. Centro di un impero che porta la cucina del Sud nel mondo. «Siamo sempre stati più apprezzati all’estero che in Italia». Lì col resto della famiglia, Livia e Mario, hanno creato un ecosistema perfetto: orto bio, chimica zero e qualità. Merito della fuga del nonno da New York

La famiglia Iaccarino: «Ci amano di più all'estero, difendiamo i piatti del Sud»

Questa storia comincia con una confessione: ho conosciuto la famiglia di cui vi parlerò quando ero ancora una giovane cronista politica e per caso, una sera, un paio di colleghi mi portarono a mangiare in quello che per me era, ai tempi, «solo» un ristorante. Ho capito solo dopo, ma in pochissimo tempo, che in realtà era molto di più. E che quel luogo sarebbe stato destinato a diventare un posto del mio cuore. Perché la famiglia Iaccarino Alfonso, Livia, Mario ed Ernesto — rappresenta un patrimonio umano e professionale da tutelare. Uniscono, infatti, arte del ricevere, ricerca, impegno, cultura gastronomica e capacità imprenditoriale. E farlo al Sud, lo sappiamo, è più difficile che altrove. Ma soprattutto sanno cosa significa la parola accoglienza. Il cliente per loro non sarà mai, solo, un cliente. Bensì l’oggetto delle loro attenzioni. Come poi dovrebbe essere sempre. Lo sa bene Livia, signora gentile dal sorriso unico, che fa un limoncello inimitabile. È lei l’anima di questa casa affacciata sul mare della costiera sorrentina, nel centro di Sant’Agata sui Due Golfi.

Foto di Matteo Carassale
Foto di Matteo Carassale

«Don Alfonso» a Sant’Agata sui Due Golfi

Il vento le scompiglia appena i capelli biondi mentre, seduta nel giardino del relais con una limonata fresca, racconta questo anno tremendo per la ristorazione italiana (e non). «Girare per le stanze del relais e vederle vuote. Non poter riaprire. Percepire l’incertezza negli occhi dei ragazzi della squadra e non capire cosa fare. È stato terribile, terribile». Le lacrime le vengono giù spontanee, senza poterle e volerle fermare. E in quel pianto appena accennato c’è tutto il senso di una vita di lavoro, sacrifici ed enormi soddisfazioni che un virus ha tentato di cancellare. «Ma non ci è riuscito. Ogni giorno arrivavano mail da tutto il mondo. Clienti che ci sostenevano, anche a distanza. E allora, come abbiamo sempre fatto, ci siamo rimboccati le maniche e siamo andati avanti. Ad esempio abbiamo ridipinto tutte le stanze dell’hotel, cambiato la tappezzeria... Ci siamo fatti belli per quando avremmo aperto». E quel giorno è arrivato. Proprio in queste settimane i clienti sono tornati, anche dall’estero. Certo, non sono ancora i numeri di un tempo. Ma tanto basta a dare una visione ottimistica. Anche se la chiusura invernale è stata dedita tutt’altro che al riposo visti gli impegni con le consulenze all’estero, fatte anche di nuove aperture (come «Casa Don Alfonso» al Ritz Carlton di St.Louis) e traslochi (una nuova sede per il «Don Alfonso» di Toronto).

La famiglia Iaccarino: «Ci amano di più all’estero, difendiamo i piatti del Sud»

Cosa è cambiato

Certo, la pandemia ha costretto alla restrizione della brigata in cucina, alla eliminazione del tavolo dello chef e al ridimensionamento della sala. Ma per fortuna «Don Alfonso» è un pezzo di storia dell’eccellenza italiana. Tre stelle Michelin dal 1997 al 2001. Ridotte poi a due, ma per ragioni che appaiono ancora poco comprensibili. Gli Iaccarino su questo tacciono da sempre, anche se un’idea dei motivi se la sono fatta: «Diciamo che siamo sempre stati apprezzati più all’estero che in Italia». E infatti il loro ristorante appare spesso in classifiche internazionali, anche precedendo altri big italiani. Ad esempio è questo il caso de «La Liste 2020», fortissimamente voluta da Macron in risposta ai «World’s 50 Best». Ma l’amore che nel mondo si nutre verso gli Iaccarino è testimoniato dalla loro società che prende e lascia la gestione di grandi ristoranti in tutto il mondo: Roma, Macao, Marrakech, Nuova Zelanda. E ora l’ultimo nato a St. Louis, aperto in piena pandemia. La filosofia che viene esportata è quella di «Casa Don Alfonso»: una summa dei piatti della nonna, la pasta e patate, i maccheroni al gratin di nonna Tina, gli ziti con le acciughe di Cetara. «Un vero progetto culturale — spiega Mario — che prevede il racconto delle origini soprattutto a chi abita fuori dall’Italia».

La vocazione gourmet e i segreti di Alfonso e Livia

Nel locale di famiglia, invece, resta la vocazione gourmet. Così come è oggi nacque nel 1973, da una scommessa apparentemente folle (in realtà lungimirante) di Alfonso e della moglie Livia, sposi a vent’anni. I primi tempi non furono facili. Il menu, curato e costoso, fece scappare via una bella fetta di clientela tradizionale. «Per far quadrare i conti decisi a malincuore di vendere la Alfetta che mio padre mi aveva appena regalato», ha ricordato spesso Alfonso. Poi, piano piano, con tanta pazienza e un lavoro artigianale e certosino, arrivarono il successo e i clienti celebri: la regina Elisabetta, Gore Vidal, Julia Roberts, tanti altri volti noti. Il segreto? Un mix irresistibile fatto di eleganza europea, attenzione ai dettagli e napoletanità sincera ha reso possibile il successo portando questo relais-ristorante al vertice della qualità italiana. Lo aprì il nonno, un altro Alfonso Iaccarino, che trovò la sua fortuna in patria dopo averla cercata a 14 anni a New York ed essersi trovato con tanti altri italiani schedato a Ellis Island come delle bestie. Alfonso così preferì tornare velocemente a Sant’Agata, su quella punta che domina il Golfo di Sorrento da una parte e l’Amalfitana dall’altra. Con un socio tedesco folgorato dalla bellezza della zona, aprì la Pensione Iaccarino. Nei ritagli di tempo fece 11 figli. Una parte delle stanze originarie è il nucleo più antico del relais di oggi dove c’è anche una suite intitolata a Salvatore Di Giacomo.

La famiglia Iaccarino: «Ci amano di più all’estero, difendiamo i piatti del Sud»

«Mandarini, limoni, erbe selvatiche»

Ma è l’ecosistema creato dalla famiglia Iaccarino ad essere il vero segreto del successo. Lo capisci quando Alfonso, classe ‘47, ti parla dei profumi della sua terra: «I mandarini, i limoni, le erbe selvatiche, le albicocche e i pomodori non si trovano solo qui. Ma qui sono diversi». Qui, per lui, è il suo orto ad agricoltura rigorosamente biologica di Punta Campanella, una striscia di campagna e di roccia lanciata verso il mare. Di fronte, l’isola di Capri. È qui che da vero visionario, 30 anni fa, ha creato gli otto ettari di frutteti e di orti: la dispensa naturale dove nasce e cresce quasi tutto ciò che serve al suo ristorante. La tenuta si chiama Le Peracciole. E qui ci allevano anche i loro polli. Parlando con gli Iaccarino la verità è che ti rendi conto che hanno fatto le cose prima che andassero di moda: il biologico, appunto; il bandire la chimica dalle cucine; il decidere di innovare la tradizione; il parlare di un Sud diverso, moderno e allo stesso tempo antico. E se questo ristorante-relais è ancora magnifico, lo si deve soprattutto ai due figli di Alfonso e Livia.

La scommessa di Ernesto Iaccarino

Ernesto, studi in economia, è lo chef, gavetta lunga e non facile accanto al padre, del quale ha preso, tra le altre cose, la pignoleria estrema. Come quando chiede al fratello e ai genitori di assaggiare le cose nuove che prepara pretendendo, in tempo reale, un voto in scala da uno a dieci. Ma è la sua cucina a raccontare l’evoluzione che sta mettendo in essere. Ingredienti, cotture (anche antiche, anche orientali) e accostamenti di una gastronomia in continuo movimento, proprio come lui. Il suo obiettivo? La gastroperfezione, partendo sempre dalla semplicità del prodotto base. Per capirlo, basta assaggiare il dentice con latte di cocco, mandorle, pepe rosa e fiori di begonia.

Strascinati di Nonno Ernesto
Strascinati di Nonno Ernesto

Sono gli ingredienti, infatti, a segnare il suo percorso. Qui non mancheranno mai l’olio extravergine, la pasta di semola di grano duro, i limoni, il pomodoro e tutte le preparazioni del territorio. La loro filosofia contempla un km 0, certo, ma anche prodotti che arrivano dai loro viaggi pluriventennali per il mondo, dai quali portano sempre indietro qualcosa: una spezia, un ingrediente, una tecnica di lavoro. Giocare a scomporre la tradizione, pur conservando inalterata la poetica dei loro sapori primordiali. Una cucina global-territoriale. Ma se dovessimo scegliere una ricetta che li rappresenta, è lo spaghetto al pomodoro. Piatto che per ammissione dei più grandi chef resta inimitabile. Senza alcuna possibilità di replica. D’altronde, spiega Ernesto, «è una preparazione che non ha tempo. Più si va avanti e più l’essere umano avrà bisogno di questi piatti, ricette della memoria (alleggerite grazie a moderne tecniche di lavorazione e curate nella presentazione e nell’aspetto cromatico), che aiutano a fermarsi, a non scomparire schiacciati dalla frenesia dei ritmi imposti dalla vita quotidiana».

La famiglia Iaccarino: «Ci amano di più all’estero, difendiamo i piatti del Sud»

I piatti

Sulla stessa scia altri piatti che hanno fatto storia, come gli strascinati del Nonno, cannelloni aerei sospesi su un ragù di pomodoro, basilico e mozzarella. O i nudi di ricotta in consommé ai sentori di verbena. Poesia pura. L’altro pilastro di questo meccanismo perfetto è Mario, il primo figlio. «Sono nato e cresciuto in un ristorante, dopo gli studi scientifici ho trascorso 12 anni all’estero, dalla scuola alberghiera in Svizzera ho allargato la mia formazione lavorando in tutti i settori dell’accoglienza alberghiera di alto livello (sala, organizzazione della struttura)». Mario oggi è maître de maison del «Don Alfonso» e cura l’immagine dell’azienda. «Con Livia lavoriamo ogni giorno alla creazione dell’esperienza di felicità per l’ospite». È stato lui a volare a St. Louis per aprire il «Casa Don Alfonso» affrontando i deliri di una pandemia mondiale.

La famiglia Iaccarino: «Ci amano di più all’estero, difendiamo i piatti del Sud»

Cinque lingue parlate, alle quali sta aggiungendo il russo, ha negli occhi una visione unica del futuro. Fatta anche di un negozio che vende anche il vasellame realizzato in esclusiva per loro da Villeroy&Boch. O i prodotti dell’orto. Sia per lui sia per Ernesto è stata una scelta coraggiosa affiancare un monumento vivente della gastronomia come Alfonso Iaccarino. Senza di lui, non esisterebbero i grandi cuochi meridionali. Ma molto si deve anche alla sua compagna di sogni, Livia, donna dall’energia travolgente. Insieme sono stati precursori assoluti di quella dialettica orto/cucina che oggi tanto anima l’alta ristorazione italiana. Spiega lei: «Non c’è una linea che separa la missione culinaria della famiglia e le sue abitudini. Perché Alfonso ha voluto prendere un pezzo di terra da lavorare? Per sé e per i suoi ospiti. Perché tutti nella casa mangino allo stesso modo cibi gustosi e anche salubri. Da sempre il salmone da noi non entra. Così come il foie gras lo abbiamo bandito. La battaglia contro la chimica alimentare per noi è una roba scontata... E pure l’uso delle energie rinnovabili». Perché la parola vera, per gli Iaccarino, è verità del racconto: quello che vi dicono fanno. Semmai, se un difetto dobbiamo trovar loro, è il non fare mai troppo marketing sulle scelte sincere e reali che compiono.

L’impegno

L’altra loro parola chiave, poi, è impegno. Impegno politico (Alfonso adesso è assessore al Turismo di Sorrento). Impegno nel salvare le specie alimentari del Sud a rischio estinzione. «Dando dignità al Meridione che aveva perso — ricorda Livia — i valori della biodiversità». Di qui il progetto con la Regione «Campania felix», l’azienda agricola e tanto altro. Un progetto circolare che ha costruito il futuro basandosi sulla narrazione del passato fatta con sincerità e competenza. E anche adesso, mentre il pomeriggio cala su Sant’Agata e i camerieri apparecchiano per la cena, capisci che nulla qui è casuale. L’attenzione impeccabile del maître Paolo Gargiulo. La meticolosità del sommelier Maurizio Cerio. L’occhio attento di Alfonso, appena tornato dall’orto. Mario che, dopo l’intervista, si allontana per una call con degli investitori. Ernesto che ritorna in cucina e si prepara con la brigata alla cena. I nipotini che fanno irruzione nel giardino. Il vociare degli uccelli. Le tovaglie di lino stese sui tavoli. E la perfezione va in scena.