Chucky: guadagnare milioni con una bambola a partire da un film, il caso Don Mancini

Ha scritto il primo «Chucky la bambola assassina» al college. 32 anni e 8 film dopo, Don Mancini torna adesso con una serie tv. E sì che Chucky nasceva come critica al marketing, e invece è diventata campione di franchising
Chucky la bambola assassina guadagnare milioni con una bambola il caso Don Mancini
Rolf Konow/courtesy NBCUniversal

Chucky la bambola assassina è protagonista di un servizio su GQ di febbraio, ora in edicola. Qui prosegue la conversazione con il suo creatore, Don Mancini.

Chucky, la bambola assassina (foto Rolf Konow/courtesy NBCUniversal)

Rolf Konow/courtesy NBCUniversal

Don Mancini è la dimostrazione che si può avere un’idea sola, una volta, e poi continuare a lavorare sfruttandola, cambiandola, declinandola, adattandola e coltivando fan e appassionati ad oltranza. Mancini è il creatore di La bambola assassina, il film del 1988 che introduceva la bambola Chucky nel pantheon dei personaggi classici del cinema di paura e che, 32 anni dopo, ancora lavora su quel personaggio preparando una serie tv. In mezzo ci sono 21 diverse produzioni tra lungometraggi, sequel, cortometraggi, film per la tv e via dicendo, tutti su Chucky la bambola assassina e le sue storie. Solo i 5 film fondamentali nella saga usciti tra il 1988 e il 2004 hanno incassato 175 milioni di dollari, a cui vanno aggiunti gli indotti delle vendite dei diritti televisive, l’home video e soprattutto, il merchandising. Il successo di Chucky ha visto alti e bassi ma non sì è mai fermato.
«Io sono stato davvero fortunato», racconta Don Mancini a GQ dalla sua casa di Los Angeles (leggi anche l'intervista su GQ di febbraio). «Mentre scrivevo il copione del primo film ho incontrato un avvocato del sindacato degli sceneggiatori che mi ha spiegato bene quanto fosse importante descrivere la bambola nella maniera più accurata possibile proprio nella sceneggiatura, perché se mai il film si fosse fatto - e fosse stato un successo - sicuramente sarebbe partito il merchandising. Dettagliare l'aspetto della bambola era l'unico modo per garantirmi parte dei profitti delle vendite». All’epoca Mancini aveva 19 anni, non aveva un agente e aveva scritto la sceneggiatura al college: non poteva immaginare che il progetto sarebbe andato avanti, figuriamoci che sarebbe diventato il franchise della sua vita.

«La sposa di Chucky» (foto courtesy  NBCUniversal)

courtesy NBCUniversal


Per chi non conoscesse la storia: è il frutto di un incrocio tra racconto horror e marketing. Chucky La bambola assassina è infatti un film di paura del periodo reaganiano, centrato su due cose: tensione e capitalismo. Una madre single che lavora e non riesce a stare quanto vorrebbe con il figlio fa di tutto per regalargli la bambola che desidera («Era il periodo dell’isteria per le bambole Cabbage Patch ed ero impressionato da come il desiderio per un bene di consumo scatenasse quel tipo di disordini»). Non trovandola in nessun negozio, e sentendosi in colpa per le mancate attenzioni al figlio, la madre la compra da un barbone, senza sapere che un rito voodoo ha infilato in quella bambola l’anima di un serial killer. Inizia così una scia di morti senza che nessuno sospetti di Chucky, fino all’inevitabile.
«Conoscevo bene i film sulle bambole assassine - il mio preferito è Magic con Anthony Hopkins - e l'episodio Talking Tina di Ai confini della realtà. In più, avevo un padre che lavorava nella pubblicità, quindi ero cresciuto con quel tipo di visione del mondo». Ed è grazie a quel genere di conoscenza che Mancini ha creato un impero: «Mi rendo conto del paradosso: Chucky metteva in guardia dai pericoli del marketing di massa ed è diventata una case history dello stesso marketing. Specialmente negli ultimi cinque, dieci anni». Invece di scemare, la popolarità di Chucky (la bambola e il personaggio) è cresciuta con internet, e di conseguenza le vendite del merchandising.
Complice il tipo di fedeltà e attaccamento dei fan dell’horror, e soprattutto complice la facilità nel reperire articoli in rete, gli affari sono aumentati: «È una delle conseguenze del commercio online: la gente desidera un souvenir e può soddisfare la propria ossessione in un secondo». Capita che Don Mancini veda sui social appassionati con collezioni di Chucky più grandi della sua: «Questi hanno cose che nemmeno mi sogno! E sicuramente li tengono molto meglio di me. Il che mi rende un po’ essere invidioso».

Don Mancini: entro l'anno partirà,  prima negli Usa, la serie tv dedicata a Chucky (foto courtesy  NBCUniversal)

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Mancini non lo dice mai, ma è evidente che marketing e produzioni si aiutano a vicenda. Le bambole continuano a vendere perché lui continua a produrre storie legate al personaggio, e queste storie continuano ad avere un pubblico perché il marketing mantiene quella figura viva nell’immaginario collettivo. Nel corso dei 32 anni che ci separano dal primo film, Mancini ha riscritto e reinventato più volte il personaggio e il tono dei film con l’intelligenza di adattarlo ogni volta all’aria dei tempi. Originariamente era il classico slasher Anni 80. Poi, negli Anni 90, quando uscì Scream, i film di Chucky diventarono più divertenti e autoironici e nell’era dei sequel per tutti sono nati spin-off, come Il figlio di Chucky.
Adesso ovviamente tocca alla serie tv. «Saranno 8 ore di storia, e avendo più tempo e spazio vorrei raccontare una storia diversa, concentradomi di più su personaggi e relazioni», che poi è quello che fanno le serie tv di maggiore successo rispetto ai film.
Intanto su Amazon le bambole di Chucky originali più piccole (38cm) si vendono a circa 90€, mentre le repliche fedeli (di 74cm) arrivano a 670€. Visto che in ognuno dei film il look di Chucky cambia ce ne sono di diverse. Quelle d’epoca su eBay superano il migliaio di euro.

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