Nel corso della storia, il racconto di Amore e Psiche ha ispirato tantissimi artisti: si pensi alla scultura omonima di Antonio Canova, al dipinto di Jacques Louis David o a l’Ode a Psiche del poeta inglese John Keat. Il mito è incentrato sull’amore passionale tra i due protagonisti, ostacolato però dall’invidia e dalla gelosia della madre di lui. A dispetto di tante altre storie simili che si concludono con una fine tragica, però, Amore e Psiche risulta essere uno dei pochi miti con lieto fine.

Inserito da Apuleio ne Le Metamorfosi, la fiaba è stata oggetto di numerose analisi riguardanti il significato intrinseco del racconto. Freud, ad esempio, sosteneva che Amore e Psiche rappresentassero rispettivamente la razionalità e l’istinto, l’io e l’es: solo trovando un equilibrio tra le due parti, si può vivere in armonia con se stessi e con il mondo che ci circonda.

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Il mito di Amore e Psiche

Nell’XI libro de Le Metamorfosi di Apuleio, si narra la favola di Amore e Psiche. Quest’ultima era una fanciulla talmente bella da essere paragonata a Venere, mentre Amore (Cupido) era il figlio di Venere e Giove. Proprio la bellezza di Psiche aveva suscitato le ire di Venere, che decise di vendicarsi affidando ad Amore un compito: far innamorare la fanciulla dell'uomo più brutto e avaro del mondo. Ma Cupido fallì: nello scagliare la freccia, colpì se stesso e i due ragazzi si innamorarono perdutamente l'uno dell’altra.

I genitori di Psiche erano alla ricerca di un marito per la figlia e, su consiglio di un oracolo, la lasciarono su una rupe dove un essere mostruoso simile ad un drago sarebbe arrivato per portarla via. Ma anche l’oracolo fallì e sulla rupe arrivò Amore che, con l’aiuto di Zefiro, portò Psiche nel suo palazzo. Qui, nella notte e senza mai mostrarle il suo volto, Amore e Psiche si unirono vivendo “una passione che nessun mortale conosce né conoscerà mai”.

L’amore tra i due proseguì, ma ad un patto: Psiche non avrebbe mai dovuto guardare in viso il suo compagno, pena la fine della relazione. Una notte, però, presa dalla curiosità, la giovane cedette e, spinta anche dalle insistenze delle sorelle, illuminò il volto dell’amato con una lampada. Rimase immediatamente folgorata dalla sua bellezza, ma una goccia di olio cadde su Amore che, accortosi della disobbedienza di Psiche, fuggì via lasciandola sola.

La ragazza, disperata, iniziò a vagare alla ricerca del suo sposo: nei templi incontrati portò le sue cure e arrivò fino al tempio di Venere alla quale si consegnò chiedendole perdono e sperando di placare la sua ira. La dea decise di sottoporla a diverse prove, una più difficile dall’altra, ma Psiche riuscì a superarle tutte grazie alla pietà che gli dei ebbero di lei. Venere, quindi, mise ancora di più alla prova la fanciulla proponendole ad una missione che, a suo dire, non sarebbe mai riuscita a portare a termine: sarebbe dovuta scendere negli inferi e chiedere a Proserpina un po' della sua bellezza.

Ancora una volta, Psiche, grazie all’aiuto di un dio, riuscì nell’impresa e portò con sé un’ampolla che non avrebbe dovuto aprire ma, sempre spinta dalla curiosità, disobbedì: dall’ampolla fuoriuscì una nuvola che la avvolse e la fece cadere in un sonno profondissimo. Amore, quindi, intervenne per risvegliare la sua amata: chiese aiuto al padre Giove e la portò con sé sull’Olimpo, le fece bere dell’ambrosia e la rese finalmente immortale. Il loro amore fu accettato dagli dei e venne indetto un banchetto nuziale. Psiche venne scelta come dea protettrice delle fanciulle e dalla storia con Amore nacque la figlia Voluttà.

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