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La teoria

“C’è un meteorite interstellare in fondo al mare”. E alcuni scienziati vogliono recuperarlo

“C’è un meteorite interstellare in fondo al mare”. E alcuni scienziati vogliono recuperarlo
Avi Loeb, astrofisico di Harvard, celebre anche per ipotesi controverse su asteroidi e navi aliene, propone una spedizione per cercare i frammenti nel Pacifico. L’Inaf: “Calcoli ancora da verificare”
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Meteoriti interstellari e dove trovarli: il tesoro potrebbe trovarsi in fondo al mare, inabissato 8 anni fa al largo della Papua Nuova Guinea dopo un viaggio lungo anni luce.

Se i calcoli sono giusti, parliamo del primo meteorite che arriva dall’esterno del Sistema Solare, formatosi attorno a un’altra stella. A un certo punto è stato spinto verso il nostro quartiere galattico e il caso ha voluto che sulla sua traiettoria ci fosse la Terra. Ora un gruppo di ricercatori, capitanati da Avi Loeb, l’astrofisico già noto per la ricerca di prove di tecnologie extraterrestri nell’osservazione del cielo, vogliono ripescare quello che resta di questo “sasso interstellare”. Magari sperando che qualcosa di anomalo possa essere interpretato come di origine artificiale. È una storia suggestiva, che però ha ancora alcuni punti da risolvere che riguardano l’esattezza e la trasparenza dei calcoli pubblicati, non sottoposti a una revisione scientifica.

Il caso del “meteorite interstellare”

Solo in questi ultimi anni si sono iniziati a scoprire, e a studiare, oggetti che attraversano il Sistema Solare e poi schizzano via, troppo veloci per fermarsi. Perché non hanno avuto origine dalla nube che ha acceso il Sole e addensato i pianeti. Nel 2017, Oumuamua (in lingua hawaiana significa “messaggero”) è stato il primo asteroide interstellare a essere osservato; nel 2019 è stata la volta di 2I/Borisov, la prima cometa aliena, la cui traiettoria aperta e iperbolica, come quella di Oumuaua, non lasciava spazio a dubbi. Manca solo un incontro ravvicinato, un contatto diretto per studiare dal vivo qualcosa di così estraneo. Il team di Loeb dice di sapere dove cercarlo.

Nel 2019, in uno studio a firma di Amir Siraj, Abraham Loeb del dipartimento di Astronomia di Harvard, si ipotizzava che CNEOS 2014-01-08, il meteorite esploso nel cielo sopra la l’isola di Manus, a circa 160 chilometri al largo, l’8 gennaio 2014, fosse di origine interstellare data la traiettoria libera e iperbolica, con una “sicurezza del 99,999%”. Un’ulteriore conferma è arrivata quest’anno, quando il Comando spaziale del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, analizzando le misure raccolte di quell’evento, ha detto che sì, “la velocità è sufficientemente accurata da indicare una traiettoria interstellare”.

Per certificarlo, sono servite le misurazioni (coperte da segreto) di un satellite spia americano, il cui lavoro è rilevare possibili lanci di missili da potenze ostili. In un articolo per Scientific American, lo stesso Siraj ha spiegato che “alla distanza della Terra dal Sole, qualsiasi oggetto che si muova a una velocità superiore a circa 42 chilometri al secondo si trova in un'orbita iperbolica illimitata rispetto alla nostra stella, il che significa che è troppo veloce per essere catturato dalla gravità del Sole”. Secondo i calcoli, il meteorite sarebbe entrato in atmosfera a una velocità di oltre 45 chilometri al secondo, circa 60 chilometri al secondo rispetto al Sole.

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Ma “i calcoli sono da verificare”

Qui però è necessario fare un distinguo. Wikipedia in inglese definisce CNEOS 2014-01-08 “un oggetto interstellare”, mentre la versione francese porta l’ipotesi senza sbilanciarsi: “La conferma dell'osservazione di una meteora di origine interstellare sarebbe un risultato di notevoli proporzioni, e si tratterebbe del primo caso al mondo. Il recupero di eventuali frammenti caduti al suolo costituirebbe poi un successo enorme, direi quasi incredibile, trattandosi di materiale esterno al nostro Sistema Solare - ci ha spiegato Daniele Gardiol, astronomo dell'Inaf, l’Osservatorio Astrofisico di Torino - Tuttavia, proprio per questo motivo, una sana cautela è d'obbligo. Esistono numerose reti per l'osservazione di meteore, in Italia c'è Prisma, che osservano spesso oggetti potenzialmente di origine extrasolare, ma finora nessuno è stato confermato”.

Il punto è che i calcoli di Loeb e Siraj non sono stati sottoposti a revisione, e anzi erano stati rifiutati per la pubblicazione. E la trasparenza manca, ovviamente, anche per i dati militari: “Gli autori della presunta scoperta riportano solamente i risultati finali senza molti altri dettagli in un articolo che non risulta avere superato il vaglio della peer review, cioè una revisione critica da parte di colleghi di pari competenza - ha aggiunto Gardiol, che è coordinatore nazionale della rete Prisma - Questo passaggio è indispensabile per poter accettare le loro tesi. A nulla vale la reiterata e un po' forzata affermazione che il dipartimento statunitense della Difesa ha confermato i risultati, il rischio di fare un errore nei calcoli è dietro l'angolo. Purtroppo, trattandosi di osservazioni fatte dai militari, gli errori nella misura non sono noti. Se questi errori fossero un po' troppo grandi, tutto l'impianto del ragionamento degli scienziati cadrebbe come un castello di carte cui si toglie l'ultima in fondo”.

In un'immagine tratta da Google Earth, l’isola di Manus, nella Papua Nuova Guinea: il meteorite sarebbe da cercare circa 300 chilometri a nord
In un'immagine tratta da Google Earth, l’isola di Manus, nella Papua Nuova Guinea: il meteorite sarebbe da cercare circa 300 chilometri a nord 

Andare a pesca di meteoriti

Se invece Loeb e colleghi avessero ragione, il primo oggetto interstellare osservato non sarebbe più Oumuamua, ma CNEOS 2014-01-08. Adesso è però necessario andare a pescarlo. Ed è proprio questo che Loeb e Siraj descrivono nell’ultimo studio, depositato sempre su piattaforma Arxiv. I due scienziati vogliono raccogliere fondi per attrezzare una nave con una speciale slitta magnetica. E con questa, dragare il fondo del mare in un perimetro circoscritto, lungo strisce di 10 chilometri, avanti e indietro nello stesso tratto che i calcoli indicano come zona più probabile di caduta di quello che resta della meteora, circa 300 chilometri a nord dell’isola di Manus. Non ci si aspetta una pesca grossa, tuttavia: la stima della grandezza della meteora è di appena mezzo metro di diametro. Piccoli frammenti dovrebbero, se la fortuna li assiste, attaccarsi ai magneti per essere analizzati. Come cercare il classico ago in un pagliaio.

La seconda caratteristica straordinaria di questo oggetto è la durezza: i calcoli di Loeb e Siraj (nello studio firmato assieme a Tim Gallaudet della società Ocean STL Consulting) giungono alla conclusione che esplodendo a quella velocità, a 18,7 chilometri di quota, la pressione RAM (che in fisica indica quella cui viene sottoposto un corpo che si muove attraverso un fluido) alla quale si sarebbe disintegrato è di 113 MPa (megapascal). Il doppio di un meteorite metallico, cioè del materiale più resistente tra quelli che compongono i meteoriti conosciuti. Questo dettaglio, unito al fatto che la ricerca dei frammenti sarebbe una campagna condotta dalla Galileo Society, fondata dagli stessi Loeb e Siraj per cercare nel cosmo o sulla Terra tracce di tecnologie aliene, scatena ovviamente la fantasia.

E anche un certo scetticismo: Loeb è il fisico che più volte ha dichiarato (e scritto) che Oumouamua secondo lui non era un normale asteroide, ma un’astronave aliena, per la sua “strana forma allungata” e una traiettoria, a suo parere, incompatibile con quella di un oggetto naturale, per via dell’accelerazione anomala. Tutto questo sarà impossibile da verificare perché Oumuamua se n’è andato per sempre, a meno di provare a rincorrerlo per il cosmo, come propone di fare la Initiative for Interstellar Studies con una missione sottoposta alla Nasa. Un’avventura che costerebbe, secondo Loeb, circa un miliardo di dollari.

Trovare pezzetti di metalli sconosciuti usando una nave potrebbe invece, a un costo molto minore, dare risposte ad alcune domande. In primis: dove si è formato e quanto sono diversi gli elementi (gli isotopi) che lo compongono. E soprattutto, di cosa è fatto questo oggetto più resistente del meteorite più coriaceo: “Ovviamente - secondo quanto scritto - questo esito non implica che la prima meteora interstellare sia stata costruita artificialmente da una civiltà tecnologica e non abbia un’origine naturale”. Però almeno il dubbio e la curiosità, utili sicuramente per raccogliere fondi (servirebbero 1,6 milioni di dollari per una settimana di campagna), restano: “Abbiamo visto in molte occasioni trionfali annunci di scoperte epocali poi sgonfiarsi tristemente a un esame appena più approfondito - è la conclusione di Gardiol - Insomma, potremo crederci quando vedremo l'articolo pubblicato sulla più importante rivista scientifica al mondo, se e quando lo meriterà”.