Annibale, l'invasione dell'Italia

Il più grande condottiero cartaginese della storia attraversò le Alpi con il suo esercito per sferrare il colpo di grazia ai romani nel loro stesso Paese; anche se li sconfisse, non riuscì mai a piegare la loro volontà di resistenza

«Le notizie che giungevano a Roma non lasciavano spazio alla speranza […] Era stato riferito che l’esercito, inclusi i due consoli, fosse stato annientato e che tutte le forze fossero state sbaragliate. Non c’era mai stato, entro le mura romane, tanto sbigottimento e tanto tumulto […]. Visto che non si conoscevano con esattezza i fatti, in tutte le case si piangevano indistintamente sia i vivi che i morti». Questo scriveva lo storico Tito Livio due secoli dopo l’accaduto, rievocando la terribile sconfitta delle legioni a Canne del 216 a.C., un’autentica carneficina con decine di migliaia di morti.

Quando le notizie della strage giunsero in città, i romani non ebbero dubbi circa il destino oscuro che li attendeva. Sembrava che Annibale, il temibile generale cartaginese, fosse sul punto di valicare le mura dell’Urbe. Per due anni Roma aveva schierato contro di lui un esercito dopo l’altro, ma il generale era riuscito ad annientarli causando la morte di decine di migliaia di uomini. E adesso sembrava aver sferrato il colpo decisivo all’egemonia romana.

Il passaggio delle Alpi delle truppe di Annibale nel 218 a.C. Benedict Masson, 1881, Museo delle belle arti, Chambéry

Il passaggio delle Alpi delle truppe di Annibale nel 218 a.C. Benedict Masson, 1881, Museo delle belle arti, Chambéry

Foto: Youngtae / Leemage / Prisma Archivo

L’invasione dell’Italia

La guerra che Roma e Cartagine combattevano da due anni era il secondo conflitto che contrapponeva le due superpotenze del Mediterraneo. Il primo, che si era concluso più di vent’anni prima, si era risolto con la clamorosa sconfitta di Cartagine e con il giuramento di odio eterno verso i romani che uno dei suoi generali, Amilcare, aveva fatto prestare a suo figlio.

Quel bambino era Annibale, e il suo cognome era Barca, “folgore” in cartaginese. Fu proprio lui che nel 219 a.C. assediò Sagunto, la città spagnola alleata di Roma, che poi conquistò nel 218 a.C. Con quest’atto ebbe inizio la seconda guerra punica, la più grande carneficina dell’antichità. Eccellente stratega, quando i romani decisero d'inviare le loro truppe in Spagna e in Africa, Annibale prese l’iniziativa e nell’autunno del 218 a.C. valicò le Alpi in quella che viene ricordata come una delle più importanti imprese belliche della storia. Verso la fine di ottobre giunse nella Gallia Cisalpina, situata a nord della penisola italiana, a capo di 26mila soldati e di una trentina di elefanti. Questo era tutto ciò che rimaneva dei 46mila combattenti con cui era partito dalla Spagna e che avevano dovuto affrontare la difficilissima traversata alpina, subendo l’ostilità delle tribù galliche, un freddo atroce e il passaggio per dirupi pericolosi.

Eppure la sofferenza degli uomini e la determinazione di Annibale erano riuscite a dare coesione alle diverse truppe, nelle quali militavano, tra gli altri, africani e guerrieri provenienti dalla Spagna (celtiberi, frombolieri delle Baleari, lusitani). Di conseguenza, quella che avrebbe potuto essere una moltitudine incontrollabile e difficile da gestire si era convertita in una macchina da guerra agli ordini di un comandante carismatico e intelligente, a cui i soldati obbedivano ciecamente. Una volta giunto nel nord Italia Annibale ingrossò le fila del suo esercito grazie ai rinforzi ricevuti dai galli scontenti del dominio romano, sconfisse le legioni nelle battaglie del Ticino, del Trebbia e del Trasimeno e arrivò con il suo esercito nei pressi di un paesino della Puglia, Canne. Correva l’estate del 216 a.C.

Annibale con la corona di quercia e la clava di Ettore

Annibale con la corona di quercia e la clava di Ettore

Foto: Oronoz / Album

Il massacro

Nel frattempo i romani erano riusciti a mettere insieme due potenti eserciti guidati dai consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. Il 2 agosto Varrone, contro il parere del suo collega, decise di unire le due formazioni sulla sponda settentrionale dell’Ofanto, nei pressi di Canne. I suoi 86mila soldati – le forze romane complessive – avrebbero affrontato il glorioso esercito cartaginese, composto da 50mila guerrieri saldamente radunati attorno al loro potente generale africano.

Annibale dispose le sue truppe in formazione convessa: le linee centrali, schierate a forma di mezzaluna, cominciarono a indietreggiare sotto la spinta dei legionari fino a formare una tenaglia in grado di rinchiudere il grosso delle legioni in una trappola mortale. In questa rete, messa a punto dalla cavalleria e dalle truppe d’élite cartaginesi, rimasero accerchiati più di 70mila romani in attesa di essere trafitti dalle spade nemiche e senza più possibilità di difendersi. Quella della battaglia di Canne è la storia di un bagno di sangue che durò per ore e in cui perirono la gioventù di Roma, i suoi difensori e parte della sua nobiltà. La repubblica era indifesa. Nella grande capitale si scatenò il panico e, per la prima volta dopo secoli, si fece ricorso ai sacrifici umani per placare l’ira degli dèi.

Marcia indietro

Tuttavia, Annibale decise di non approfittare della vittoria di Canne per assediare Roma. Sono stati versati fiumi d’inchiostro sul perché il condottiero abbia scelto di non impadronirsi della capitale. È probabile che la decisione di non occupare la città – protetta da difese imponenti – dipendesse dal fatto che Annibale non possedeva macchine d’assedio e che non era neanche previsto che Cartagine gliele fornisse. La forza di Annibale consisteva nella manovrabilità delle sue truppe grazie a una cavalleria potente che gli garantiva il vantaggio della sorpresa, come aveva dimostrato nelle grandi battaglie. Ma un grande assedio a lungo termine era un’altra storia.

La schiacciante vittoria di Annibale sulle legioni romane a Canne. François-Nicolas Chifflart, XIX secolo. Museo delle belle arti. Parigi

La schiacciante vittoria di Annibale sulle legioni romane a Canne. François-Nicolas Chifflart, XIX secolo. Museo delle belle arti. Parigi

Foto: Petit Palais / Photoaisa

In realtà Annibale stava aspettando che i popoli italici si ribellassero al dominio romano; in tal modo non ci sarebbe voluto molto tempo prima che la capitale del Lazio, isolata, cadesse nelle sue mani. Una città gli aprì le porte dopo la battaglia di Canne: Capua. Non era una città qualsiasi, bensì la più importante d’Italia dopo Roma, e Annibale la utilizzò come base nella penisola. Tuttavia Capua fu la sola: eccetto qualche comunità minore, nessun altro popolo italico tradì Roma. Dal canto loro, i romani riuscirono a resistere nel modo più intelligente possibile: consapevoli della loro inferiorità rispetto ad Annibale, evitarono lo scontro diretto con i cartaginesi, senza però smettere di attaccarli. Nel frattempo, Annibale intraprese la sua marcia verso il sud puntando alla città strategica di Taranto, dove avrebbe potuto ricevere rinforzi dal suo nuovo alleato, Filippo V di Macedonia, che a sua volta aveva attaccato i romani nei Balcani. Solamente nel 212 a.C. riuscì nel suo intento con Taranto – una fazione filocartaginese gli aprì le porte –, ma la fortezza, nella zona del porto, rimase nelle mani di Roma.

Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!

La grande sconfitta

Quello stesso anno si verificò un altro evento decisivo. Quattro legioni assediarono Capua, che chiese aiuto ad Annibale. Quest’ultimo fu costretto a scegliere se continuare a puntare su Taranto o radunare il suo esercito per poter prestare aiuto alla sua alleata. Per la prima volta dal suo arrivo in Italia non sapeva cosa fare e optò per una posizione intermedia: continuò l’assedio alla fortezza tarantina mentre il suo vice, Annone, si recò a Capua, dove fu sconfitto dai romani. La situazione di Capua era disperata. Se si fosse arresa, il prestigio di Annibale ne avrebbe risentito parecchio; numerose cittadine italiane, la cui alleanza con i cartaginesi si faceva sempre più precaria, avrebbero potuto propendere in favore di Roma. Pertanto il generale africano decise di marciare fino a Capua per attirare gli assedianti romani in una battaglia campale. Tuttavia questi non caddero nella trappola. L’intenzione di Annibale non era tanto quella di conquistare l’Urbe quanto quella d'indurre gli assedianti romani di Capua a marciare in difesa di Roma.

Nella primavera del 211 a.C. il panico s'impossessò nuovamente di Roma. Fabio Massimo – l’uomo che dopo Canne aveva consigliato ai romani di non muovere battaglia contro Annibale –, risolse così il problema: «L’esercito che attualmente si trova nella Città sarà sufficiente per la nostra difesa, poiché disporrà dell’aiuto di Giove e del resto degli dèi» (Tito Livio, XXVI, 8). I temporali impedirono che i nemici iniziassero i combattimenti; il tempo non giocava a favore di Annibale, che non riusciva a procurarsi rifornimenti in una terra ostile. Il cartaginese non ebbe altra scelta che tornare sui propri passi e volgere le spalle a Capua, il cui destino era già ineluttabilmente scritto. La città si arrese quell’anno e le sue strade furono testimoni di uno dei bagni di sangue più terrificanti di tutta la guerra. La stella di Annibale in Italia si eclissava e presto avrebbe perso tutto il suo splendore. I romani strapparono ai cartaginesi la Spagna che Asdrubale abbandonò per attraversare le Alpi e riunirsi con suo fratello in Italia. Ma i romani lo sconfissero sulle rive del Metauro e inviarono la sua testa ad Annibale che, resosi conto che non avrebbe ricevuto rinforzi da Cartagine, si rifugiò nel sud Italia. Da lì marciò alla volta dell’Africa nel 203 a.C. per far fronte a Publio Cornelio Scipione, che era sbarcato nei pressi di Cartagine. Le carte in tavola erano cambiate, e adesso erano i romani a ripagare Annibale con la sua stessa moneta.

Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!

Condividi

¿Deseas dejar de recibir las noticias más destacadas de Storica National Geographic?